Un 11 settembre europeo?

Charlie Hebdo
Charlie Hebdo

Tutti gli autori delle stragi sono stati uccisi. Pertanto, non ci potranno raccontare nulla sul perché, come, quando e con chi hanno deciso di combinare questo crimine. Tombola!

Credo sia ancora presto per formulare giudizi ed ipotesi credibili su questo atto sanguinoso, tuttavia, è il momento di cominciare a porci delle domande. Intanto, parliamoci chiaro: non credo che il razzismo di Charie Hebdo in sé stesso possa spiegare il massacro. Ancor meno penso che il massacro sia una risposta naturale al razzismo.

Al momento è difficile inquadrare tutti gli elementi che andranno a costruire una completa narrazione politica della strage. Ma cominciamo a mettere uno dietro l’altro questi elementi e ad analizzarli.

L’islamofobia è un elemento ineludibile del presente contesto politico che va a formare l’immediata dotazione di strumenti politici atti a spiegare il massacro. La pressione ad impegnarsi in una narcisistica solidarietà con “persone come noi” – nel caso specifico con una rivista che pubblica degli indegni stereotipi razzisti – è parte di questa strumentazione.

Le reazioni nella direzione della ripubblicazione del giornale e per rinominarsi tutti Charlie Hebdo è, nel migliore dei casi, ottusa come il messaggio che vorrebbe veicolare. Nel peggiore dei casi, se i lettori guarderannno alla propria sinistra, vedranno la letterale prossimità di tale solidarietà con il razzismo violento nella forma dello sterminio di tutti i musulmani.

Contestualizzando, dobbiamo notare che la Destra è stata assolutamente non dispiaciuta, per il modo immediato in cui ha spiegato il massacro, di poter segnare dei punti reazionari intorno ai “valori occidentali” e sull’immigrazione. In Grecia, Samaras è stato spietato nei confronti di Syriza, colpendola proprio su questo. Cameron, Hollande e Merkel sono stati finora più subdoli e strategici, ma la riaffermazione del “liberalismo muscolare” in Cameron era parte del copione, mentre qualcosa di più articolato è ancora lontano da venire. Ma sicuramente verrà. Quanto appena detto vorrebbe fornire, a livello di establishment, una pseudo-spiegazione degli eventi. In particolare, l’accento viene posto sul fatto che c’è gente, tra di noi, che non condivide i nostri valori e, sempre più spesso, qualcuno di questi si arma e comincia ad ammazzare.

Questo viene collegato pretestuosamente alla tolleranza. Il fatto di tollerare qualcuno, implica che questi sia un peso, al quale siamo obbligati ad esprimere vicinanza e che la cosa sia essenzialmente a “loro” favore e coerente con la “loro” visione del mondo. I “buoni” musulmani, tuttavia, possono rimanere, ma devono assimilarsi, devono moderare i loro presenti valori, cultura e credenze e accettare quello che noi chiamiamo “valori occidentali”.

Devono sradicare il male che c’è in loro. Devono inoltre, e questo è un punto centrale, astenersi dal rivendicare politicamente i propri interessi ed indirizzare la propria oppressione strutturale nell’articolare discorsi ed atti di obbedienza e lealtà patriottica.

Essi sono sotto controllo: la tolleranza diviene così un meccanismo disciplinare.

Ancora, e con molta ipocrisia, c’è il ricatto implicito alla Sinistra: non osate porre domande sul nostro modo (della Destra) di politicizzare la strage, altrimenti riterremo responsabili voi per avere politicizzato la strage stessa! Peggio ancora: vi accuseremo di averla difesa!

Questi ricattatori, peraltro sono gli stessi che invitano al buon gusto e al decoro quando si tenta di approfondire su Charlie Hebdo. E questo, grottescamente, è l’unico momento in cui non siano sguaiati e sarcastici nei confronti di musulmani ed immigrati. Proprio come tutti i bravi reazionari.

Nell’altro campo, abbiamo degli elementi della sinistra-liberale e responsabile che si riducono a rispondere – al cospetto di un tribunale immaginario – con zuccherose nullità, vuote affermazioni di ovvietà, aprendo le loro bocche a vuoto. Si tratta di una lealtà al potere dai tratti psicanalitici che si esplicita nell’affermare qualcosa che nessuno ha negato (una strage è il male, la libertà di stampa è bene).

In questi giorni abbiamo visto il proliferare di hashtag come #jesuischarlie ed altre cose simili, dove masse di persone si sono allineate e coperte dietro i cosiddetti “valori occidentali” e “libertà di espressione”. Il tutto in paesi dove il diritto ad indossare un hijab, deridere le proprie truppe, dire che il primo Ministro ha le mani insaguinante o protestare contro i massacri di Israele, viene sistematicamente soppresso, se non penalmente perseguito.

Quella dei “valori occidentali”, poi, è un’eredità contrastata la cui feticizzazione è un qualcosa di proprietà di un asse geopolitico o di un immaginaria comunità chiamata Occidente ed è parte di un tentativo di sequestrare questa eredità per fini razzistici, autoritari, restrittivi ed imperialistici. Tutto converge a fare della strage un nuovo 11 settembre.

