Per una democrazia responsabile (7). I sacri templi.

Ipse dixit
Ipse dixit

I Potenti sono soliti erigere templi e obelischi che li ricordino e segnalino, nel tempo, ciò che è stata o ha significato la loro presenza. Ma nemmeno questo risulta facile. Ogni monumento o scultura commemorativa, generalmente, nel breve periodo vengono dimenticati e solo in certi ben delimitati casi essi continuano ad esercitare un interesse che vada al di là del lato puramente estetico. Usualmente, prima ancora che a causa degli agenti atmosferici, essi decadono per la trascuratezza dei posteri. A volte, addirittura, vengono vissuti con odio e disinteresse. Edifici e monumenti, per quanto possano essere eretti in abbondanza in un’epoca, difficilmente sopravvivono nel tempo poiché possono essere soggetti a qualsiasi episodio distruttivo, dall’incendio al bombardamento allo smantellamento. Vi sono casi in cui i palazzi del Potere vengono smantellati e il materiale di cui erano costruiti usato per costruire altri edifici. A volte altri palazzi finiscono per assumere ruoli differenti rispetto a quelli per cui furono costruiti. Mutando le condizioni ambientali e culturali, gli uomini che in quel momento ereditano quelle monumentalità, sono costretti a vederli e considerarli sotto aspetti del tutto nuovi. Si osserva, inoltre, nell’epoca contemporanea, una certa mancanza di monumentalità, forse dovuta alla banalità di ciò che stiamo vivendo, facendo virare la progettualità piuttosto sull’imitazione, talvolta pedestre, delle forme più classiche finendo per contribuire, attraverso visioni plastiche di questo tipo, al ritardo culturale della società nel suo complesso. Nel mondo contemporaneo poi sembra sia impossibile una piacevole fruizione estetica che si integri all’efficienza produttiva richiesta, determinando una palese incompatibilità. La società industriale, in breve, non si dimostra in grado di offrire alla collettività delle forme belle, delle città vivibili, facendo si che l’uomo contemporaneo si ritrovi a godere del bello solo in musei all’aperto o al chiuso. Senza poi parlare dell’edilizia pubblica che non può reggere alcun confronto con le forme e le concezioni estetiche di epoche che sappiamo essere state governate da despoti.

Anche Hitler aveva sperato di poter diventare architetto e, quando ebbe in mano il potere, divenne un progettista ossessionato da ciclopici monumenti e templi che avrebbero dovuto tramandare nel tempo la grandezza del Terzo Reich. Nonostante a questo progetto lavorarono anche altri del regime nazista, non fu possibile raggiungere lo scopo. La prima ragione del mancato raggiungimento di esso fu la molteplicità di scuole e stili architettonici che si affermarono durante il periodo nazionalsocialista. In questa molteplicità, Hitler mancò di prendere una posizione rimanendo ambiguo al riguardo, confessando così una sua mancanza di stile e discernimento. Egli collaborò con Speer e Troost e i progetti a cui collaborò risultarono essere un compromesso tra lo stile neoclassico e quello moderno. La caratteristica produttiva di cui egli si preoccupò, tuttavia, fu solo quella che riguardava la dimensione che doveva essere colossale, sempre e comunque, di modo che le opere lasciate avessero potuto testimoniare della grandezza e della durata del suo potere. I progetti monumentali di Hitler furono pensati attraverso una proiezione di quelle che sarebbero state le rovine dei monumenti stessi nel corso dei secoli e millenni e, per rendere efficace i suoi progetti, vennero usati materiali nobili resistenti quali il granito. Ovviamente di questi progetti rimase poco: la grande Berlino non fu realizzata, le costruzioni di Norimberga rimasero incompiute, e le città Tedesche vennero ridotte ad un ammasso di irriconoscibili rovine.

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