Mito della caverna-Platone-Heidegger (II).

Mito della caverna-Platone-Heidegger
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di Sergio Mauri

Nel mito della caverna Platone tratteggia (anche) la figura del filosofo e alla fine del dialogo chiedendosi “non l’ucciderebbero?” fa un riferimento a Socrate. In Platone c’è la consapevolezza della figura del filosofo non inserito nella quotidianità.

Perché abbiamo scelto questo percorso filosofico? Due sono le linee: quella del carattere introduttivo alla filosofia e quella del confronto con la pagina filosofica, genere letterario a sé stante.

È un confronto indispensabile per “introdursi” alla filosofia. Vediamo allora la pagina filosofica di Platone e Heidegger letta da noi e Platone letto da Heidegger. Cosa significa il mito della caverna per Heidegger? La caverna è l’immagine del luogo in cui si svolge la dimensione della quotidianità, in una dimensione “naturale”.

L’immagine del fuoco interno alla caverna, del sole che fuori dalla caverna illumina le cose. Ciò che circonda gli uomini è il reale, l’ente.

Le cose visibili fuori dalla caverna, sono l’ente in senso proprio.

L’idea di Platone è non solo ciò che mi viene in mente, è qualcosa che ha a che fare con l’evidenza, con l’aspetto. Le cose che stanno fuori dalla caverna che si manifestano con evidenza (che ha a che fare con l’emergere, il mostrarsi dell’ente). Nell’evidenza è l’ente stesso che si dà a noi, che si svela. Questo mostrarsi delle cose si dice èidos o idea. Nel mito, continua Heidegger, le cose fuori dalla caverna sono le immagini delle idee. Il mito è una metafora in cui sono rappresentate le cose che sono fuori dalla caverna. Se l’uomo, dice Platone, non vedesse le cose con le idee, nel loro darsi al nostro poterle vedere, l’uomo non potrebbe mai percepire quelle cose come una casa, un albero, gli dèi, i numeri, quando vediamo, facciamo riferimento a ciò che abbiamo percepito alla luce delle idee.

La dottrina delle idee di Platone, tutto ciò che riguarda la nostra percezione sensibile, vede ciò come secondario, come adombramento. Un qualcosa dell’ordine delle ombre. Non le cose nella loro evidenza. Queste cose tengono prigioniero l’uomo, commenta Heidegger. Ciascuno di noi è prigioniero nella quotidianità.

Tuttavia, coloro che sono prigionieri nella caverna non si sentono affatto tali e chi ritornasse nella caverna dopo esserne stato fuori, rischierebbe di essere ucciso da coloro che sono rimasti dentro. La quotidianità è lo spazio adeguato all’esperienza e al giudizio, dice Heidegger. Nel quotidiano so come e dove muovermi.

Dunque, come si pensa nel mito, con la liberazione dell’uomo, esso deve torcere lo sguardo. Sguardo, comportamento, modo di pensare, l’intero individuo ne viene perturbato. All’interno della caverna ognuno di noi è padrone della situazione. L’uomo della caverna non può nemmeno supporre che la propria realtà sia solo un’ombra. Possiamo qui ricollegarci alla sussunzione in Hegel. L’uomo della caverna, della quotidianità, non può supporre la possibilità che ciò che presume essere reale in realtà è solo un’ombra.

L’uomo della caverna non vuole nemmeno vedere il fuoco interno alla caverna, per non parlare della chiarezza solare. Nel mito le cose che si mostrano da sé sono le immagini delle idee, mentre il sole rappresenta l’immagine di ciò che rende visibili le idee.

Le cose partecipano delle idee.

Noi abbiamo episteme, dice Platone, solo di ciò che non è sottoposto al divenire. To agathon idea, l’idea del bene, non è tale in senso morale. Il sole che rappresenta l’idea del bene fa si che mostri, renda visibili tutte le idee.

Nel mito della caverna Platone va oltre il simbolismo, narra di processi, cioè dei movimenti. Sono dei passaggi dalla caverna alla luce del giorno e viceversa in cui qualcosa avviene. Platone descrive il passaggio dalla quotidianità alla filosofia.

I passaggi in cui gli occhi si devono abituare alla luce e all’oscurità sono dei perturbamenti.

Vi si riscontra una similitudine tra gli occhi e l’anima. L’anima può essere assegnata a un ambito dell’ente: ombre o idee. Anima qui è l’equivalente di mente, qui si parla di psyché; quindi, la dimensione religiosa è qui assente. L’essere assegnato dell’anima a un determinato ambito dell’ente non è in Platone, ma in Heidegger.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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