Note sui fatti di Srebrenica.

Bosnia_areas_of_control_Sep_94
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Pubblico degli estratti di un’intervista rilasciata da Peter Handke al giornalista televisivo tedesco Martin Lettmayer nel gennaio 1997 e trascritta in inglese sul sito del Congresso dell’Unità Serba. Personalmente mi trovo molto d’accordo con ciò che dice Handke, soprattutto perché corroborato con la frequentazione e l’esperienza diretta in terra jugoslava.

[…]

Il secondo dogma: lei riflette su Srebrenica e si pone degli interrogativi su questo [seconda cassetta] (…)

Come per Srebrenica, dove il massacro è stato commesso subito prima della fine, nel giugno-luglio 1995, io mi chiedo: “perché [sarebbe successo]?”. Per fini argomentativi, diciamo ch’io non metterò in dubbio i fatti nemmeno per un attimo. Non sono competente per dare giudizi… Ma gli altri dovrebbero avere dei dubbi sui fatti, visto che la storia del massacro è stata rivenduta per cinque volte su tutta la stampa mondiale. Finora nessuno ha provato che siano state ammazzate tra le tre e le ottomila persone. Non è stato provato. – Però, chiedo io, se dopo tre anni di spargimento di sangue è potuta accadere una cosa del genere, perché. Come si è potuto verificare lì un massacro di 3-8mila uomini musulmani. Perché questo? E perché si leggono di nuovo e di nuovo interventi su quel fatto? Dal giugno 1995 la storia del massacro è stata riciclata quattro o cinque o sei volte nella stampa mondiale. Nell’autunno ci sono state delle copertine sul Time, sul Nouvel Observateur, sullo Spiegel e così via. Di nuovo e di nuovo, in primavera, in autunno… Vengono mostrate fotografie aeree di zone dove, si dice, sarebbero situate delle fosse comuni. Da una fotografia satellitare ricavano che un bulldozer avrebbe dilaniato i cadaveri. Ma anche assumendo, a soli fini argomentativi, che tutto questo sia accaduto, perché, chiedo io, dopo tre anni, mentre tutti erano così stanchi di ammazzare, sarebbe dovuta o potuta accadere una cosa del genere? Io mi chiedo perché il generale Mladic’ avrebbe potuto far saltare in aria tutta quella gente. Ecco cosa mi chiedo. Sarebbe bene che uno storico, od un giornalista, sollevasse questa questione – perché?

Qui ho ascoltato due cose, il “perché?” e …

Quel “perché'” sta nel mio libro. Io chiedo “perché?”.

Ha una risposta?…

Alcuni serbi della regione mi hanno detto – ed io non so se questo corrisponde a verità, mi limito a riferire quanto mi hanno detto – mi hanno detto che i villaggi attorno a Srebrenica furono attaccati dai musulmani. Srebrenica è una cittadina piccola, di modeste dimensioni, abitata da musulmani. I villaggi rurali che la circondano sono serbi. Laggiù, da tempo immemorabile, le città sono musulmane ed i villaggi di campagna sono serbi. All’inizio della guerra, contadini serbi furono fatti a pezzi da musulmani. La guerra è stata una guerra delle città contro la campagna. Il comandante musulmano di Srebrenica era particolarmente portato a distruggere. Prima della caduta dell’enclave questo comandante di Srebrenica, uno dei pochi musulmani sospettati di crimini di guerra, [Nasir] Oric, fu trasferito a Tuzla dal Comando Generale bosniaco-musulmano una settimana prima della caduta della città. Nel frattempo costui ha aperto una discoteca a Tuzla. Bisogna chiedersi se questo tizio non sia uno dei profittatori di guerra.

Personalmente non ho informazioni dirette di prima mano, ma i miei amici serbi mi dicono che il massacro, se ha avuto luogo, e’ stato per rivalsa per tutti i villaggi serbi attorno a Srebrenica, distrutti [dai musulmani] in tre anni di guerra. E’ stata una rivalsa per le distruzioni e gli annientamenti, e sicuramente per i massacri attuati a danno dei serbi attorno a Sarajevo. Questo e’ cio’ che mi e’ stato raccontato.

