Mentalità concentrazionaria.

Chiusure
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[La prima parte del testo che nulla c’entrava con i fatti di Mesagne l’ho scritta nel 2006. La seconda parte nel 2007. Il testo completo l’ho corretto oggi. Ci sarebbe da domandarsi se le cose siano cambiate, in questi anni. Forse non lo sono o lo sono in maniera del tutto insufficiente. Di fronte all’attentato di Mesagne del 19 maggio 2012 si scatenarono le più fosche dietrologie. Qui la verità sui fatti. Rimane il fatto che, sicuramente come da italica tradizione, qualcuno ha lanciato un messaggio a qualcun’altro. ]

Una volta, per far fuori la gente, per eliminarla, c’era bisogno di azioni esplicite, si affrontavano le cose di petto. D’altronde non c’erano altre possibilità. Oggi non c’è bisogno di campi di concentramento e di sterminio, poiché abbiamo trasformato le nostre stesse città in immensi campi di concentramento, dove la violenza fisica esplicita è soft, ma ben più pesante è quella che si esercita psicologicamente, dovuta alla nostra disponibilità all’auto-controllo e all’auto-coercizione. Fuori delle nostre gabbie non esistiamo, non conosciamo cosa ci può essere, preferiamo stare dentro. Amiamo la nostra cattività.

Campi di concentramento allargati, sconfinati, arene dove tutti veniamo gettati e, ognuno coi propri mezzi, lottiamo per la sopravvivenza a scapito degli altri. La mentalità del campo di concentramento ci ha presi tutti, indistintamente, qui ad Occidente. Occidente di che? Rispetto a chi e a che cosa? L’Occidente è dappertutto.

Un campo di concentramento che si rispetti, deve vivere nel terrore. Di terrorismo allora dovremmo parlare. Ci fa agio ricordare che la sconfitta delle BR ha convinto tutti che non erano riuscite a destabilizzare alcunché. Ma sono servite moltissimo a stabilizzare, perché in un campo di concentramento in cui tutte le forze politiche si sono impegnate a difendere il governo dello stesso contro il terrorismo ha indotto l’opposizione a essere meno aggressiva, a tentare piuttosto la via del consociativismo. Pertanto le BR hanno agito da movimento stabilizzatore, conservatore. Che lo abbiano fatto per errore politico o perché dovutamente manovrate, poco conta. Quando il terrorismo perde, non solo non fa la rivoluzione, ma agisce come elemento di conservazione, ovvero di rallentamento dei processi di cambiamento. L’errore del terrorismo è stato nel confidare nell’esistenza e nell’appoggio di milioni di sostenitori in una potenziale area rivoluzionaria violenta che non c’era e non c’è.

E le bombe servono a conservare.

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