Ernst Jünger, Carl Schmitt-Il nodo di Gordio.

Il nodo di gordio-Carl Schmitt-Ernst Jünger
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di Sergio Mauri

Il nodo gordiano, ben più di un semplice nodo intricato, rappresenta un emblema ricco di simbolismo e significato, che affonda le sue radici nella mitologia greca e ha trovato eco in svariati ambiti, dalla politica alla filosofia, fino a permeare la cultura popolare. La leggenda narra che il nodo gordiano fosse un nodo inestricabilmente complesso che legava il giogo al timone del carro di Gordio, un contadino frigio divenuto re per volere di un oracolo. Secondo la profezia, chi fosse riuscito a sciogliere il nodo sarebbe diventato imperatore d’Asia.

Nel 334 a.C., Alessandro Magno, giunto in Frigia durante la sua campagna di conquista, si trovò di fronte al nodo gordiano. Dopo aver tentato invano di scioglierlo con la forza, impugnò la spada e lo tagliò di netto. Secondo alcune versioni, esclamò: “Poco importa come lo si sciolga!”. Da quel momento, l’espressione “tagliare il nodo gordiano” è entrata a far parte di diverse lingue, assumendo il significato di risolvere un problema in modo drastico e sbrigativo, anche se non ortodosso. Il nodo gordiano divenne così metafora di difficoltà apparentemente insormontabili, che richiedono soluzioni audaci e non convenzionali.

Oltre al suo valore pratico, il nodo gordiano ha assunto nel tempo significati più profondi e sfumati. In ambito politico, è stato utilizzato per rappresentare situazioni intricate e bloccate, che richiedono un’azione decisa per essere risolte. In filosofia, il nodo gordiano è stato interpretato come simbolo dell’impossibilità di risolvere alcuni dilemmi attraverso la razionalità pura, suggerendo la necessità di soluzioni intuitive o creative. Il fascino del nodo gordiano ha ispirato anche opere letterarie, artistiche e cinematografiche. Lo si può ritrovare in romanzi, poesie, dipinti, sculture e persino film. La sua immagine continua ad evocare un senso di sfida e mistero, invitando a riflettere sulla natura dei problemi e sulle modalità per affrontarli. Il nodo gordiano rappresenta un’eredità culturale ricca e complessa, che trascende il semplice mito per assumere il ruolo di simbolo universale di difficoltà, ingegno e soluzioni audaci.

Ernst Jünger e Carl Schmitt tra convergenze e divergenze.

Ernst Jünger e Carl Schmitt, figure di spicco del pensiero tedesco del XX secolo, condivisero un terreno comune in alcuni aspetti cruciali, pur differenziandosi per visioni e approcci in altri. Punti di contatto:

  • Critica al liberalismo e alla democrazia parlamentare: entrambi nutrivano un profondo scetticismo verso il liberalismo, considerato da loro incapace di affrontare le sfide del tempo e incline al declino. Inoltre, criticavano la democrazia parlamentare, ritenuta inefficiente e incapace di esprimere una volontà popolare autentica.
  • Rifiuto del razionalismo illuminista: entrambi mettevano in discussione l’idea di un progresso lineare e inevitabile basato sulla razionalità illuminista. Ritenevano che la storia fosse guidata da forze irrazionali e da pulsioni primordiali.
  • Esaltazione del decisionismo e del potere sovrano: sia Jünger sia Schmitt attribuivano un ruolo centrale al decisionismo e al potere sovrano nel determinare il corso degli eventi. Enfatizzavano la necessità di un leader forte capace di prendere decisioni rapide e risolute in situazioni di crisi.
  • Influenza della Grande Guerra: entrambi furono profondamente segnati dall’esperienza della Prima Guerra Mondiale, che contribuì a plasmare la loro visione pessimistica della natura umana e del futuro dell’Europa.

Divergenze:

  • Approccio al “politico”: Jünger tendeva a concepire il “politico” in maniera più ampia e fluida, includendovi elementi come la guerra, la tecnologia e l’esperienza individuale. Schmitt, invece, offriva una definizione più ristretta e giuridica del “politico”, concentrandosi sul potere sovrano e sulla distinzione amico-nemico.
  • Ruolo della tecnologia: Jünger era affascinato dal potenziale della tecnologia e ne esplorava le implicazioni filosofiche ed esistenziali. Schmitt, al contrario, era più cauto nei confronti della tecnologia, vedendola come una potenziale minaccia all’autonomia umana e all’ordine sociale.
  • Visione del futuro: Jünger manteneva un atteggiamento più ambiguo e aperto verso il futuro, pur riconoscendo la possibilità di scenari distopici. Schmitt, invece, tendeva ad assumere una posizione più pessimistica, preconizzando un futuro di conflitti e declino per l’Europa.

Il nodo di Gordio di Jünger e Schmitt è un libro godibile, scritto molto bene, con competenza. Tra i due il più scorrevole risulta essere Jünger, le cui doti di letterato sono note e altissime. Riallacciandoci al discorso fatto più sopra, sul mito del nodo di Gordio, vediamo di capire i contenuti del testo, per grandi linee.

Il libro prende il nome dal celebre mito greco; la prima parte è di Jünger, la seconda di commento all’opera di Jünger è di Schmitt. Al centro del dibattito vi è la contrapposizione tra Oriente e Occidente, interpretata come scontro tra due concezioni antitetiche del mondo e dell’ordine politico. Il libro si sviluppa attraverso una serie di riflessioni che spaziano da considerazioni geopolitiche a discussioni filosofiche sull’essenza del potere e della sovranità. Entrambi gli autori, più o meno velatamente, esprimono una critica al liberalismo e alla democrazia, ritenuti incapaci di affrontare le sfide del tempo e tendenzialmente declinanti. Se volessimo riassumere a grandi linee i contenuti del libro, potremmo dire che in esso vi è una critica al liberalismo e alla democrazia come già osservato; una valutazione del decisionismo e del potere sovrano; un contrasto (che vedremo meglio) tra Oriente e Occidente; una riflessione ampia, ma non esaustiva, sul piano filosofico, storico e geopolitico di questa contrapposizione più che geografica, culturale.