E non la preoccupa il fatto … [incomprensibile]

Per lo meno quella è una spiegazione, una spiegazione che non ho mai visto dare sulla stampa occidentale. Ho anche sentito che molti soldati musulmani che scappavano da Srebrenica non cercavano rifugio ad ovest, nella loro Bosnia musulmana, ma nel paese del nemico, al di là della Drina, all’est… Cercavano la loro salvezza nella madrepatria dei serbi. Hanno attraversato la Drina su zattere e simili. Hanno attraversato la Drina verso est e tanti di loro lì sono stati internati in campi di concentramento, dove certamente non venivano trattati bene, eppure sono sopravvissuti. Ora, bisogna che si chiarisca a quanti dei soldati musulmani in ritirata è stata garantita la libertà di transito. Pare chiaro che qualcuno ha attraversato la Drina per andare in Serbia e qualcun altro ha cercato di muoversi a nord-est di Srebrenica, per raggiungere il cuore della Bosnia musulmana. Io vorrei sapere quanti sono stati e che cosa e’ realmente successo loro.

[…]

Lei e’ austriaco, e anche l’Austria ha giocato un ruolo significativo con gli interventi del Ministro degli Esteri Alois Mock. Egli e’ stato uno dei primi a riconoscere Slovenia e Croazia, e quindi a demolire il paese. Ma almeno egli si è mosso dalla sua scrivania.

Io conosco appena l’ex Ministro degli Esteri austriaco. Ma credo di poter dire che egli è un convinto antifascista, poiché egli proviene, come una volta mi disse, dalla regione del campo di concentramento di Mauthausen. Egli ha passato li un’infanzia e un’adolescenza scioccante. Non credo che abbia fatto ciò cercando qualche rivincita. Il regime austriaco è più meritevole di biasimo. Più o meno consapevolmente noi rimproveriamo ai serbi, collettivamente, di aver fatto crollare l’impero asburgico. Il popolo austriaco, ovviamente non tutto, ancora mantiene un grande odio per l’assassino di Sarajevo, Gavrilo Princip. Gli austriaci sono convinti che egli fu mandato lì dal governo serbo e dallo stato serbo. Essi incolpano i serbi di aver ridotto l’Austria a un paese così piccolo. Per me questo è un evidente atavismo (…). Per quanto mi concerne, Alois Mock non è personalmente responsabile per il riconoscimento di Slovenia e Croazia.

Questo diritto all’autodeterminazione veniva sbandierato da tutti, ma non l’ho mai sentito applicato ai serbi.

Questo e’ il massimo dell’assurdo. La nazione serba in Croazia e il 35% dei serbi in Bosnia Erzegovina: nessuno ha riconosciuto per loro il diritto all’autodeterminazione. Dove sta la giustizia? Ci sono un mucchio di chiacchiere ipocrite sul diritto alla’autodeterminazione nazionale. Ma queste nazioni, i croati e gli sloveni, credo, se ne era gia’ andate via dallo stato Jugoslavo. Specialmente nei dieci anni dopo la morte di Tito, esse non si sono mai lamentate di maltrattamenti o di essere svantaggiate sotto il governo federale di Belgrado. I loro (recenti) reclami per questi motivi, sono delle bugie provate storicamente. I croati e gli sloveni, al contrario, hanno ricevuto trattamenti privilegiati, economicamente, per quanto riguarda il commercio con il Mediterraneo, e per il turismo, e altro. Il loro cattolicesimo li ha collegati di piu’ all’Europa di quanto non sia stato per gli ortodossi.

Ha notato che i serbi, per anni, hanno lasciato in pace il ponte, ma che i croati lo hanno fatto saltare in aria?

Certo, a Mostar, e’ stata una evidente pazzia.

Ha qualche spiegazione per questo fatto? se i serbi avessero ridotto il ponte di Mostar a pezzi, allora avremmo letto articoli su questo sui giornali, un giorno e si e un giorno no? … Si puo’ dire che i serbi hanno piu’ rispetto per la cultura e i suoi tesori, come Dubrovnik, dei croati?

