Questioni sociali in Cina.

Shuzhou factory
Shuzhou factory

Non è facile governare un paese così vasto e popoloso come la Cina. Soprattutto non è facile toglierlo dalle secche del sottosviluppo, retaggio di colonialismo ed occupazioni straniere,ma anche di arretratezza culturale endogena di un lungo medioevo, senza passare sopra il cadavere di qualcuno. Questo è evidente. Tuttavia, dobbiamo riservare alla classe dirigente del colosso asiatico lo stesso trattamento critico che riserviamo ai nostri governanti. Sulla questione delle lotte sociali in Cina, si, è vero ci sono, anche se il numero di esse rapportato alla popolazione complessiva ci dice che non sono poi così diffuse: si parla ufficiosamente (dati extra-governativi) di circa 80.000 scioperi rivendicativi all’anno. Ripropongo un mio post di 5 anni fa che pone una serie di problemi di gestione del potere in quel paese. 

In vista delle Olimpiadi del 2008 gli edifici popolari della centralissima Jianguomenwai saranno demoliti nel giro di poche settimane: faranno spazio ad un nuovo grattacielo, simbolo della Cina “che si sviluppa”. Ma gli inquilini non vogliono andarsene. Su 500 famiglie che vi abitavano ora ne rimangono un centinaio. Il costruttore ha offerto il corrispettivo di circa 1200 € al metro quadrato per farli sgomberare, ma gli anziani, gli operai, i disoccupati rischiano di restare senza un tetto perché con i soldi offerti è quasi impossibile trovare oggi un appartamento anche in periferia.

Nella primavera del 2004 una ventina di anziani all’idea dello sfratto sono morti di crepacuore. La grande contraddizione della Cina capital-comunista : quella di un sistema in cui il fossato tra ricchi e poveri continua ad allargarsi, creando tensioni sociali, sia nelle campagne che nelle città.

Soprattutto nelle campagne, i più avidi, ricchi, corrotti e prepotenti sono proprio i funzionari del Partito. Sono riusciti a costruire dal nulla autentiche fortune. In fondo l’aveva detto Deng Xiaoping: “Andate e arricchitevi”. Un motto che ricorda meglio la Tatcher, forse.

Il governo teme l’instabilità più di ogni altra cosa perché sa benissimo che in fondo, il suo futuro dipende dalla sua capacità di assicurare un equilibrio minimo tra le vecchie e le nuove classi in cui si è segmentata la società negli ultimi 20 anni. A questo scopo la nomenklatura ha coniato un nuovo slogan: “Edificare una società armoniosa”, per spiegare ai diseredati che il Partito non li ha dimenticati e inizierà a ridistribuire la ricchezza.

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