Jünger attribuisce delle caratteristiche culturali peculiari (etiche, morali, politiche) ai due macrocampi Oriente e Occidente che, in definitiva, sono trattati (anche) come campi semantici. A Oriente e Occidente sono attribuite delle caratteristiche culturali, quindi, ma in modo essenzialmente indimostrato. Questa attribuzione serve a costruire due campi circoscritti e soprattutto contrapposti, sul piano del valore innanzitutto.

Come sono, gli esempi portati dall’autore, i contenuti di questa contrapposizione? Parziali e non del tutto affidabili. Costruire delle categorie nette tra due culture è complesso e infatti Jünger è costretto a dire che c’è una certa fluidità tra i due campi anche se i significati definitivi e decisivi sono quelli. In questa costruzione, secondo me arbitraria, è importante attribuire all’altro delle caratteristiche tali da poterlo categorizzare con sicurezza. Elemento che, per esempio, ho già ritrovato in Heidegger è quello di usare un termine che nella nostra cultura ha un significato chiaro e dire che non è ciò che si vuole dire in toto e quindi introdurre alcune chiose, spiegazioni, approfondimenti. Anche plausibili che, tuttavia, introducono un senso di continuo rifacimento delle categorie linguistiche applicate ai campi semantici. In conseguenza di ciò, è fatale il potersi dotare di contromisure giustificate: se l’altro è, diciamo, ontologicamente non libero e più feroce di te, allora tu puoi certamente rispondergli a tono. Il problema, però, a mio avviso sta ad avere tale certezza. Di solito, sembra di capire, basta esserne convinti.

Tuttavia, con qualche oscillazione (per esempio a pagina 122), a pagina 81 Jünger riconosce che i due ethos, quello orientale e quello occidentale, non sono l’uno superiore all’altro, ma solo diversi. In Jünger coesistono morigeratezza e radicalità, estremismo e tranquilla costruzione comunitaria. Va riconosciuto che Jünger si sofferma criticamente più volte sugli “errori” del nazismo, sulla figura di Hitler e di alcuni gerarchi. Cosa assente in Schmitt.

Ciò che in Jünger è contrapposizione tra Oriente e Occidente, in Schmitt è contrapposizione terra-mare (vedi Il nomos della terra[1]), potenze di terra e potenze di mare. Un classico della geopolitica. Qui si esplicita un tema interessante che, secondo Schmitt stesso, dovrebbe essere sviluppato proprio come fece Marx riguardo l’economia politica e la lotta di classe ed è il tema dell’incessante lotta tra terra e mare, potenze continentali (Europa e Asia certamente) e marittime (Inghilterra e Stati Uniti). Di attualità ritengo sia lo Schmitt fautore di un multipolarismo ante-litteram, molto chiaro nel testo. Contrario a un governo del mondo, egli delinea la prospettiva di una pluralità di paesi e popoli che possano articolare, attraverso una nuova regolamentazione pattizia, i rapporti di potere internazionali.

Un libro affascinante, discutibile, singolare che consiglio di leggere.


[1] Il nomos della Terra è un’opera importante di Carl Schmitt. Pubblicata per la prima volta nel 1950, rimane un testo di grande influenza e dibattito nell’ambito del diritto internazionale e della teoria politica. Ecco i punti chiave:

  • Tema centrale: il titolo “Nomos” fa riferimento al concetto greco di legge o ordine. Il libro esplora il concetto di ordine nel regno internazionale, concentrandosi in particolare sullo sviluppo storico del diritto internazionale in Europa.
  • Critica delle teorie esistenti: Schmitt sostiene che le teorie esistenti sul diritto internazionale, in particolare quelle basate su principi universali, siano inadeguate. Propone un approccio più realista che tenga conto del ruolo della forza e della distinzione tra amico e nemico che plasmano le relazioni internazionali.
  • Focus sull’Europa: l’analisi di Schmitt si concentra principalmente sullo sviluppo storico dello jus publicum europaeum, un ordine giuridico specifico dell’Europa. Sostiene che questo ordine, basato su una comune civiltà cristiana, sia stato minato dal secolarismo moderno e dalla globalizzazione.
  • Sovranità e decisione: un concetto centrale in “Nomos” è quello di sovranità. Schmitt sottolinea l’importanza di un soggetto sovrano che possa agire con decisione in tempi di crisi. Questo concetto è stato criticato per giustificare potenzialmente il governo autoritario.

Perché “Nomos” è significativo:

  • Testo fondamentale: “Nomos” è considerato un testo fondamentale nel campo del diritto internazionale critico. Sfida gli approcci tradizionali e ha suscitato un continuo dibattito sulla natura dell’ordine internazionale.
  • Aspetti controversi: l’enfasi del libro sul potere, sulla distinzione amico-nemico e sul declino di un ordine europeo è stata criticata per giustificare potenzialmente guerra e imperialismo.
  • Lascito: nonostante le polemiche, “Nomos” rimane un testo importante per comprendere i dibattiti contemporanei sul diritto internazionale, il ruolo del potere e il futuro dell’ordine globale.
Sergio Mauri
Autore: Sergio Mauri, Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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