Marx e il Capitale.

Il Capitale di Karl Marx
Il Capitale di Karl Marx

Marx intende scrivere una critica dell’economia politica. Per Marx parlare del Capitale e di critica dell’economia politica è la stessa cosa. Quando comincia a lavorarci? Dopo il fallimento delle rivoluzioni europee del 1848-49, al tempo della “primavera dei popoli“, quando si voleva fare “la repubblica” e gli operai di Parigi insorsero venendo poi sterminati.

Marx fugge a Londra dove rimarrà fino alla fine della sua vita a fare attività politica e a studiare l’economia politica alla British Library. Conoscerla per criticarla, questo il suo obiettivo.

Quindi, tutte le pubblicazioni precedenti del Marx del 1850-51, si potrebbero definire come quelle di un ignorante. I libri di un ignorante di economia. Quindi, tutto ciò che egli scrive intorno all’alienazione e al feticismo della merce, al pari dei contenuti del Manifesto, non sono corroborati da una teoria che spieghi le ragioni di certe affermazioni.

Marx, fino al 1950-51 è, dal punto di vista politico, un bambino. Nel 1857, dopo anni di studio, Marx scrive due volumi, i Grundrisse (Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica). Sono, più che un’analisi, una visione del mondo, una sua personale spiegazione della realtà e, quindi, del capitalismo. Vengono pubblicati per la prima volta in tedesco nel 1939 a Mosca. Una pubblicazione che rimane inosservata visti i tempi che correvano. Viene poi tradotto in francese e poi in italiano nel 1968.

Il progetto del Capitale sta in una lettera del 1858 che parla del Capitale come del sistema dell’economia borghese esposto criticamente. Il progetto è quello di fare 6 libri (6 parti) sul tema:

  1. Capitale (profitto)

  2. Proprietà fondiaria (rendita)

  3. Lavoro salariato (salario)

  4. Lo Stato

  5. Commercio internazionale

  6. Mercato mondiale

Per inciso è con la costituzione del mercato mondiale (globalizzazione) che esplode la contraddizione del capitale, poiché il capitale gioca ora a tutto campo, senza limiti. I capitoli preliminari del Capitale sono due, quello sulla merce e quello sul denaro. Il tema del Capitale si divide in tre parti: produzione, circolazione, unità (dei due processi precedenti), cioè profitto ed interesse.

Nel 1859 Marx pubblica “Per la Critica dell’economia politica“, un libro che tratta della merce e del denaro, ma non dice nulla del capitale. Nel 1867 esce il 1° libro del Capitale. Nel 1885 Engels, sulla base degli appunti di Marx pubblica il 2° libro del Capitale. Nel 1894, sempre grazie ad Engels, esce il 3° libro del Capitale.

Nel 3° libro del Capitale ritroviamo la proprietà fondiaria, ovvero la teoria della rendita. Anche gli appunti sul lavoro salariato non hanno autonomia, ma vengono pubblicati nel 1° libro, nella parte inerente la produzione del capitale. Qui finisce il lavoro di Engels.

Lenin scrive una teoria dello Stato, cercando di completare quindi, il lavoro di Marx ed Engels. Sul commercio internazionale è l’economista marxista Grossman a scrivere, alla fine degli anni ’20 del secolo scorso. Sul mercato mondiale e la crisi non ci ha ancora provato nessuno.

La trama del Capitale

Nel 1969 Luis Althusser pubblica un articolo sull’Humanité dal titolo “Come leggere il Capitale”. In questo articolo Althusser dice che il Capitale è un libro di teoria pura. Da, quindi, dei consigli per la lettura del Capitale. Secondo lui le difficoltà nella lettura del Capitale risiedono all’inizio del 1° libro del Capitale, nella 1^ sezione dove si parla di merce e denaro. Dalla 2^ sezione invece, le cose sono subito chiare.

Si parte allora dalla 2^ sezione: trasformazione del denaro in Capitale. Partiamo allora da come si produce il capitale. Il frutto del capitale si chiama pluslavoro. Come si produce il pluslavoro? Dobbiamo andare alla massimazione del pluslavoro: 3^ e 4^ sezione del Capitale. Finalità del pluslavoro: 7^ sezione del Capitale.

Partiamo da ciò che Marx ha scoperto e definito: il modo di produzione. Le cose di cui siamo circondati non esistono in natura, bisogna capire come vengono prodotte. Bisogna dare un definizione di produzione. La definizione più calzante è quella di ricambio organico tra uomo e natura. Quindi il modo di produzione è il ricambio organico tra uomo e natura.

C’è quindi l’uomo e c’è la natura. L’uomo è un ente di bisogni, ha bisogno di tutto al contrario degli animali, provvisti di pelle, corazza, unghioni, zanne.

La natura è una riserva di beni. Quindi, è sufficiente che l’uomo eserciti un’attività pratica sulla natura per impadronirsi di tutto quello che gli serve. Si tratta della relazione produzione-consumo. Il ricambio organico è un processo che si svolge tra l’uomo e la natura, nel quale l’uomo – per mezzo della propria azione – media, regola, controlla e ricambia la natura, vi si contrappone, per appropriarsi di forme usabili per la propria vita.

Tuttavia, cambiando la natura egli cambia se stesso. Il ricambio organico è necessario, collettivo, ed è storicamente variabile. Noi, oggi, viviamo in un’economia mercantile, un’economia di merci. In questa economia, per avere una merce ne devo cedere un’altra. Lo scambio di merci, tuttavia, non avviene per baratto, ma per scambio di denaro. Viviamo allora in un’economia monetaria. Ma non siamo solo in un’economia mercantile e monetaria, siamo anche in un’economia capitalistica. E che cos’è il capitale? È una cosa? No, è un diverso modo di intendere la circolazione merce-denaro. Nell’economia capitalistica la circolazione inizia con denaro (D-M-D’).

