Hegel-Heidegger-Salto ontologico-Astrazione-Sussunzione.

Hegel-Heidegger-Salto ontologico-Astrazione-Sussunzione
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di Sergio Mauri

Il salto consiste nell’abbandonare il modo di pensare quotidiano. Il maggiore ostacolo al pensiero filosofico è proprio il pensiero quotidiano, secondo Heidegger.

Già tra i presocratici è presente il distanziamento dal pensiero quotidiano. Parmenide ed Eraclito hanno posto in essere lo stravolgimento del pensiero comune. Socrate esercitava il suo filosofare sui cittadini che incontrava, demolendone le certezze. Smontava i saperi non adeguatamente fondati.

Il sapere filosofico si distingue da tutti gli altri. Lo stesso concetto di sapere applicato alla filosofia non è corretto e adeguato.

Il pensiero dialetticamente immaturo, cioè non filosofico, in Schelling viene criticato da Heidegger. La filosofia mette in dubbio la “realtà realistica” del “sano intelletto umano”. Heidegger si riferisce a un articolo di Hegel intitolato Chi pensa astrattamente? Anch’esso del 1807. Per Heidegger è la migliore introduzione alla filosofia in generale, non solo all’idealismo tedesco.

Passa poi a citare le prime righe dell’articolo. Hegel nota che il pensiero comune fugge già al primo sentir parlare di astrattezza o di metafisica, come l’uomo sano fugge davanti all’appestato.

Hegel poi passa a fare un esempio di pensiero astratto, con una scenetta gustosa tra cliente e venditrice. Assistiamo a una lite tra la cliente che imputa alla venditrice di vendere uova marce e la venditrice che per ripicca sussume la cliente, cioè non la vede come un tutto, la vede attraverso determinati particolari. Questo modo comune di pensare osserva Heidegger, si vede comunemente ed è tipico delle liti. Sussumere qualcuno sotto un particolare aspetto.

Dire che la scienza sia solo oggettiva è una sussunzione: dire che qualcosa sia solo quello o questo è sussumerlo ad un solo aspetto. Heidegger osserva che non ci si pone nemmeno il problema se la scienza possa essere un po’ oggettiva e un po’ soggettiva, cioè nessuna delle due. Ciò anche per tradizione.

La filosofia è un tipo di sguardo e di discorso che si colloca su di un altro piano. Heidegger con l’esempio della scienza, ci dice che dobbiamo compiere il salto per vedere se essa, la scienza, sia oggettiva e soggettiva insieme. Si tratta di rivolgersi alla totalità, non alla parzialità come nel pensiero comune quotidiano. La cosiddetta “realtà realistica” dell’intelletto umano è un problema, afferma Heidegger.

Il pensiero quotidiano astrae, cioè, separa qualcosa dalla totalità.

Secondo Heidegger Nietzsche non ha sovvertito la filosofia, l’ha invece confermata nelle sue potenzialità massime.

Il giudizio, in senso scientifico, non è semplicemente quello morale o quello estetico. Secondo la definizione tecnica è: s – è – p; soggetto – è – predicato. Questa è la struttura fondamentale del giudizio.

Per Heidegger, la verità non è qualcosa che concerne solo il giudizio, è qualcosa di più vasto storicamente parlando (riferimenti filologici).

Secondo Heidegger Nietzsche è il vertice della metafisica, nonostante quest’ultimo si sia sempre voluto allontanare da essa.

Definisce il Cristianesimo “platonismo per il popolo”, caratteristica ne sia la suddivisione tra mondo del divenire e mondo delle idee.

Sia Hegel sia Heidegger definiscono come astratto quel pensiero che sussume sotto un unico aspetto la totalità. Abbiamo la riduzione a un unico particolare. Astrarre è togliere-da, prendere-le-distanze-da, separare. Dal punto di vista filosofico la concretezza è pensare all’insieme. Cercare di pensare alla totalità. Il pensiero filosofico mira a pensare l’intero. Pensare l’intero non è solo pensare qualcosa di esterno al pensiero, ma pensarlo insieme al pensiero. Cos’è il mondo? È la totalità. Il mondo è fuori e dentro di noi. Non posso solo pensarlo fuori di me, ma anche per quella parte che mi riguarda.

Anche la filosofia comporta dei passaggi attraverso l’astrazione. Cercando però di tenere insieme la totalità.

Nel Parmenide di Platone si trovano tutta una serie di opposizioni tra l’uno e i molti, dove il pensiero filosofico ha il compito di tenere insieme l’unicità con la molteplicità.

La filosofia è anche un agire molto diverso dalle altre discipline e la differenza sta nell’atteggiamento e nell’orientamento. Le scienze si rivolgono all’ente, la filosofia all’essere, come abbiamo già detto. Questa cosa si ripercuote anche sulla ricerca della verità.

