Idea di bene-Orthotes-Aletheia.

Mito della caverna-Platone-Heidegger
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di Sergio Mauri

L’idea di bene rappresenta la piena evidenza, ciò che fa sì che l’idea sia ciò che è. L’idea di bene è anche causa originaria che concede l’apparire. Spiegando l’idea di bene, come luce, luminosità, Heidegger nota che essa si sostituisce al gioco di chiaro-scuro dell’aletheia. Abbiamo anche visto il guardarsi intorno con circospezione, con prudenza. Circospezione che deve accompagnare gli uomini di governo della polis, i filosofi, in Platone.

Abbiamo due ambiti: luminosità e guardarsi intorno con circospezione.

Il mito della caverna, dice Heidegger, non tratta propriamente dell’aletheia. In questo mito Platone si fonda sul processo, non detto, dell’idea di bene padrona dell’aletheia. L’idea di bene è l’idea che concede a tutte le altre l’evidenza. Il mito da un’immagine di ciò che Platone dice dell’idea di bene. L’idea del bene è sovrana: concede la svelatezza e l’apprensione.

La natura del vedere, la natura dell’occhio, è solare. Ciò che è visto e ciò che vede sono tenuti assieme dalla luce che collega polo oggettivo e soggettivo. Qui Platone riconosce la superiorità della luce.

Nel libro VI c’è la definizione del giogo che tiene insieme le due cose. L’aletheia cade sotto il giogo dell’idea. Giogo che rende possibile l’apprensione, ma anche assumere una posizione di predominio. L’aletheia che esprimeva l’essenza della verità, si ritrova a essere soggiogata dall’idea di verità. Che non vuol dire eliminare l’aletheia, ma vuol dire trasformare la verità in qualcosa di diverso. Aletheia diventa qualcosa di relativo all’idea, privata della propria pienezza che sta anche nell’essere velata. Abbiamo perciò un nuovo assetto della verità. Ora è messa in gioco l’apprensione che mancava nella tensione velato-svelato.

Col predominio dell’idea è indicata la necessità di guardarsi intorno, intuire ciò che sta intorno. Il vedere deve essere corretto, adeguato. La visione dell’idea, dell’evidenza, deve essere resa possibile dal guardare in modo retto, avendo conoscenza adeguata delle cose. Per conoscere le cose bisogna dare lo sguardo all’idea che partecipa di quelle cose.

I passaggi esplicati nel mito della caverna sono sempre in direzione di una maggiore correttezza. Tutto dipende dall’orthotes. Sul versante dell’ente tutto è garantito dall’idea, poiché è pienamente svelato. La luminosità ne garantisce la stabilità. Tutto allora dipende dalla correttezza dello sguardo (versante dell’uomo). Il peso della verità si sposta tutto sul versante di chi vede che deve farlo nella maniera più corretta possibile.

Lo sguardo non è semplicemente assegnato all’ente nei vari gradi della sua svelatezza, ma dedotto dal grado di verità. Sul lungo termine della nostra cultura ciò significa acquisizione sempre maggiore di conoscenza, ma pure un’idea di progresso.

Bisogna quindi formare lo sguardo per cogliere la verità. Vediamo il concetto di omoiosis, concordanza, tra apprensione e apprendimento. Il cielo è blu vuol dire che ho visto che il cielo è blu e che lo esprimo correttamente. Vero e falso si giocano all’interno della concordanza-non concordanza, correttezza dello sguardo. Il velato è quasi scomparso dalla scena, è come se fosse trasmigrato nello sguardo di chi apprende. Ma perché Heidegger mette in evidenza tutta questa storia? Heidegger sta cercando di indicarci una dimensione, di un fatto accaduto nel V-IV secolo a.C., nell’ambito del modo corrente di considerare le cose (intelletto comune à scienza; vero à falso), omoiosis, adaequatio, concordanza. Heidegger vuole farci guardare in una direzione in cui prima della dimensione vero-falso dobbiamo considerare che noi le cose le vediamo e le cose si danno a vedere. Una cosa si staglia sempre su uno sfondo di non-visibilità. È una mossa in direzione di prendere le distanze dal modo in cui la verità viene intesa dalle origini del pensiero occidentale. La correttezza del guardare, dice Heidegger, è tipica del comportarsi dell’uomo verso l’ente.

Il trasferimento del velato, del “negativo”, sul versante dell’uomo, della correttezza del vedere. Nella Dottrina di Platone c’è, secondo Heidegger, una naturale ambiguità. Essa attesta il mutamento dell’essenza della verità. Nel corso dello stesso pensiero in Platone ciò che è svelato assume due significati diversi, stando sia sul versante dell’ente che su quello dell’uomo, mentre prima erano solo sul versante dell’ente.

Pag. 186. Per Platone, dice Heidegger, la verità è ancora nell’evidenza dell’idea, velatezza e svelatezza sono soggiogate all’evidenza dell’idea. Dice Heidegger che Aristotele nella Metafisica, nel IX libro, ritiene la svelatezza dell’ente che domina su tutto. Aristotele aggiunge che “il falso e il vero non stanno nelle cose, ma nell’intelletto”. Anche in Aristotele c’è del controverso, se il vero e il falso si riferiscono esclusivamente all’intelletto e non all’ente. Vero e falso si collocano all’interno del giudizio. La verità sta nel giudizio, non ha più a che fare con lo svelarsi dell’ente.

Aletheia come opposto di pseudos diventa interno al giudizio, si gioca li. Aletheia abbandona il versante dell’ente. Da allora il rappresentare tramite giudizio, tramite asserzioni, diventa caratteristico del pensiero occidentale.

La velatezza diventa non correttezza dello sguardo. La capacità di conoscere diventa allora determinante ed eserciterà le proprie prerogative sull’ente.

Tommaso D’Aquino dice che la verità si trova completamente nel versante umano o divino. La verità non è più aletheia, ma adaequatio, concordanza, omoiosis. Platone e Aristotele sono ancora in un regime di ambiguità. In Cartesio, per esempio, ciò sarà esplicito. E Nietzsche definirà la verità come un errore necessario alla sopravvivenza della specie umana. Il valore della vita è quello che decide.

Se la verità, dice Heidegger, è quella che afferma Nietzsche allora essa è il risultato di una falsificazione della realtà che accade perché la rappresentazione è un qualcosa che interrompe il processo del divenire del reale, perciò falsificandolo. L’uomo costruisce la realtà isolandone i momenti nella stabilità del divenire. L’uomo ha bisogno di stabilità.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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