D’-D>0 è il plusvalore (profitto). Quindi viviamo in una società mercantile, monetaria, con finalità di plusvalore, cioè in una società capitalistica.

Keynes, ammette che Marx ha ragione quando non individua la natura della produzione nel mondo reale un caso del tipo M-D-M caro agli economisti, bensì D-M-D’. Questo incremento si chiama plusvalore.

Ma c’è un problema che ci trasciniamo dietro da 2500 anni, da quando Aristotele scrisse l’Etica Nicomachea, nel quale egli pone la condizione secondo la quale nel mercato lo scambio deve avvenire tra merci equivalenti. In giustizia e secondo principio commutativo si esige che gli scambi avvengono tra equivalenti. E qui abbiamo il paradosso che se non c’è equivalenza non c’è plusvalore. Quindi, nell’economia capitalistica, si presuppone il plusvalore, ma non vi è l’equivalenza, perciò qualcuno t’ha fregato e ci guadagna.

Come viene risolta la contraddizione, allora? Col denaro D produco una merce M, passa del tempo, la merce M accresce il suo valore in M’, la rivendo incassando D’. Ma cosa succede allora durante quel tempo che accresce il valore della merce M? Deve avvenire un processo di produzione che può essere fatto dalla natura o dagli esseri umani. Allora, le merci che acquisto servono per produrre, servono ad iniziare un processo di produzione. Come si fa a produrre? Intanto servono due tipi di merci: i mezzi di produzione e i lavoratori.

Dal processo di produzione svolto da entrambi i tipi di merci esce il prodotto e ci guadagno un plusvalore. Il valore dei mezzi di produzione e della forza lavoro devono essere pagati, al loro giusto valore. Gli economisti classici avevano trovato una definizione di lavoro: una merce vale il tempo necessario per produrla (Smith e Ricardo). Qundi, il valore non coincide col prezzo. Allora quanto sarà il valore dei mezzi di produzione? Il tempo necessario per produrli. Questo Marx lo chiama lavoro morto. Il valore della forza lavoro è il valore necessario a produrla. Cosa vuol dire produrre la forza lavoro?

Dal concepimento alla nascita, all’allevamento, alla sopravvivenza di quell’essere nato tempo addietro, ad arrivare alla formazione (istruzione) di un individuo, ci vuole un tempo di lavoro per farlo, per mantenerlo e per formarlo. È il lavoro necessario di Marx. Il lavoro necessario si risolve innanzitutto nei mezzi di sussistenza necessari per conservarlo (la forza lavoro) vale a dire per conservare in vita il lavoratore in quanto lavoratore. E fornirgli i mezzi di sussistenza affinché continui a riprodurre la funzione lavoratrice che rappresenta. Il plusvalore è uguale al lavoro vivo meno il lavoro necessario. Il profitto è plusvalore, cioè è la differenza calcolata in ore di lavoro tra quello che il lavoratore dà in ore di produzione e quello che il capitalista paga al lavoratore. Quindi il plusvalore è sfruttamento.

L’obiettivo del capitalista è quello di massimizzare il pluslavoro. Dovrà quindi massimizzare la differenza tra lavoro vivo e lavoro necessario. Ciò potrà esser conseguito attraverso l’aumento del lavoro vivo o la diminuzione di quello necessario. Il lavoro vivo è la quantità di lavoratori occupati per il tempo di lavoro. Far lavorare più lavoratori per più tempo è la via del pluslavoro assoluto. Mentre quella della diminuzione del lavoro necessario è la via del pluslavoro relativo.

Tuttavia, la merce forza-lavoro è diversa dalle altre merci poiché crea valore. E allora, formalmente, nella società capitalistica i diritti sono uguali. Quelli del capitalista e dell’operaio sono formalmente uguali. Ma allora nel concreto la contraddizione si risolve con la forza: ha la meglio chi è più forte.

Nel 1891 in Italia le ore di lavoro annuali erano 3000; nel 1989 erano 1500.

In Europa l’Italia lavora circa 300 ore in più all’anno della Germania e comunque è messa male. C’è una differenza di fondo: in Italia i capitalisti puntano sul pluslavoro assoluto mentre in Germania sul quello relativo, cioè puntano sulla diminuzione del lavoro necessario. Come si fa? Aumentando i prezzi, così si consuma di meno. Ma se tagli i salari o aumenti i prezzi chi compra? Allora in Europa per diminuire il lavoro necessario è stata introdotta la clausola del pareggio di bilancio. Nel momento in cui si sfora, scatta automaticamente l’aumento dell’IVA, per cui c’è il pilota automatico (cfr. Draghi). Allora, se i consumi non ripartono, come effettivamente non ripartono, esiste anche un’altra possibilità; quella di ridurre il valore dei beni salario. Quindi, ridurre il tempo di lavoro necessario per produrre i beni-salario. Perciò va aumentata la produttività del lavoro. Com’è iniziata la rivoluzione industriale? Sostituendo la forza muscolare umana con quella delle macchine a vapore, attraverso una forza motrice anantropica.

Con l’affermazione della tecnologia il lavoratore finisce poco a poco ai margini del processo produttivo. Allora al capitale non interessa più lo sfruttamento del lavoratore, ma lo sfruttamento della produttività del lavoratore. Interessa meno la forza fisica e più l’intelletto. Il lavoratore di oggi deve saper fare di tutto, essere versatile.

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