Sul riformismo.

Comune di Parigi
Comune di Parigi

[Una rielaborazione attualizzata di un testo de Lo Stato Operaio. I riformisti, oggi, non esistono più, ma il testo è interessante per vagliare ciò che oggi viene fatto, o può esser fatto passare per riformismo.]

Fin dall’inizio della storia del movimento operaio i riformisti hanno sempre rappresentato per i rivoluzionari un nemico ancora più arduo da vincere che non le stesse forze della reazione borghese.

Questi sostengono di condividere gli obiettivi di miglioramento del livello di vita della classe lavoratrice, dei precari, dei disoccupati, ma negano la necessità e l’opportunità  di una rottura netta con il sistema attuale ovvero la necessità di un evento rivoluzionario; sostengono infatti di poter migliorare questa società dall’interno senza doverne per forza modificare le strutture portanti. A loro dire sarebbe sufficiente vincere le elezioni, ed entrare quindi a pieno titolo nella stanza dei bottoni, per condurre finalmente una politica favorevole agli interessi dei lavoratori mettendo in riga i capitalisti.

Questi sono però solo discorsi illusori, irrealizzabili per due validi motivi.

Il primo è che i capitalisti hanno a disposizione mezzi a sufficienza per garantirsi il controllo pressoché totale delle menti (per lo meno finché la situazione sociale non scende al di sotto del livello di tollerabilità) e per far così eleggono chi più li aggrada per fargli gestire al meglio i propri interessi … è ben conscio di ciò il PD che ha compiuto sforzi enormi per proporsi agli occhi dei capitalisti italiani come il più serio candidato alla gestione dell’azienda Italia. Non dobbiamo dimenticare che questa è una società divisa in classi in cui quella capitalistica (globalizzata) è la classe dominante e in cui lo Stato e tutti i suoi organi (Parlamento, Magistratura, Polizia, Esercito…) sono gli strumenti di cui si serve la classe dominante per mantenere le sue posizioni di privilegio e dominio.

Non dimentichiamo, inoltre, che la democrazia è soltanto il sistema più comodo ed efficiente che permette alla classe dominante stessa di gestire la società e che quella classe non esiterebbe a mandare l’esercito in piazza non appena vedesse seriamente minacciati i suoi interessi (la storia anche recente è talmente farcita di esempi del genere che non è neanche il caso di citare).

Come potrebbe allora arrivare al governo una forza che si proponesse di muoversi in netto contrasto con gli interessi di padroni, finanzieri e massoni vari? Semplicemente non ne ha la minima possibilità.

Secondo aspetto, molto più importante.

Chi si presenta alle elezioni e si candida quindi alla gestione di questa società, per quanto detto sopra deve averne anche accettato tutte le regole economiche. Una volta arrivato alle leve di comando si troverà allora a dover fare i conti proprio con queste e con il fatto che se può anche essere vero che in una situazione economica espansiva ci poteva essere un minimo spazio di contrattazione politica sulla redistribuzione della ricchezza prodotta, da quando il capitalismo è entrato nella sua fase di crisi più pesante, quella finanziaria del 2008 dalla quale non è uscito né uscirà, in cui la ricchezza prodotta non è più così abbondante, questi spazi si sono chiusi. E si sono chiusi per molto tempo a venire.

In periodo di crisi economica la politica, se non si vuol rompere definitivamente con questo sistema economico, non può far altro che obbedire alle necessità dell’economia e se per mantenere i saggi di profitto al di sopra di un livello minimo – e in definitiva far girare l’economia – è necessario aumentare costantemente la produttività (leggi sfruttamento) del lavoro, proprio questo bisognerà fare. E così pure tagliare le pensioni, l’assistenza sanitaria,  salari e  servizi ecc. che per il capitale sono dei costi. In questa situazione  chi continua a portare avanti una politica di estremismo rivendicativo senza mettere in discussione  l’intera struttura economica e sociale, ma anzi candidandosi alla sua gestione, non fa altro che buttare fumo negli occhi alla società intera, prospettando per possibile  qualcosa che non lo è; nel momento in cui la classe dominante per non soccombere di fronte alla concorrenza internazionale si deve ingegnare a trovare le forme per aumentare il più possibile lo sfruttamento sì è sentito addirittura qualche fuori di senno parlare di diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario come se questo fosse compatibile con il sistema economico dato e che lui stesso non mette in discussione. Questi signori con la loro politica tutta interna al sistema e con i loro slogan che vanno invece sempre al di fuori delle compatibilità con questo sistema e quindi, data la prima condizione, irrealizzabili, non fanno altro che confondere i lavoratori e disarmarli sia dal punto di vista ideologico-politico, che da quello della combattività.

Così facendo li preparano a sempre nuove sconfitte e delusioni, ma soprattutto saranno uno dei principali ostacoli nel momento in cui i subalterni, esasperati dalla situazione che nel futuro si troveranno a vivere tenteranno istintivamente e autonomamente di rialzare la testa. Essi, non concependo la possibilità di un mondo diverso da questo, saranno allora, come sono sempre stati in passato, uno dei migliori cani da guardia degli oppressori.

D’altronde osservando la situazione attuale da materialisti, si può constatare come essa offra necessariamente ampi spazi affinché queste idee e posizioni possano avere seguito; i subalterni attuali hanno infatti completamente interiorizzato tutti i valori dell’ideologia dominante, hanno completamente perso la loro coscienza sociale e non hanno la minima conoscenza del fatto che esiste la possibilità reale di costruire una società più umana.

I lavoratori, i disoccupati, i precari, inoltre, non si trovano ancora nella condizione disperata di chi non ha nulla o poco o ha poco da perdere e non si pongono quindi minimamente sul piano dell’alterità.

Tutto ciò ci relega necessariamente a condurre la nostra lotta da posizioni di minoranza, ma questo non ci scoraggia; sappiamo infatti che questa situazione, in determinati frangenti storici, può sbloccarsi, quando per i subalterni le condizioni di vita cominceranno a divenire insostenibili, e questi si renderanno conto di aver ormai ben poco da perdere, l’esplosione della rabbia e della disperazione potrà sbriciolare in un istante le catene ideologica che li tenevano bloccati alla loro posizione sociale.

I subalterni di buona parte del mondo vivono già situazioni drammatiche e quelli dei paesi industrializzati  sono ormai avviati verso situazioni simili; avviene ormai periodicamente che la rabbia dei subalterni esploda nelle varie rivolte dei ghetti di tutto il mondo (di cui la stampa ci tiene il più possibile all’oscuro), si tratta per ora solo di rivolte istintive e disorganizzate che sono destinate ad essere facilmente represse data la sporadicità con cui ancora si manifestano, ma anche e soprattutto data la mancanza di una organizzazione politica con estese radici nella società e solidi collegamenti internazionali. Il nostro compito è proprio questo, costruire, rafforzare e radicare nella società l’organizzazione Altra che sia in grado di indirizzare, quando si presenterà, l’esplosione della rabbia verso l’obbiettivo della sostituzione di questa società con quello della costruzione di un nuovo mondo.

Questo presuppone un gran lavoro, seppur in condizioni di esigua minoranza, fin da oggi e ciascuno di noi dovrà sentirsi personalmente responsabile se in futuro rivolte e insurrezioni di massa verranno sconfitte perché isolate o mal guidate a causa della nostra incapacità di dar vita ad un’organizzazione internazionale sufficientemente forte da imporre la sua linea in questi frangenti.

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