Una semplice perseveranza. Un Ritratto di Dušan Mogorovich.

Pazin/Pisino
Pazin/Pisino

[Qui a fianco, una veduta di Pazin/Pisino, nell’Istria croata]

Scrivo queste righe per ricordare la figura umana e professionale di Dušan Mogorovich, avvocato del foro di Trieste, persona squisita e di vasta cultura classica, a quasi 5 anni dalla scomparsa. Di lui ricordo i nostri discorsi sull’arte di August Cernigoj, sul mestiere di avvocato, sulla storia di Trieste e sul suo amico Fulvio Lazzari, eroe della guerra di liberazione dal nazifascismo, insignito per questo di medaglie ed onoreficenze dalla RFSJ. Parliamo, quindi, di un uomo dalle esperienze complesse e molteplici, dalle vaste conoscenze, a cui il concetto di impegno non faceva paura. Faceva parte di quella generazione che aveva raccolto il testimone della lotta per la civilizzazione dell’Europa, ben sapendo che il suo turno era arrivato.

Una caratteristica che mi ha sempre colpito nelle generazioni di una volta è quella della immediatezza nei rapporti personali; un’immediatezza capace, a volte, di risolversi in slanci di altruismo che, di questi tempi, ai più, rimangono sconosciuti. Generazioni discutibili, certo, come tutte, ma alle quali si potevano attribuire spontaneità o chiusura indifferente, sobrietà o ridondanza decadente, genuinità o ipocrisia. Oggi, diversamente, troviamo con più facilità (ed ammetto qui il mio pessimismo) apatia, ignoranza, mancanza di obiettivi e di valori costruttivi.

Conobbi Dušan Mogorovich per la prima volta di persona nel 1997 quando, assieme ai miei ex-colleghi, cercavamo un avvocato che istruisse per noi una causa di lavoro. Fu un incontro fugace e superficiale, poiché il caso volle che la causa venisse da noi affidata ad un altro studio legale.

Cominciai a frequentarlo e a conoscerlo veramente dal 2007, quando a causa di una ricerca storica che stavo conducendo, mi fu consigliato di rivolgermi pure a lui in quanto testimone dei fatti su cui stavo raccogliendo informazioni, fatti accaduti durante l’ultimo conflitto mondiale. La nostra frequentazione risvegliò in lui tutta una serie di ricordi ed emozioni, in cui le immagini di quel tempo e le persone che frequentava si trasvalutavano attraverso stati d’animo veramente importanti nella loro profondità. Era come se potesse rivivere quei momenti, quelle amicizie, quelle situazioni di pericolo (la guerra!) potendole aggiustare, dare loro un corso diverso, attinente ai suoi desideri, come in una sorta di tempo supplementare in cui si potevano ancora giocare le proprie carte.

Dušan Mogorovich, apparteneva a pieno titolo alle cosiddette “generazioni di una volta”, alla “Great Generation” come la chiamano nel mondo anglofono  ed apparteneva anche alla composita schiera multiculturale e plurilingue di questa area geografica, la Venezia Giulia, in cui si compenetrano tutti gli influssi dell’Europa centro-orientale. Nasce a Zagabria (Zagreb) nel 1924, figlio di Josip (Giuseppe) e Paula Sandak. I genitori emigrano prima a Zagabria e si trasferiscono poi a Zamas, vicino a Pisino (Pazin) nel 1927. Passano poi a Trieste. Suo padre trova impiego come operaio presso l’oleificio. Alla scuola elementare, per ovviare al suo nome di battesimo non italiano ed in stretta osservanza delle disposizioni fasciste sulla snazionalizzazione dei gruppi etnici lasciati in eredità dall’Impero Austro-Ungarico, viene “ribattezzato” Alessandro. Alle medie, però, ritorna a chiamarsi Dušan, grazie ad un corpo docente che tollera le diversità, ma tuttavia a tutto rischio e pericolo della scuola e della sua direzione didattica. Ricordo, per inciso, che a Trieste e lungo tutta l’area orientale, erano affissi dei cartelli che recitavano chiaramente “Qui si parla solo italiano”. Il mancato adeguamento alle regole del regime poteva avere dei risvolti tutt’altro che piacevoli, violenza fisica e perdita del posto di lavoro inclusi.