Questo puo’ avere a che fare con il vuoto di potere. Io non mi considero competente e autorizzato a dire che l’esercito croato porta delle responsabilita’ per la distruzione del ponte, ma apparentemente non c’erano vuoti di potere, la’. Ancora: non mi piace speculare.

La Germania ha un grande interesse per il diritto all’autodeterminazione, specialmente di Slovenia e Croazia. Sospetta che ci sia sotto un altro motivo?

Sospetto? Che cosa potrebbe essere piu’ chiaro di cosi! Temo che sia la solita lezione amara della storia per cui accade sempre quando la Germania si espande. Non c’e’ sempre bisogno di un piano dietro a cio’. Io credo che questo avviene attraverso il magnetismo economico. I negoziati politici vengono fatti sempre attraverso il potere economico. Non credo che avvenga nell’altro modo, cioe’ che la politica venga prima.

Quale puo’ essere l’interesse della Germania nella dissoluzione della Jugoslavia?

Mi chiede troppo. Non mi piace parlare di politica. Ci sono libri che lei conosce, in cui si dice che i servizi segreti tedeschi hanno collaborato con il governo croato (jugoslavo) e hanno sistematicamente preparato il collasso della Jugoslavia. Anche prima della guerra, negli anni ’80, ci sono documenti che azzardano tali sospetti. Ma come autore, io devo tenere la bocca chiusa.

Una volta, lei disse che la Germania aveva interesse ad avere dei piccoli stati lacche’ attorno ai suoi confini…

E’ vero. Dopo il crollo della Jugoslavia, sono stato spesso in Slovenia, che una volta era una delle regioni mie favorite, in parte per via dei miei antenati, mia madre e i fratelli di mia madre, che erano sloveni. Ci sono andato spesso, e ogni volta ho constatato… che lo stato [indipendente] di Slovenia veniva ridisegnato o come una provincia dell’Austria o come una fonte di manodopera per la Germania. Anche le persone che si trovavano a capo della Repubblica di Slovenia, quando faceva parte della Jugoslavia, avevano più presenza, più potere, più carisma come uomini di Stato di quanto ne abbiano adesso. La leadership della Slovenia è diventata un tirapiedi, come degli inservienti di teatro, e neanche così capaci, per servire Germania, Austria, e in qualche modo, anche l’Italia. E questo è qualcosa che chiunque va lì può notare subito.

[…]

Ho sentito delle storie di stupro. Su queste storie sono state fatte pochissime ricerche. Ma poi il parlamento tedesco ha tenuto una sessione speciale. Mi chiedo se non sia venuta prima l’iniziativa politica e poi gli articoli e i commenti.

No, seppure strano, non penso sia stato cosi’. Non e’ venuta prima la politica tedesca e poi la stampa. E’ stata la stampa tedesca, specialmente la stampa di destra, la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e i suoi giornalisti, che hanno fortemente influenzato la politica tedesca. E’ chiaro! E’ un fenomeno strano, questo immenso potere che oggi hanno i media e la stampa. Avevo ragione a dire, forse con durezza, che per quanto riguarda la Germania, la stampa, e in particolare il Frankfurter Allgemeine, costituisce il “Quarto Reich”. Esattamente come Viktor Klemperer, ebreo, ha di recente studiato il linguaggio del Terzo Reich, così oggi noi possiamo caratterizzare, in base al linguaggio, il Frankfurter Allgemeine come il linguaggio del Quarto Reich.

… e Reissmueller è il Goebbels del Quarto Reich.

