La Geografia di Franco Farinelli.

La Geografia di Franco Farinelli
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di Sergio Mauri

Queste righe che si riferiscono all’opera Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo di Franco Farinelli, Einaudi, 2003, non sono una recensione della stessa. Sono piuttosto una serie ragionata di punti, secondo me importanti, che prendono le mosse da quanto di interessante c’è nel libro. Si tratta di una ricognizione piuttosto che di una recensione.

Indice.

Mappa e mondo

Spazio e luogo

Semiotica e cartografia

Heidegger geografo

Globalizzazione e spazio

La mezzadria

Geometria euclidea e non euclidea

Considerazioni

Mappa e globo

Mappa e mondo.

Intanto, il mondo visto o fatto, oppure ricreato a immagine della mappa, non il contrario. Con la modernità questo diventa assiomatico: non si disegna la mappa, derivandola dal mondo, ma si ricrea, ricostruisce il mondo, quindi la realtà per farla coincidere con la mappa. Il mondo è, diventa una nostra proiezione. Già in epoca antica e poi medievale, con i loro rispettivi codici simbolico-linguistici, vi era una rappresentazione del mondo per quello che gli uomini del passato conoscevano e per quello che volevano che fosse. Indiscutibilmente.

Spazio e luogo.

Una ulteriore informazione riguarda la differenza tra spazio e luogo. Spazio come misura metrica dove contano, ma senza importanza gerarchica, le distanze-vicinanze tra i vari punti. Lo spazio come base contestuale di tutte le articolazioni e le dinamiche che coinvolgono gli uomini nelle loro molteplici attività che per forza devono includere la dimensione spaziale. Il luogo come parte delimitata di uno spazio con caratteristiche irriducibili a un altro luogo. Inoltre, un luogo può essere conosciuto solo dall’interno “ed esso è strettamente connesso alla nostra identità, che è qualcosa di definibile unicamente in competizione con gli altri. […] ogni luogo è un piccolo mondo, nel senso di qualcosa che dipende da un complesso di relazioni tra esseri umani […]. (Farinelli, p. 184)

Lo spazio “[…] deriva dal greco stàdion. Per gli antichi greci era l’unità di misura delle distanze e significava dunque alla lettera un intervallo metrico lineare standard. Ne deriva che all’interno dello spazio tutte le parti sono l’un l’altra equivalenti, nel senso che sono sottomesse alla stessa astratta regola che non tiene affatto conto delle loro differenze qualitative” (ivi, p. 20). Il luogo “[…] è una parte della superficie terrestre che non equivale a nessun’altra […]. Nello spazio invece ogni parte può essere sostituita da un’altra senza che nulla venga alterato, proprio come quando due cose che hanno lo stesso peso vengono spostate da un piatto all’altro di una bilancia senza che l’equilibrio venga compromesso” (ivi, p. 21).

Lo spazio è: “il luogo illimitato e indefinito in cui gli oggetti reali appaiono collocati […]” da Lessico universale italiano, ripreso in Le parole chiave della geografia, a cura di Gino De Vecchis e Cosimo Palagiano, Carocci Editore, 2021, p. 158.

Si riportano, inoltre, tre significati di spazio “che segnano l’evoluzione del pensiero geografico: spazio assoluto” [vedi Newton e Kant] “in cui il riferimento è dato dalla posizione assoluta e unica espressa […] dalle coordinate di un oggetto geografico; spazio relativo” [vedi Einstein] “in cui il concetto centrale è quello di spazio-tempo; spazio relazionale con la centralità che assumono nelle indagini le ‘relazioni’ che si collocano nello spazio […]” De Vecchis Palagiano, p. 160.

Semiotica e cartografia.

Nel suo lavoro Farinelli cita più filosofi e geografi, ma forse maggiormente i primi. Il legame, non immediatamente percepibile da chiunque, tra semiotica e rappresentazione cartografica (Peirce) è un interessante accostamento disciplinare, foriero di molteplici sviluppi. A livello cartografico, ma anche rappresentativo mentale, i vari livelli su cui si sviluppa il discorso di Peirce (iconico, indicale, simbolico) sono trattati con finezza e fecondità da Farinelli. Anche la questione della proiezione, cioè della riduzione di tre dimensioni a due è validamente affrontata dall’autore, anche per dimostrarne la limitatezza (ivi, pp. 54-57).

