Sul multiculturalismo.

Cultura e diritto
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di Sergio Mauri

Quando parliamo di multiculturalismo, esso ha una funzione descrittiva e prescrittiva: in una società ci sono più culture (per esempio in tutte le grandi civiltà antiche e meno antiche), parte descrittiva; parte prescrittiva: è predicato ci sia una cultura dominante e delle culture inferiori.

Di solito abbiamo le tre risposte che abbiamo visto la volta scorsa (integrazione, segregazione, eliminazione). L’esempio più recente per noi, di segregazione, sono le leggi razziali del 1938. Per esempio, alla voce cittadinanza redatta negli anni Trenta presente nel Digesto italiano, vi è una distinzione tra abitanti delle colonie e italiani, gli abitanti delle colonie sono sudditi. C’era poi la problematica ebraica. L’impedire i matrimoni era il primo strumento per tenerli lontani.

Nel Novecento ci sono stati diversi genocidi: degli armeni, degli ebrei. A un certo punto si capisce che non è possibile continuare con questi parametri. Nasce dunque una prospettiva multiculturale, tollerante e non oppressiva. Questa prospettiva ruota attorno al gruppo e non al singolo. Nessuna comunità deve negare il diritto di uscita ai propri membri, nessuna comunità ha il diritto di discriminare le altre.

C’è, tuttavia, la tendenza a formare comunità chiuse. Questa forma di multiculturalismo porta a delle forme di riconoscimento giuridico. Si tiene quindi conto che non tutti sono uguali. Nota la deroga del Regno Unito all’uso del casco per certe comunità che portano il turbante anche sul motociclo, i Sikh.

Anche l’obbligo delle mascherine è una forma di paternalismo penale, con tuttavia delle deroghe. Ciò apre la strada alla discriminazione sociale. Il Sikh è discriminato, può fare a meno di portare il casco. E, tuttavia, al tempo stesso non si può obbligare il Sikh a non portare il turbante.

L’alternativa non anglosassone è quella francese. Si ritiene che le coordinate di quella società, quella francese, siano da ricercare negli ideali immortali del 1789. La prospettiva è quella di integrare chiunque abbracci quei valori, a prescindere dalla religione, dal colore della pelle, ma non a prescindere dai valori del 1789. Tutti possono accedere a questa grande comunità della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

Le leggi nazionali, dice Voltaire, che poi sono quelle dell’Illuminismo, sono condivisibili da tutti; giungeranno poi alla Dichiarazione dei principi. Il concetto è: ti integri, avrai piena cittadinanza; non ti integri rimani ai margini.

Da una parte abbiamo il multiculturalismo, vicino al relativismo, dall’altra parte c’è una cultura forte che attira verso di sé gli appartenenti alle altre culture e li vuole integrare. Tutte queste posizioni nascono da questioni economiche. La tratta degli schiavi ha una origine economica. Una alternativa era quella tedesca, i “lavoratori ospiti”. Accettati e pagati per la prestazione di un’opera e poi tornavano a casa.

Le cose rimangono separate: da una parte integrazione e dall’altra la (quasi) segregazione. I due grossi poli sono: discriminazione positiva (anglosassone), integrazione (francese). In entrambi i casi si parla di gruppo, cioè di una cultura di appartenenza che si forma in maniera granitica. Da una parte l’appartenenza a una comunità, dall’altra una logica relazionale. La mia identità culturale non la eredito tutta dal ceppo cui discendo. Quindi, posso avere varie identità culturali, identità che si manifestano nelle relazioni. A questa prospettiva multiculturale si aggiunge la prospettiva prescrittivistica interculturale.

Sergio Mauri
Autore: Sergio Mauri, Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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