Quello di Reissmueller è un misto di visionario più Goebbels. Ma Reissmueller non ha il gergo sportivo di Goebbels. Egli parlava sempre come un pugile o un maratoneta. No è più un misto tra un utopista e un boia. Questa gente dovrebbe essere portata davanti a un giudice e incriminata. [Essi richiedono] questo e quello; sarebbe meglio fare questo, oppure… Questo è il modo in uso nei Tribunali del popolo nazisti [Volksgericht]. Ricordiamoci di Mr. Roland Fleicher [avvocato nazista]. Anche se il confronto può sembrare un po’ forzato, ogni epoca ha i suoi demonizzatori e nuove forme di maliziosità e disprezzo per l’umanità e sempre nuove tecniche di travestimento. Al momento, le cose sono state camuffate per bene. La cosa peggiore è che gli affari del Quarto Reich non si fermano mai. Andrà avanti fino alla fine del tempo. La stampa, un certo tipo di stampa, avrà potere fino al Giudizio Universale. E a sua disposizione ha apparenze civilizzate. Un racconto di un testimone oculare funziona sempre. Notevole. Ho fatto una ricerca sulla grammatica e sulla struttura di questi racconti apparentemente obiettivi. Dallo stile grammaticale della prima frase, già si capisce quale sarà la conclusione. Pochi mesi fa sul New Yorker Magazine ho letto una storia ambientata a Tuzla. La guida dell’autore vive là e naturalmente parla inglese. E’ andata ad una scuola americana. Si trovavano a Tripoli, in Libia… Questo giovane uomo che parla inglese, diventa così l’eroe della storia. La prima frase dice: “Harun – oppure Haris – subì la pulizia etnica giocando a carte con gli amici a Sarajevo.” Questa è la prima frase, e, io penso, prima di tutto, che questa è pessima letteratura. In secondo luogo il taglio della storia diventa immediatamente trasparente. Terzo: è politicamente miope scrivere certe cose. E la cosa va avanti così per tutto l’articolo.

Per me il modo come sono stati trattati i serbi, come popolo intero, è chiaramente il primo grande passo dei media verso il Quarto Reich.

… un breve chiarimento: In Austria, attualmente, circola l’idea del Quarto Reich come una nuova edizione, se non una continuazione, del Terzo Reich. E’ questo quello che intende? oppure lei ha in mente in Quarto Reich come un quarto potere nello stato?

E’ una metastasi del Terzo Reich. Il Quarto Reich è proprio altrettanto pessimo come lo fu il Terzo. La sola differenza è che si nasconde sotto una superficie umana. Esso scatta per aiutare le vittime. Ma è altrettanto pessimo. E’ un altro cancro, che temo non sia curabile. Si diffonde soltanto.

Il sig. Levy e il sig. Finkielkraut, naturalmente l’hanno attaccata…

Esatto. Ma loro non sono scrittori. Loro sono “I nuovi filosofi”. Non so perché siano stati chiamati “nuovi” o “filosofi”. C’è stata un’epoca all’inizio della guerra in cui loro hanno avuto bisogno di me. Avevano bisogno di qualcuno che non fosse un filosofo, ma un autore, un autore riconosciuto che, al contrario di loro, avesse una qualche conoscenza della Jugoslavia. Dopo alcuni incontri con Finkielkraut e Bernard Henri Levy, mi fu chiaro che loro volessero soltanto usarmi. Ma appena presi le difese della Serbia, non mi vollero più vedere. Questo è un gruppo veramente poco comunicativo. E appartiene al Quarto Reich. Ci sono un sacco di soldi in ballo. E potere. In Francia i libri e i mezzi elettronici sono completamente controllati da una catena di gente come questa. Non si riesce più a far arrivare nessuna notizia. La stampa francese e la TV sono pressoché totalmente sotto il controllo di Bernard Henri Levy, così come di Finkielkraut. Alcune persone lo ridicolizzano, ma in virtù di tutti quegli indecenti, decorati, pessimi diari che lui [Levy] pubblica sulla guerra in Bosnia, nessuno lo attacca più. Non un singolo attacco. Prendono tutto come una buona letteratura. Tutto quello che basta fare è prendere un paio di frasi nel dizionario Robert’s dei luoghi comuni. Il suo lavoro è sbagliato nei suoi punti di vista, e pieno di errori di grammatica. Da non credere. Ma nessuno fa niente. C’è in giro un sacco di denaro, e di potere. Tutto questo mi fu chiaro dopo che mi incontrai un paio di volte con i “nuovi filosofi”. Decisi di non firmare nulla. E non sarei più andato ai loro incontri. Hanno usato questo fatto contro di me, ma è meglio così.

Questi signori Finkielkraut e Levy pero’ mi interessano. Potrebbero guadagnare soldi scrivendo altro, invece il primo elogia la democrazia di Tudjman, l’altro dice che l’Europa inizia a Sarajevo. Chi li ha ingaggiati?

