Il salto ontologico di Heidegger.

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di Sergio Mauri

Avvertenza: il salto ontologico per Heidegger è quello tra livello ontico e, appunto, ontologico, tra ricerca scientifica e ricerca dell’essere, il suo vero obiettivo. Tuttavia, anche il salto dalla dimensione quotidiana è la concreta dimensione di fatticità da prendere in esame in direzione della ricerca dell’essere. Iniziamo.

Il salto “ontologico” o semplicemente il salto di Heidegger consiste in un passo brusco e improvviso in una dimensione altra rispetto a quella quotidiana. Per Heidegger se vogliamo filosofare dobbiamo effettuare quel salto attraverso il quale abbandoniamo il pensiero comune, quotidiano. Il pensiero conseguente al salto così identificato sarebbe ontologicamente diverso, cioè diverso nella sua essenza da quello comune.

Si tratta di un atto di fede, non di un percorso verificabile nella sua presenza e consistenza concreta. Si tratta di un atto parallelo a quello che viviamo quando accettiamo il salto ontologico di specie, tra gli animali e l’uomo e, per farlo, dobbiamo avvalerci di un intervento esterno, nella fattispecie dell’intervento divino attraverso cui l’uomo è certificato nella sua essenza ontologicamente superiore o prodotta da quel salto. Per la precisione la sua anima sarebbe creata da Dio.

È un atto di fede poiché tutto ciò che possiamo verificare del salto è una, nel migliore dei casi, nuova configurazione degli enti, una configurazione sempre umana, troppo umana, per parafrasare Nietzsche, per darci veramente coscienza del salto avvenuto che non dovrebbe essere solo un profferirlo a parole, ma un identificarlo nei fatti.

I fatti quali sarebbero, allora? L’autoisolamento di Heidegger nella Selva Nera? La sua riuscita stesura di opere senza dubbio importanti per l’umanità, ma in buona compagnia, tutto sommato? Quale sarebbe la differenza ontologica nelle teorie filosofiche e nei filosofi che le hanno propugnate e hanno sostenuto, dato una base ideologica o concettuale ai movimenti politici degli ultimi secoli? Il nuovo inizio sperato da Heidegger su quali concreti costrutti realizzativi si baserebbe?

Il salto e la sua cosmogonia richiamano alla mente piuttosto un atto a noi molto familiare che in questo caso chiameremo parallelo, nel quale alla religione il cui Dio che è morto (Nietzsche) si sostituisce la filosofia che rappresenta quell’intervento esterno, stavolta laico, umano, ma da parte di uomini superiori, ontologicamente superiori, in grado di certificare la diversità, la specificità ontologica del filosofare. I filosofi, dunque, sarebbero i nuovi sacerdoti di un nuovo culto che non è semplicemente quello della filosofia, ma quello delle differenze in virtù del salto che si è o non si è spiccato.

Si sostituisce al Dio della religione il dio della filosofia, come tempo addietro si era sostituito al Dio monoteista, la Ragione o il Partito e la fede politica. Sappiamo bene che, a prescindere dai sentimenti e dalle speranze che ognuno ha nutrito verso il cambiamento del mondo che, tuttavia, c’è stato e non è stato un’illusione, quel cambiamento è stato costellato di cose, relazioni e pensieri molto comuni che, invece di dimostrare l’esistenza di un salto ontologico ha semmai dimostrato una derivazione e una continuità col pensiero quotidiano. Il pensiero filosofico potentemente alle spalle di tali fenomeni sociali ha prodotto cose molto comuni. La filosofia, in un certo senso, ha dimostrato la sua vera natura. Questo procedimento rimane, tuttavia, un atto di fede, una certificazione che la filosofia, per bocca di un determinato filosofo, fa di sé stessa, in evidente conflitto d’interessi. Da notare che è ben diverso però ubbidire alla voce di Dio o a quella di un surrogato, di un illuminista, di un filosofo o di un uomo politico. Il voler riproporre, come sembra fare Heidegger, quel “momento originario” (Nietzsche) per mano della filosofia, non può produrre gli stessi effetti di quello alla base delle religioni.

Ci preme qui osservare anche che il salto ontologico potrebbe preludere al salto nella torre d’avorio dove un gruppo di eletti pensa, parla e decide dei destini del mondo, un ritorno dell’idea platonica sotto diverse spoglie, in aperta contraddizione con una realtà, diciamo così empirica, con cui ci confrontiamo tutti e cioè quella in cui sono le banalità, le concretezze degli interessi a dominare e determinare, da epoca immemore, i destini di noi tutti. Gli incolti dominano. E di questo i filosofi, Heidegger incluso, si lamentano. Se Heidegger voleva dire, come Platone, che il sapere deve stare al potere, se ne può anche discutere. Conosciamo già i rischi di una tale idea e l’abbiamo vista all’opera nell’ultimo secolo in mano ai competenti, agli eletti, ai superiori o a quelli che fanno gli interessi di “tutti” partendo dagli ultimi.

In conclusione, secondo noi, si potrebbe parlare non di salto ontologico, ma di specializzazione di pensiero. Una concezione certamente meno eroica e superumana, ma chiaramente più abbordabile e, in definitiva, più riscontrabile dalla nostra esperienza di vita. Preservandoci, tra l’altro, dal creare una ulteriore élite che abbia il mandato “ontologico” di guidare le nostre vite.

Di questo salto, di cui abbiamo parlato finora, si è da più parti detto non caratterizzarsi in una direzione di superiorità, verso l’alto, nemmeno si dice trattarsi di un salto migliorativo. E, tuttavia, la cosa non ci convince. Ci sembra al contrario evidente che Heidegger ricercasse il distacco dalle masse, dal pensiero comune e quotidiano, considerato erroneo e banale, attraverso la ripresa e riconfigurazione di questo salto. Se noi cerchiamo il contrario dell’aggettivo comune troviamo degli aggettivi che hanno tutti un significato positivo, migliorativo rispetto al primo: inconsueto, paradossale, sovrumano, stupefacente, favoloso, singolo, individuale, fino, prodigioso, portentoso, inaudito, mirabile, fenomenale, miracoloso, soprannaturale, mirabolante, peregrino, notabile, inenarrabile, romanzesco.

Detto questo e in conclusione di questo breve scritto, dobbiamo dar merito a Heidegger di aver tentato di ridare grandezza al pensiero occidentale e a quello filosofico in particolare, anche come impegno e lavoro nella direzione di un cambiamento di coscienza e di prassi quotidiana, pure percorrendo una strada che nelle righe precedenti ho definito come non del tutto chiara e non del tutto corretta nei confronti dei lettori e dei possibili fruitori del suo messaggio, ma che (quasi) nessuno (Wittgenstein?) nel Novecento ha veramente provato a percorrere, vivendo oggi sulla nostra pelle una sorta di nemesi storica nell’asservimento praticamente totale degli intellettuali alla causa del potere dominante, in tutte le sue possibili varianti economico-politiche planetarie.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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