Heidegger tra metafisica e poesia. (xi)

Temi heideggeriani
Temi heideggeriani.

In cammino verso il linguaggio. Vediamo il primo saggio. Scritto nel 1950.

Heidegger prende in considerazione alcuni versi. Li considera come il linguaggio del poeta? Oppure ritiene di vedere in essi e dietro a essi il linguaggio in quanto tale? Chi è che parla: il linguaggio, l’uomo? Se il linguaggio parla che cosa è che dice l’uomo? Le due espressioni devono essere intrecciate. In quella particolare figura che, nel caso della poesia, è rappresentata dal poeta, vediamo che l’uomo e il linguaggio trovano una individuazione. Il poeta e il linguaggio: e quest’ultimo è sia il linguaggio del poeta sia, e al tempo stesso, il linguaggio in generale.

(da p. 31 alla conclusione) Heidegger in queste pagine analizza una poesia e analizzandola la interpreta. Però, Heidegger non è un critico letterario. Quale tipo di interpretazione può e vuole fornirci? Non si tratta di una interpretazione letteraria. La poesia è determinata anche letterariamente. In questo caso di tratta di una poesia di Trackl che è quasi coevo di Heidegger. Si tratta di una poesia determinata sia dal punto di vista del poeta sia dal punto di vista del genere letterario. Di ciò Heidegger però non si occupa.

Per Heidegger l’interesse per le tre strofe di Trackl è quello di poter tradurre i versi in pensiero. Ecco ciò che Heidegger fa, invece che un esercizio di critica letteraria. Parte dal detto poetico e cerca di ricondurlo sia a quella che egli definisce e rincorre in quanto essenza del linguaggio, sia a ciò che egli persegue dal punto di vista filosofico, cioè il pensiero. La poesia di Trackl si offre come una possibilità per il pensiero di Heidegger e si presenta come una espressione del linguaggio in quanto tale. Nella poesia in generale Heidegger ritiene di vedere la parola pura, quella parola non contaminata dalla concettualità e non è nemmeno gravata dalla storicità, la parola ha una storia. Nel poeta la storia viene come a depurarsi. Al tempo stesso la parola è pura rispetto alla concettualità che appartiene a un trattato di filosofia. Quindi, egli può parlare di parola pura.

Il poeta in generale, ma soprattutto quello che Heidegger ha in mente, ha configurato nella propria interpretazione della poesia e del poeta, è il poeta dei testi di Che cos’è metafisica: il poeta è vicino al pensatore. Il poeta è colui che riesce a portare il linguaggio alla sua purezza. La parola pura è quella in cui la pienezza del dire si configura come pienezza iniziante, cioè da inizio a qualcosa. Questa definizione viene messa alla prova della poesia in quanto tale. Allora, scegliamo come parola pura una poesia che più di altre ci può essere di aiuto e avvio a esperire la forza vincolante di quel vincolo. La poesia ha per titolo Una sera d’inverno.

La poesia in tre strofe descrive una situazione, un esterno, la neve che cade che viene vista dall’interno, dalla finestra. L’altro momento esterno è il suono della campana. Viene dato una sorta di sguardo su ciò che accade all’interno, un qualsiasi interno, in cui la cena è pronta, la tavola è pronta e la casa è approntata. La seconda strofa descrive una situazione di contrasto tra interno ed esterno. C’è qualcuno che giunge alla porta attraverso sentieri oscuri, ignoti. Ordine interno; un ingresso o un avvicinamento da parte di viandanti che giungono alla porta. La terza strofa ci mostra l’ingresso del viandante. La soglia è come pietrificata dal dolore. Il dolore si pietrifica nella soglia, dunque. Là risplende in piena luce e sulla tavola troviamo pane e vino. La terza strofa invita il viandante a entrare dal di fuori al di dentro. Le tavole di molti si sono trasformate in tempio e altare.

A Heidegger la poesia piace. Perché in fondo se osserviamo la scena in triplice partizione, rappresenta cose semplici, elementari. E al tempo stesso presenta una situazione esistenzialmente dinamica che riguarda non solo il viandante che si accosta, ma anche i non nominati abitanti di quegli interni. Questi versi raffigurano cose elementari, aspetti della vita nella sua quotidianità intesa come semplicità, come situazione quotidiana. Non è casuale che questa poesia piaccia a Heidegger, poiché si articola in immagini della vita e corrisponde a quella propensione che egli ha sempre avuto per la dimensione della vita semplice. Il fatto che si sia fatto costruire una piccola baita in montagna dove trascorrere almeno sei mesi all’anno, corrisponde a quella propensione che a Heidegger questa poesia piace. È la testimonianza che questi elementi linguistico-poetici e oggettuali gli piacciano. Questo aspetto (psicologico e biografico) va tenuto presente. Heidegger ha una struttura mentale personale assolutamente propensa a rimanere in una situazione agreste, nella quale l’intorno è dato da prati, campi coltivati, boschi, acque, sentieri nel bosco. Inclusi i contadini e i montanari che quei luoghi abitano. Tutto ciò va tenuto presente come sfondo se volessimo ricorrere a uno sfondo per attingere fondamenti ermeneutici per capire la sua interpretazione delle poesie, ecco allora che come sfondo questa dimensione va tenuta presente.

