di Sergio Mauri
Un ulteriore passo in avanti rispetto alle teorie assolutistiche di Hobbes e Locke, che vedono nello Stato “il male necessario”, in Kant è quello della (possibile) estinzione dello Stato nel cosiddetto “regno dei fini”. “Regno dei fini” che sembra più un espediente per chiudere la propria argomentazione teoretica che non un qualcosa di dimostrabile in concreto. Non si capisce, infatti, da cosa scaturirebbe il “regno dei fini” se non, come affermato da Kant stesso, dalla trasformazione del cittadino/suddito in una “persona morale”, trasformazione attuabile solo se si presume un ruolo demiurgico della ragione, snodo centrale, quest’ultima, di tutta la riflessione kantiana.
Il limite dell’argomentazione kantiana risiede, dunque, nell’indimostrabilità del passaggio al “regno dei fini” che decreterebbe la fine della necessità dello Stato. L’argomentazione, allora, in tal caso, andrebbe ridotta a topos utopico, ovvero a punto di riferimento ideale irraggiungibile, situato fuori dallo spazio e dal tempo a noi conosciuti e conoscibili.
