Rapporto diritti-cultura.

Cultura e diritto
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di Sergio Mauri

Vediamo ancora il rapporto diritti-cultura. La cosa non è di secondaria importanza, già partendo dalla distinzione tra cultura giuridica interna ed esterna (David Friedmann). Già la popolazione di per sé dà vita a una rappresentazione delle regole sociali e delle regole morali comuni. Questa cultura comune è la cultura dominante, accanto alla quale troviamo delle subculture. Le culture giuridiche sono, tuttavia, diverse e fra loro differenziate.

Si tratta dunque di individuare come certe culture infrangano la legalità stabilita in un determinato paese. Qui entra in gioco il “reato culturalmente motivato” che prevede una pena più leggera, in altri ordinamenti. Si verifica, dunque, uno scontro tra modi di vedere: la nostra strada di valorizzazione della persona è differente da altre. Abbiamo, dunque, censura, repressione del fenomeno. In Italia la pena per la mutilazione femminile è la stessa che per le lesioni personali gravi. Ci troviamo allora di fronte a una antinomia di valutazione. Sembra ci sia una disincentivazione della pratica, attraverso campagne informative verso i paesi dove tali pratiche sono operative.

Come tratta questo reato la nostra giurisprudenza? Non si dà legittimità a una realtà multiculturale. La Cassazione Penale, Sezione I, 24084 del 2017, riconosce il problema, ma la questione non può essere legittimata. Lo può nel caso si riconosca che la società multietnica è una necessità. Ciò viene riconosciuto, ma non in quanto contrapposizione di visioni legali. Questa multiculturalità non può lasciar creare arcipelaghi culturali fra loro chiusi e separati, confliggenti, perché vi è una “unicità del tessuto giuridico del nostro paese”.

La cultura giuridica esterna degli ospitanti prevale su quella dell’ospitato. La presenza di più etnie comporta la non omogeneità della cultura. Nella stessa sentenza abbiamo l’obbligo per l’immigrato di conformarsi alla nostra cultura. I valori dell’immigrato, se pur leciti, non possono violare i valori della società ospitante. Siamo di fronte a un reato di pericolo, non di danno.

L’art. 27 della Costituzione si aggancia al nostro discorso, poiché la pena deve essere rieducativa e non inflittiva, a cui veniamo poi rimandati alla Sentenza 364 del marzo 1988.

Sergio Mauri
Autore: Sergio Mauri, Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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