Alla fine degli anni Venti egli riceve una chiamata dall’Università di Berlino che declina, quasi inspiegabilmente. Quindi, risulta difficile da capire, ma poi in seguito lui lo spiegherà. Un professore di filosofia che dedicava tutto se stesso all’attività didattica era un professore che voleva diffondere il proprio pensiero. Tuttavia, egli decide di rimanere a Freiburg, dove sentiva di poter attingere quell’energia di pensiero che considerava importante. Lo poteva fare solo se fosse rimasto nella sua terra d’origine, dove trovava una specie di fonte energetica rappresentata da quella dimensione agreste-montana della Foresta Nera e da ciò che la popolava, ovvero i contadini.

Spiegando il perché del proprio rifiuto diceva di voler rimanere in provincia perché in questa terra era nel suo proprio dal punto di vista del pensiero. Istituisce un rapporto molto stretto tra terra natia (Heimat) e con il pensiero. Il suo pensiero non nasce dall’alto, ma sorge dal basso e questo sorgere implica che esso debba avere radici, cioè, stare, abitare in un determinato luogo e non in un altro. Questi elementi non sono marginali nell’elaborazione del pensiero. In Heidegger tale elaborazione cammina di pari passo con una costante riattivazione delle energie che egli trae dalla propria terra natia e avverte come proprio.

La poesia che abbiamo letto, dunque, parla di una nevicata, ci fa sentire il suono di una campana serale, ci mostra un interno ordinato, ovvero un interno che ha tutte le caratteristiche per cui chi vi abita può sentirsi comodo. Al tempo stesso ci mostra come quella dimensione può aprirsi al viandante, a colui che passa. Fin qui però rimarremmo ancora in un ambito di interpretazione letteraria. Rimarrebbe un’interpretazione che si immedesima nelle immagini. Tale esplicitazione in Heidegger è in funzione di una metainterpretazione, cioè a partire dallo stadio elementare dell’interpretazione delle immagini attraverso parafrasi, viene assunta poi per una interpretazione filosofica. Interpretazione che non corrisponde all’intento di Trackl.

Dalle parole del poeta, anche prese singolarmente, Heidegger costruisce la propria interpretazione. La poesia e le parole della poesia gli servono come occasione per una elaborazione di pensiero e una riflessione filosofica. Ovviamente, non tutte le poesie possono essere usate in tale modo. Heidegger, peraltro, dimostra, come abbiamo già detto, una propensione per questi particolari versi. Egli fa sì che il pensiero si accosti alla poesia, si mette a fianco e si avvicina alla poesia stessa, ecco che il pensiero stesso prende corpo e allora la poesia diventa una sorta di eco del pensiero. Una sorta di interlocutore del pensiero stesso che allora procede per se.

Il rapporto col poeta da parte del pensatore viene esplicitato come rapporto di empatia, ma anche di differenza. Proprio con questo rapporto il pensatore pensa nel modo migliore.

(p. 33) Una sera d’inverno è il titolo della poesia, abbiamo detto. L’immaginazione di pensiero, filosofica, si sviluppa sulla base dell’immaginazione poetica. La poesia è ciò che il poeta dice traendolo da sé. Il linguaggio della poesia è espressione in una molteplicità di sensi. Perché abbiamo scelto questa poesia? chiede Heidegger. Perché essa si rivela particolarmente idonea a suggerire al nostro tentativo (Erörtern) alcune fruttuose indicazioni.

A partire da queste strofe Heidegger delinea una sorta di cosmovisione. Una prospettiva generale nella quale si inserisce tutto l’essente, tutto ciò che è. Nella poesia si esprime una visione, ma non generale, particolare. Da quella visione particolare Heidegger ritiene di poter arrivare a una visione generale.

(p. 34) Il linguaggio parla, il poeta parla usando il linguaggio. Il linguaggio poetico è una forma di parola pura. Questo parlare nomina la neve, una sera invernale, una situazione meteorologica particolare. Cosa è questo nominare? Consiste nel mero rivestire con le parole fatti più o meno noti? No, il nominare è un appello. Il nominare chiama, non distribuisce nomi, chiama entro[1] la parola. Il chiamare in quanto tale avvicina ciò che chiama. Il poeta nella sua nominazione avvicina le cose. Egli si avvicina alle cose, potendole nominare nella loro purezza linguistica e ciò avvicina noi alle cose. Chiamare è un chiamare presso un qualcosa. Il chiamare è sempre un chiamare presso e al tempo stesso lontano. Il cadere della neve[2] e il risuonare della campana sono qui e ora presenti e non lo sono. Sono presenti e assenti o, meglio, distanti.