Gli intellettuali (non intendendo niente di negativo) non sono a corto di denaro, oggigiorno. Perciò non è il denaro che li spinge. E’ il potere, il potere più del denaro. Certamente denaro e potere sono strettamente connessi. Bernard Henri Levy, credo, non ha una spiegazione per la sua demonologia. E’ taciturno, ma ingannevole. Taciturno e ingannevole, malizioso. E’ una meraviglia speculare come il suo diario di Bosnia ci mostri una quadro in cui esiste un secondo potere, oltre a quello del governo, di Chirac, etc., un potere etico e morale. Questo è quello che lui immagina. Ma questa è la difficoltà, poiché moralmente ed eticamente, lui è una papera morta. (Come noi diciamo in un proverbio austriaco, “sotto il cane”).

Una volta vidi una scena girata, penso, dalla TV tedesca, in cui Levy va al Centro Culturale Jugoslavo a Parigi, con un gruppo di suoi seguaci. A questo punto la donna che dirige il centro desidera chiudere l’edificio. Lei rifiuta di passare la chiave agli intrusi. Levy e il suo assistente, prendono la chiave alla donna con la forza. Per due o tre minuti questa donna, abbastanza anziana, urla, grida: “No, non voglio darvi la chiave, non vi appartiene. Non potete entrare qui.”

Levy rimane li, proprio come il commissario comunista dei film di seconda categoria con il suo soprabito di pelle nero, e, sorridendo, osserva il suo amico mentre rigira e strappa la chiave dalle mani della donna. Questa immagine dovrebbe essere trasmessa dai notiziari della sera, per tutti i tre minuti, su ogni emittente TV del mondo per far vedere come questo autoproclamato difensore di Sarajevo e della Bosnia, si comporta con la gente di tutti i giorni. Mi piacerebbe che tutto il mondo lo guardasse.

[…]

I media sono i più grandi profittatori di guerra. Chi li appoggia?

Molta, molta gente che io non conosco mi scrive, molti lettori. Essi dicono: “almeno prendiamo una boccata di aria fresca. Almeno leggo qualcosa di diverso sulla guerra.”

Nessun personaggio pubblico ha avuto la ventura di appoggiarla?

Nessuno, ma non ne ho bisogno.

Sarebbe potuto succedere che qualcuno dicesse: “Bene, ci uniremo al movimento. Hai ragione.” E’ impossibile avere questa opinione in Europa Occidentale?

E’ impossibile. E’ anche peggio del politically s-correct. E’ come un tabù. E’ come rompere un tabù o commettere un crimine contro la storia. E’ qualcosa che non deve essere fatto, non ora, almeno. Nel frattempo, prima del mio, sono apparsi altri libri, ma parzialmente nascosti alla visione pubblica. Altri ancora appariranno. Il giornalista Mira Becher, che probabilmente lei conosce, ha pubblicato una storia dei media in tutte le guerre degli ultimi 150 anni, cominciando con la guerra di Crimea e terminando con la guerra in Bosnia. L’editore è la DTV. E’ un buon segno che questo libra esca con la DTV, poiché è un grande editore. Ma rimane da vedere se questo problema verrà discusso sul serio. Finora ci sono stati uno o due casi di pensiero alternativo sulla guerra in Jugoslavia, ma nessuno ha raggiunto il pubblico. Anche l’articolo di Bittermann, che avete pubblicato. Io non credo neanche che abbia attratto un gran numero di lettori. Il mio è stato il primo e potrebbe essere l’ultimo libro sulla guerra in Jugoslavia. Potrebbe anche non essere mai letto, ma la parola è uscita, rivolta al popolo tedesco, al popolo austriaco – semmai esiste un “popolo tedesco”.

Ciò che sento per strada è: “Hai ragione”. La gente dice: “I serbi non dovrebbero essere trattati così”. Una cosa, allora, è venuta fuori: i serbi non possono essere così. E anche se il libro non venisse letto, sarà utile quando la gente in questo paese penserà: “No, non possiamo più accettare questa roba”. [L’articolo viene presentato per provocare commenti, critiche e ricerche, sotto il “fair use” delle leggi sul copyright.]

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