Egli esprime, alla conclusione delle scuole medie la volontà di iscriversi al ginnasio. La professoressa Vodinović, dell’ambiente antifascista triestino, si interessa al suo futuro scolastico. Lo fa studiare in privato, a casa, sotto l’ala protettrice dell’ingegner Sossi (matematica) e di una giovane donna per quanto riguardava l’italiano e il latino. Gli impartiscono gratuitamente le loro lezioni. Questa rete era costruita dagli antifascisti al fine di creare un’opposizione intellettuale, di qualità, al regime. Il periodo dopo l’8 settembre ’43, con l’invasione nazista di tutta la Venezia Giulia, è certamente il peggiore in assoluto per la città. La repressione antipartigiana e contro tutti gli oppositori politici, l’applicazione delle leggi razziali, l’apertura del forno crematorio della Risiera di San Sabba dove passavano ebrei e politici per le destinazioni finali in Germania e Polonia ed altri (circa 5000) furono uccisi, completano un quadro a dir poco infernale in quello scorcio di fine guerra. Egli partecipa al movimento di resistenza con atti modesti, ma estremamente rischiosi all’epoca come il portare volantini da un posto all’altro della città. Del periodo ricordava gli amici caduti o deportati, i conflitti a fuoco in città e fuori. Poi, finita la guerra, l’attività forense, la famiglia, i figli. Ritornata la pace, come per tutti, ci si poteva dedicare a costruirsi un avvenire.

Ricordo che una volta mi disse, riflettendo sulla storia di Trieste, che lui era rimasto fedele alla sua origine croata, nel nome e cognome, per una questione di coerenza etica. Mi chiese, in dialetto: “Come posso parlare con una persona che nasconde le proprie origini, come posso fidarmi di una persona che ha accettato questo cambio di identità, senza una reazione di dignità?”. Tuttavia il suo concetto di identità non era monolitico: passava dall’italiano al croato al dialetto triestino con estrema disinvoltura, poiché sapeva che l’identità significava complessità e ricchezza, non divisione ed emarginazione.

Dušan era un talento naturale: interessante, in questo senso, è la lettura della sua tesi di laurea, risalente all’anno accademico 1950-1951, intitolata “Stato e Società nella Costituzione Italiana”, dove tra excursus storico-giuridico e comparazione delle filosofie del diritto egli dà prova non solo di un’approfondita conoscenza dell’argomento, ma anche di uno sconfinato entusiasmo per la materia. Entusiasmo che ha mantenuto fino in fondo, leggendo, interloquendo con amici, corrispondenti e familiari.

Tuttavia, nell’espletamento della sua professione, la sua più importante azione penale, in qualità di avvocato, è stata la sua partecipazione, insieme ad altri 30 avvocati di parte civile, all’istruzione e al dibattimento al processo per i fatti della Risiera di San Sabba, tenutosi nel 1976 dopo più di trent’anni dalla fine della guerra. Durante il processo egli si rivolse con successo alla Cassazione, già forte della parallela opposizione del giudice Serbo, per evitare il trasferimento del processo medesimo al giudice militare che avrebbe comportato amnistie e prescrizioni previste per reati attinenti a fatti di guerra. La difesa dei criminali di guerra si basava proprio su questo escamotage, facendo finta di non sapere che in nessun codice di guerra è prevista la tortura di prigionieri o civili inermi e il loro massacro con i mezzi più disparati. Mogorovich rappresentava, assieme all’avvocato Gianfranco Maris, Antonio Šlosar che aveva perduto in Risiera ben 5 familiari.

Con l’età, inevitabilmente, ognuno di noi cambia, matura e riflette sulla propria personale esperienza di vita, in cui l’attività professionale si è fusa o è stata profondamente influenzata dalla politica. Negli ultimi tempi il suo disprezzo per i sistematici voltafaccia della classe politica sia livello locale che nazionale era netto, totale, insanabile tuttavia disciplinato ed irreversibile. Disciplinato perché, nonostante tutto e pur sempre animato da sentimenti progressisti, aveva continuato a sostenere da lontano quelle forze politiche “meno peggio” rispetto alla deriva qualunquista e conformista del ventennio breve berlusconiano; irreversibile perché la coscienza che i tempi della politica erano stati irrimediabilmente bruttati lo accompagnò fino all’ultimo.

Riposa in pace, compagno Dušan.  Počivao u miru, drug Dušan.

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