Il linguaggio poetico nomina le cose in maniera pura; il nominare è un chiamare presso; è un chiamare che avvicina che mostra qualcosa nella presenza e nella lontananza-assenza. Il nominare in quanto chiamare porta qualcosa nella prossimità e al tempo stesso mantiene quel qualcosa nella lontananza. Cosa vuole in particolare indicare Heidegger con gli elementi della vicinanza e lontananza[3]? Vicinanza e lontananza è un luogo in cui le cose chiamate possono venire. Non è un luogo determinato, ma è un luogo in cui noi possiamo vedere la localizzazione della finestra e del risuonare della campana: è un luogo certamente.

La chiamata attraverso cui arriviamo a un luogo si configura come un invitare (p. 35). C’è un altro elemento, il carattere essenziale dell’essere umano, il suo essere mortale[4]. In questa meditazione a partire dai versi poetici, emerge il carattere fondamentale dell’uomo in quanto mortale. Il terzo elemento è rappresentato da ciò che il mortale avverte il suono della campana. Attraverso quel suono sente una rudimentale melodia. Ciò può tradursi in una significata traduzione di quel suono. Il mortale avverte la presenza del divino (seppur lontana presenza). Quarto punto è ciò che troviamo all’interno dell’abitazione, la casa stessa e il suo interno. Ciò che è apparecchiato vincola gli uomini alla terra. Si tratta di una struttura quadruplice, tradotta come quadratura. Una quadratura che traduce la quadruplicità.

La Geviert, la quadratura, ci dà una cosmovisione. La Geviert viene esplicitato a pag. 35: i quattro elementi cielo, terra, mortali, divini, costituiscono una unità originaria. Geviert è il quadrato dei quattro elementi. In questo adunare e trattenere consiste esser cosa delle cose. Tutte le cose stanno all’interno di questa quadratura. Il mondo allora come generalità e genericità è una sorta di scena nella quale le cose si mostrano nell’iscrizione del quadrato, del Geviert.

                     Cielo

         Mortali                                      divini

                                      Terra

Tutto ciò che è nella accezione che abbiamo imparato a conoscere, tutto l’essente, sono ciò che sono all’interno di questo quadrato, questo Geviert. Il mondo è questo quadrato unitario che a sua volta costituisce anche i limiti del mondo stesso. La poesia allora nominando le cose, le chiama in questa loro essenza. Questa poesia in particolare. Su queste immagini poetiche, Heidegger ha costruito questo quadrato, ha elaborato la struttura del mondo. La poesia nominando le cose le chiama in quanto tali. Le cose a loro volta dispiegano il mondo. Nel mondo esse stanno e in questo loro stare nel mondo consiste la loro realtà e la loro durata. Le cose in quanto sono e operano in quanto tali, portano a compimento il mondo.

A proposito delle singole strofe non si fa altro che addentrarsi dentro questa struttura. È significativo che Heidegger si confronti con la poesia in un modo “pensante”, anzi “meditante”. Sulla base di questa struttura meditante egli può elaborare il Geviert. Può, cioè, attestare che la parola pura della poesia può rinviarci direttamente al pensiero. Può essere il punto di partenza per una elaborazione filosofica. Dentro questa visione si collocano le specifiche interpretazioni delle singole strofe. Le interpretazioni interne della poesia.

Fin qui le strutture fondamentali della poesia, ora ci si addentra tra gli elementi che permettono di dimostrare che le cose nel quadrato che sono così in quanto tali, lo sono effettivamente, nella concretezza come sono. In generale, la poesia indica o rinvia a cose concrete. Certo, anche nelle sue forme maggiormente elaborate o ermetiche. Tuttavia, questa poesia o poesie di questa tonalità mostrano la loro concretezza all’interno di una scena, di una situazione.

Le strofe nelle cose che vengono indicate sono in una stretta connessione. (p. 37) La scena della poesia è dell’abitare e la scena stessa è abitata. Mondo e cose non sono realtà una accanto all’altra; mondo e cose si compenetrano l’un l’altra. Tra loro passa una linea mediana, che rappresenta la loro unità e rappresenta la loro intimità. L’intimità tra mondo e cose regna solo dove essi rimangono distinti. Nello stacco del frammezzo, nella differenza. È una differenza che supporta le cose in quanto tali. Diaforà, diafenein, differenza. Si tratta in definitiva di una struttura monadologica.

Anche le monadi hanno relazioni nonostante le loro occlusioni e le hanno con la monade delle monadi, Dio. Quel tutto, Dio, quando si relaziona con una monade attraverso di essa si rapporta a tutte le altre monadi e attraverso questa mediazione si rapporta a tutte le altre. È un’iperbole quello della comunicazione delle monadi, ma possiamo riscontrare una struttura del genere, proprio in ciò che stiamo dicendo con Heidegger.


[1] Dentro la parola e all’interno della dimensione della parola.

[2] Ci dà la dimensione del cielo nella sua datità. Cielo come volta celeste.

[3] Nähe: vicinanza; Ferne: distanza (Distanz).

[4] L’essere per la morte del Dasein. Il Dasein è l’essere possibile, la morte è la sua possibilità ultima.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 con Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023 e con Amazon Kdp nel 2024 e 2025.