Heidegger geografo.

Sorge una questione, tuttavia, quando l’autore parla di Heidegger e ne riprende il discorso sull’essere e l’ente (descrivendo la misurazione di Talete, quella della piramide), l’esempio parallelo che propone non mi convince affatto, mi sembra del tutto forzato, ma probabilmente non ho capito bene io la questione. Dunque, Heidegger descriverebbe “l’essere (la piramide)” che “equivale alla cosa di Anassimandro e l’ente (l’ombra) alla cosa-che-è. A parte il fatto che, tecnicamente, sono ambedue enti, mentre l’essere dovrebbe essere ciò che permette loro di accadere, la forzatura mi sembra veramente eccessiva e non mi risulta nemmeno ammesso dallo stesso Heidegger (ivi, pp. 56-57).

Globalizzazione e spazio.

La globalizzazione fa saltare i principi cartografici nati con la modernità e la tendenza attuale al richiudersi nei luoghi non blocca proprio la globalizzazione stessa, la caratterizza semplicemente in modo diverso da prima. I nuovi assetti cambiano di natura. Perciò “l’equivalenza tra mondo e immagine cartografica del mondo oggi salta” (ivi, p. 58).

Dal mondo (M) ci dice Farinelli, nel nuovo tipo di triangolazione “In basso, in corrispondenza dei vertici inferiori del triangolo […] tracciamo a destra una ‘L’ che sta per luogo, a sinistra una ‘S’ che sta per spazio”. Poi nel triangolo laterale che resta da nominare nel suo vertice, nel lato in comune “compreso tra ‘M’ e ‘S’, tracciamo una ‘T’ che sta per territorio”. Cos’è dunque il territorio? È l’ambito “individuato dall’esercizio del potere”. Vediamo, nuovamente: “Il luogo si riferisce alla relazione di tipo iconico […] e corrisponde al soggetto del processo conoscitivo. Lo spazio si riferisce alla relazione del tipo dell’indice e corrisponde  alla distanza e alla sua misura. Il territorio si riferisce alla relazione di tipo simbolico e corrisponde all’oggetto (ivi, p. 59)”.

Per Farinelli la “possibile geografia globale” è quella “dei sensi, dei punti di vista dei modelli del mondo (ivi, p. 60)”. Il passaggio (ivi, p. 64) “non si compone di cose, ma è soltanto una maniera di vedere e rappresentarsi (di guardare) le cose del mondo. Esso è la forma con cui in epoca moderna il mondo viene guardato dal punto di vista del luogo, come cioè se il mondo fosse un semplice ambito locale o una collezione, una serie di ambiti locali. Il passaggio è insomma la maniera con cui la modernità concepisce il mondo sottoforma di luogo, dunque una rappresentazione che obbedisce a una relazione di tipo iconico […]”. È, riprendendo Peirce, “un’immagine mentale (ivi, p. 65)”.

Il paesaggio nasce con von Humboldt (ivi, p. 66) e le sue ricerche/viaggi corredate da immagini di ciò che esplorò per un lungo periodo. Per esistere, un paesaggio necessita di: “un osservatore, un rilievo, un panorama e una giornata luminosa, se non perfettamente serena (ivi, p. 81)”. Nel mondo globalizzato, con la introduzione della telematica “il dominio della visione non restituisce quasi nulla di significativo circa i meccanismi che regolano la riproduzione dell’attività del mondo stesso”. Peraltro, il dialogo fra macchine (computer) la fa finita rispetto alle interrelazioni spaziali degli oggetti che devono produrre luogo, paesaggio, ricchezza, rapporti interpersonali e sociali.

La mezzadria.

Tornando al suolo patrio, nel vero senso della parola, ho trovato interessante l’accenno alla questione della mezzadria (ivi, p. 104-5). La mezzadria consisteva in un patto fra proprietario (cittadino) e mezzadro (contadino), dal quale dovevano uscire i prodotti per sfamare due famiglie intere. La mezzadria aveva disegnato e in un certo senso plasmato il paesaggio della Penisola. Fu abolita nel 1971.

