Il Quantitative Easing europeo.

BCE
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Sui nostri media imperversa la leggenda che la BCE, non potendo per statuto stampare moneta, non può allentare la morsa dell’austerity facendo “ripartire” l’economia nello stile FED o BOJ.

Nulla di più falso! Nell’anno e mezzo di governo (antidemocratico) Monti, Draghi ha immesso liquidità nel sistema per un importo di circa 2000 miliardi di euro, una cifra enorme, spropositata. Un QE in piena regola di cui noi cittadini non ci siamo accorti perché non li abbiamo proprio visti. Dove sono finiti questi soldi? Negli istituti finanziari ! Si tratta di una scelta politica: si è scelto di salvare il settore finanziario a discapito dell’economia reale e produttiva. Tutto ciò, per il poco di economia che ho studiato, mi dice che – grazie a questa operazione di “salvataggio” – tutti i beni capitali, gli investimenti, gli assets continentali hanno subito una certa svalutazione. Il capitale pubblico, improduttivo, deprime i profitti.

Questa scelta politica non ha penalizzato la Germania, il Benelux, l’Austria la Danimarca o i paesi scandinavi, che hanno una struttura industriale consolidata e superstite, ma i paesi come il nostro che ce l’hanno indebolita o la stanno perdendo. Questo tipo di politica economica portata avanti dai paesi strutturati sul piano industriale potremmo definirla come una sorta di colonialismo economico che ci obbliga a mantenere in vita il cuore industriale dell’Europa (comprando le merci che produce, andandoci a lavorare perché qui si fa la fame….), distruggendo le nostre basi economiche, ma danneggiando alla lunga tutto il sistema euro-occidentale, inclusi i paesi che stanno meglio.

I costi di questa operazione sono e continueranno ad essere pesanti e porteranno alla fine dell’Europa che abbiamo conosciuto quando eravamo bambini. Inoltre, mentre da una parte si parla apertamente della trasformazione dell’Europa periferica in museo, dall’altra si vuole salvare, senza parlarne molto, ma con convinto understatement, il nucleo produttivo dell’Europa stessa comprimendone al massimo i livelli di vita complessivi, eccettuato qualche regalino per i lavoratori dei paesi più importanti. Il progetto è quello di durare il più possibile saldando le briciole di privilegio ai lavoratori alla strategia imperiale del grande capitale europeo.

Tutto ciò, con nello sfondo lo scontro tra grandi capitali, può ancora funzionare con gli USA, fino a che l’Europa riuscirà a mantenere dei vantaggi competitivi nei confronti di quell’economia. Tuttavia gli USA, grazie a dei costi di produzione che sono il 50% di quelli medi europei (maggiori fonti energetiche a disposizione; più basso costo del lavoro; shale-gas….) sta già insidiando la posizione produttiva dell’Europa riorientando l’apparato produttivo e scalzando la Germania come paese esportatore.

Peggio ancora nei confronti della Cina che, con la sua economia dirigista e la sua capacità di assorbire qualsiasi perdita, con la quale non abbiamo praticamente alcun tipo di vantaggio competitivo, essendo ormai anche il know-how tecnologico quasi del tutto fuori dal nostro esclusivo monopolio.

Concludendo: basta parlare del 78enne che non vuole andarsene in pensione e cominciamo ad affrontare i problemi seri di questa nazione.

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