Dobbiamo, tuttavia, iniziare a comprendere le motivazioni politiche di questa strage. Per iniziare a farlo dobbiamo subito disfarci delle false spiegazioni. Ad esempio, ci sono dei resoconti che dicono che gli assassini sono stati radicalizzati da un certo Farid Benyettou.

Radicalizzazione è un termince complesso, funzionale ai discorsi sulla “controguerriglia” proprie alle agenzie di intelligence. Applicato ai musulmani, significa che essi sono diventati più estremi nel loro Islam, più estremi di prima, meno moderati, fallendo nella loro assimilazione ai valori occidentali, in virtù del loro essere esposti all’estremismo. Quindi, per evitare che ciò succeda è giusto che le comunità islamiche vengano sorvegliate per evitare di esporle troppo all’estremismo. Tutto ciò ovviamente, non ci dice ancora nulla su un tema centrale: quello della scelta individuale!

Cioè le persone devono operare la scelta di andarsi ad ascoltare un Benyettou, decidere che è convincente, cominciare a organizzarsi, e scegliere di esercitarsi in qualche formazione militare.

Vi sono, inoltre, altri resoconti che ci informano sul fatto che i killers sono stati radicalizzati dalla “guerra al terrore” e dalla questione delle torture praticate dalla CIA. Sono dettagli molto interessanti. Ma insufficienti, per sé stessi, come spiegazione dell’accaduto.

Milioni di persone sono state radicalizzate dall’imperialismo e dalla guerra nonché dal razzismo. Ma meno di una manciata di essi è entrata allo Charlie Hebdo dichiarandosi fedeli di Al Qaida e uccidendo delle persone senza troppi preamboli. E un’altro collegato ai primi, si è asserragliato in un supermercato kosher ammazzando 4 persone.

L’essenza razionale della narrazione sui “valori occidentali” è che costoro, i musulmani, hanno perso la via, fregandosene sanguinosamente degli (ipocriti) “valori liberali”. Pertanto, chiunque segua la propaganda dell’ISIS deve sapere che sta portando acqua agli stupri e alla schiavitù. Siamo già entrati, a pieno titolo, in un ordine del giorno chiaramente sociopatico.

Al contrario, abbiamo bisogno di comprendere la politica dei gruppi jihadisti coinvolti, nelle loro particolari dinamiche, il loro posto nella formazione sociale francese e le loro relazioni con l’imperialismo.

La storia dei due fratelli Kouachi è molto istruttiva al riguardo. Ci è stato detto che i due appartengono alla seconda generazione di franco-algerini. Cresciuti dallo Stato francese in quanto orfani, finiscono entrambi poveri e disoccupati. È una storia vecchia ed abbastanza comune quella di come la Francia ha importato il lavoro dalle ex-colonie, abbandonando poi quelle persone negli uffici di collocamento o nelle banlieau quando non erano più necessarie. Frequentano entrambi la stessa Moschea quando sono ventenni, intorno al 2003. Sono gli anni dell’invasione all’Iraq. E sono gli stessi anni in cui i killers di Woolwich iniziano ad avere contatti con un gruppo islamista britannico. Comunque, i fratelli Kouachi fanno la conoscenza di Benyettou, di un anno più vecchio, che dà loro un senso di cameratismo, di valore e dei principi morali. Smettono di fumare e di assumere droghe, cominciano ad allenare i loro corpi e ad usare le armi. Nel 2005 vengono istruiti nelle scuole salafite, poco dopo varcano il confine per unirsi alla guerriglia iraqena. Sappiamo anche che nel 2011 sono nello Yemen ad addestrarsi e a combattere. Yemen: una terra dove vi sono notizie di convergenza politico militare tra ISIS ed almeno una parte di ciò che rimane di Al Qaida.

Allora, possiamo partire da questi dati per iniziare a porci delle domande.

Qual è l’esperienza vssuta dalla seconda generazione di musulmamni franco-algerini, lavoratori di basso livello o disoccupati, ai margini della società, e come questa esperienza può guidarli all’ideologia salafita?

Come vede la politica globale il mondo jihadista?

Qual è la natura della politica francese, con particolare riguardo alla politica rivolta alla classe operaia delle periferie, nel senso che questa sezione di classe rimane esposta al reclutamento dei religiosi reazionari?

Cosa possiamo dire di questo sforzo della politica islamista, della sua storia, dei suoi moduli organizzativi, che riesce ad appellarsi alla marginalità e all’oppressione razziale dei musulmani francesi?

Cosa possiamo dire della guerriglia contro le forze di occupazione in Iraq, le quali ultime sono responsabili di oltre un milione di morti, in grado di consolidare e “radicalizzare”?

E, forse più importante ancora, in quale vicolo cieco sono finiti i tre, per essere stati spinti a dirigersi verso obiettivi del tutto periferici dal loro punto di vista: una rivista satirica e un supermercato kosher?

Sono quesiti fondamentali, per non lasciare spazio alla sola narrazione dominante, quella intorno ai musulmani pazzi che minacciano il nostro stile di vita.

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