Geometria euclidea e non euclidea.

La questione della geometria euclidea, con cui abbiamo inteso il mondo, che consiste di cinque concetti (assiomi o postulati) e di proposizioni (teoremi) che ne derivano; non devono inoltre essere in alcuna contraddizione con i primi. Grazie a questa geometria abbiamo avuto l’introduzione della retta, del piano, della lunghezza e dell’area. Nella considerazione geografica basilari sono i criteri euclidei di isotropismo (proprietà di un corpo di presentare gli stessi valori di grandezza fisica in tutte le direzioni), continuità e omogeneità (ivi, p. 177).

[I cinque postulati di Euclide sono: 1) per due punti passa una ed una sola retta; 2) ogni retta può essere prolungata indefinitamente; 3) dato il centro e il raggio esiste uno ed un solo cerchio; 4) tutti gli angoli retti sono uguali; 5) se una retta forma con altre due da una stessa parte angoli interni con somma minore di due retti allora quelle due rette si incontreranno nello stesso semipiano.]

La geometria non euclidea non rispetta i cinque postulati di Euclide. Due più comuni geometrie non euclidee sono la geometria sferica e quella iperbolica. La differenza tra geometria euclidea e non euclidea consiste essenzialmente nella natura delle rette parallele. Mentre Euclide afferma che per un punto può passare una sola retta, nella geometria sferica abbiamo assenza di rette e in quella iperbolica ne abbiamo almeno due. Tuttavia, si riserva la locuzione “geometria non euclidea” per le geometrie che negano il V postulato, quello meno intuitivo e più complesso.

Queste nuove concezioni, di tipo ipotetico-deduttivo, portano a riconsiderare il modo in cui concepiamo, rappresentiamo, popoliamo il mondo. Attraverso queste nuove concezioni, rivisitiamo completamente lo spazio per come lo abbiamo concepito.

Considerazioni.

Nel libro, in modo non evidente, ma sottotraccia, si sente sorgere un interrogativo che è quello che potrebbe diventare l’interrogativo per eccellenza del nostro tempo storico: come interagire con la natura per porre rimedio al suo degrado? Domanda che chiaramente presuppone l’impostazione di un approccio filosofico pratico, di tipo trasformativo delle nostre relazioni con la natura stessa, proprio nel senso del Possibilismo di de la Blache, ma che tuttavia non si fermi a quell’esperienza, ma ampli il suo intervento nella direzione di una salvaguardia delle condizioni che permettano alla natura di rispondere al degrado impellente. Dichiari esplicitamente le sue finalità.

Mappa e globo.

Nota Farinelli che la superficie terrestre è ridotta a sua immagine cartografica. La superficie terrestre è immagine e somiglianza della rappresentazione cartografica (ivi, p. 261). La crisi dello spazio risiede nella “scissione e divisione del lavoro (quel che esiste alla ferrovia e più in generale alle vie di comunicazione materiale, quel che sussiste alla trasmissione elettrica, alla comunicazione immateriale) […]” (ivi, p. 262).

“Nel corso degli anni Ottanta, insomma, la crescita del sistema dei flussi elettronici, traducendosi nella definitiva crisi dello spazio topografico-euclideo, riconfigurava il rapporto tra questo e la pluralità dei luoghi, tra il modello di spazio e quello di luogo. E tale riconfigurazione, come tutte le relazioni, presupponeva la possibilità di una distinzione tra l’uno e l’altro, l’esistenza di un reciproco scarto prodotto dalla diversità della loro natura, così come era stato per tutta la modernità (ivi, p. 289)”.

Farinelli si sofferma sulla differenza tra mappa e globo, in cui su quest’ultimo vi sono “una pluralità di possibili centri virtuali, come appunto di fatto accade sulla superficie del globo […] (ivi, p. 292). “Le città globali, come le mega città, ‘sono connesse globalmente e disconnesse localmente, fisicamente e socialmente’ […] vale a dire dal punto di vista della città euclidea, quella nata dalla tavola e finita con la crisi della città fordista. […] esse ospitano una popolazione socialmente frammentata e culturalmente disomogenea […]”.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e studioso di storia, filosofia e argomenti correlati. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Hammerle Editori nel 2014.
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