Nel suo podere di Sant’Andrea in Percussina, nel 1513, sollecita i suoi amici e conoscenti nel partito mediceo e scrive il trattato. De principatibus, noto col titolo Il principe. Con lo scritto Machiavelli voleva dimostrare la sua competenza in materia politica per farsi affidare qualche incarico. La dedica era originariamente a Giuliano de’ Medici, ma viene dedicato a Lorenzo di Piero de’ Medici.
Il testo si divide in 26 capitoli, raggruppabili in 4 sezioni. La prima sezione comprende i capitoli I-XI in cui distingue i vari tipi di principato (ereditari, nuovi e misti). I capitoli XII-XIV trattano il problema del potere militare del principe in cui manifesta la sua avversione per le truppe mercenarie. I capitoli XV-XXIII spiegano per quali vizi o virtù i principi sono lodati o biasimati. I capitoli XXIV-XXVI danno un giudizio sulla situazione italiana contemporanea.
L’analisi più particolareggiata è quella riguardante i principati nuovi dove son nuovi il principe e la stessa compagine statale. Il capitolo VI presenta al lettore quattro esempi tratti dalla storia antica di principi di nuovi Stati: Mosè, Ciro, Romolo, Teseo. Nessuno di loro a parte l’occasione della fondazione ebbe particolari fortune. Machiavelli analizza il rapporto tra virtù e fortuna. Senza fortuna o occasione favorevole la virtù si esercita inutilmente, ma non è detto che l’occasione favorevole consista in una condizione oggettiva ottimale. Mosè costruì il dominio d’Israele partendo dalla schiavitù degli ebrei. Nel VII capitolo parla dell’azione di un principe a cui non mancarono le virtù politiche e in qualche modo dispose anche della forza, ma a cui nel finale fece difetto la fortuna (Cesare Borgia). Secondo Machiavelli gli si può imputare un solo errore, cioè quello di non essersi opposto all’elezione di Giulio II che poi lo imprigionerà. Questa analisi poneva Machiavelli di fronte al problema del rapporto tra politica e delitto. Il Borgia aveva acquistato potere anche per mezzo del tradimento e dell’assassino dei suoi rivali. Un tale principe non è un principe ideale poiché il mezzo che ha usato fa conquistare il potere, ma non la gloria. Però in certi momenti può essere necessaria la violenza per assicurarsi o mantenere il potere. In questi casi bisogna infliggere la violenza tutta in una volta, come il tiranno di Siracusa Agatocle che si liberò in una sola volta di tutti gli oppositori. Non bisogna trascinarla in lungo, perché questo rende insicuri i sudditi neutrali e gli amici, inducendoli a complottare per rovesciare il principe. Machiavelli poi osserva che gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre che la confisca del patrimonio. Di questo devono tener conto i principi quando devono render giustizia o colpire gli oppositori. Politica ed etica, secondo Machiavelli, sono due entità separate. Il principe che intendesse mantenere sempre un comportamento morale in politica finirebbe per rovinare se stesso e lo Stato. L’etica giudica ciò che è bene o male; la politica ciò che è utile o dannoso. Sulla questione se sia meglio per un principe essere amato per la sua pietà o temuto per la sua crudeltà. È meglio essere temuti che amati perché gli uomini sono più portati ad aggredire uno che ispira amore piuttosto che timore.
Nel capitolo XVIII si interroga se sia opportuno, per i principi, mantenere i patti giurati. Machiavelli propone un ragionamento di vasta portata e su più piani. Esistono, dice, due modi di combattere: uno con la legge, l’altro con la forza. Il primo è proprio solo dell’uomo, il secondo dell’uomo o degli animali. Ora; nemmeno tra gli uomini civilizzati si può fare a meno della forza e della ferocia. Quindi, il principe ideale può rappresentarsi come un centauro: metà uomo, metà bestia. La ferocia deve talvolta far ricorso all’astuzia. Quindi, la parte animalesca del principe deve comporsi di volpe e leone. Machiavelli si rende conto del pericolo che la sua riflessione sia generalizzata fino a comprendere i rapporti tra gli uomini comuni e sia svalutata la morale. Egli allora, per questioni di ordine pubblico, ribadisce l’importanza della morale e della distinzione tra bene e male.
L’analisi della situazione a lui contemporanea: diversi sconvolgimenti erano accaduti a quel tempo. Potenti signori (Sforza, Aragonesi) avevano perduto i propri stati, altri più piccoli i loro domini. Gli stessi Medici erano stati esiliati. Tra le ragioni adduce: nessuno di loro aveva sudditi propri in armi e guidati dal principe; alcuni di loro aveva nemico il popolo e non era riuscito a controllare le trame dei signori più potenti. Ma al di là di questi errori, gli eventi non sarebbero avvenuti senza un insieme di circostanze determinate dal caso. Ma contro il caso c’è possibilità di difesa. Perciò a una mutazione delle condizioni deve perciò corrispondere un rapido riscontro.
Nel capitolo XXVI egli propone a Lorenzo de’ Medici il giovane, nipote del Magnifico, di liberare l’Italia dagli stranieri. È un sogno che già Petrarca aveva fatto.