Heidegger nasce nel 1889, muore nel 1976. Il suo percorso di studi iniziali è nell’ambito della teologia. Passa a occuparsi di filosofia. Prima dei trent’anni tiene già dei corsi universitari a Friburgo. Dal 1923 al 1928 insegna all’università di Marburgo. Poi torna a Friburgo nella cattedra di Husserl che lui considerava il suo “venerando maestro”. Husserl è il fondatore della fenomenologia. Husserl ha delle posizioni in primo luogo sulla coscienza. Bisogna qui aprire una parentesi. Cartesio, dopo aver messo in dubbio le acquisizioni di tutti i saperi, anche nel campo della matematica, fonda la conoscenza sul principio che non può dubitare di dubitare. Il pensare, l’io che dubita e pensa, c’è. Penso dunque sono. Husserl riprende il gesto cartesiano. Hobbes contesterà Cartesio. Husserl vuole inaugurare una filosofia che sia scienza e inconfutabile. Dall’ego di Cartesio fa vedere l’intenzionalità della coscienza. La coscienza non si distingue dalla coscienza di qualcosa. E se così è allora la coscienza è un’apertura sul mondo. Ciascuno di noi è aperto dall’altro da sé. I contenuti della mia coscienza non sono le cose, ma i vissuti di quelle cose. Husserl afferma che il soggetto è innanzitutto coscienza. Ciascuno di noi è in rapporto con l’altro da sé, in prima battuta sul piano della coscienza. Io sono in rapporto col mondo in base alla mia coscienza. Heidegger è allievo di Husserl, considera le ricerche logiche di Husserl come un fatto molto importante per il pensiero. Per Husserl viene prima la coscienza, per Heidegger non sarà così. Lo si vedrà in Essere e tempo. Essere e tempo è progettato per rilanciare la domanda su cos’è il senso dell’essere. Lo scrive negli anni di Marburgo. L’ente che pone il senso dell’essere qual è? L’uomo, ci verrebbe da rispondere. Quindi, bisogna capire come è fatto quell’essere e da dove proviene la domanda. Ma per Heidegger non è l’uomo, è l’esserci, il dasein. Perché non l’uomo? Perché l’uomo come concetto contiene tutta una serie di implicazioni che disturbano la visuale del problema dell’essere.

Per formulare una prima indicazione di colui che genera la domanda sull’essere dobbiamo parlare di esserci. Bisogna quindi compiere un’analisi. Il progetto di Essere e tempo non arriva a destinazione. Noi abbiamo solo le due prime sezioni della prima parte. Heidegger disse che, non poteva continuare perché mancava la struttura linguistica adatta ad affrontare il tema fino in fondo.

Nella prima sezione afferma che l’esserci è aver cura, prendersi cura, aver-a-che-fare-con. Prendersi cura in maniera difettiva. nella seconda sezione ricapitola la prima e dice che l’esserci è temporalmente fondato.

Heidegger non riconosce il primato della coscienza. L’esserci non è prima di tutto coscienza, ma è grazie ai nostri interessi. È una sorta di pragmatismo, dove la priorità è negli interessi, nella cura e non nel sapere.

Nel 1927 doveva scrivere la voce fenomenologia a quattro mani con Husserl che finisce per scriverla da solo, vista la distanza di posizioni fra i due.

Nel 1933 Hitler vince le elezioni. Heidegger diventa rettore dell’università di Friburgo. Heidegger prende la tessera del partito nel 1934. Nello stesso anno si dimette da rettore. Fece poco per Husserl che era ebreo, forse anche per codardia. Nel ’45 finisce il nazismo, viene tenuto sotto osservazione. Non rinnegherà mai la sua adesione al nazismo. Il governo degli Alleati gli toglie l’insegnamento. Gli vogliono togliere la biblioteca, Jaspers intercede per non fargliela togliere e farlo tornare all’insegnamento.

Viene dalla Francia l’input a riabilitarlo almeno sotto il profilo filosofico.

Ritornando indietro nel tempo, gli viene addebitato di aver abbandonato la questione dell’esserci.

Negli anni Trenta gli viene anche addebitato che il suo disprezzo verso una parte dell’umanità è parallela all’abbandono dell’analitica sull’essere.

Dopo la guerra esce una lettera in cui risponde a una domanda a Jean Beaufret e sulla scorta di una conferenza di J.P. Sartre i cui lavori sono pubblicati (vedi L’esistenzialismo è un umanismo), Beaufret chiede a Heidegger come si può ridare vita oggi alla parola umanismo. Heidegger parla di umanismo come limite del pensiero. Per Sartre, dice, in primo piano ci sta l’uomo, per me ci sta l’essere. Dobbiamo rivolgere la nostra attenzione all’essere. Anche questo contribuisce a porlo in un cono d’ombra. Peraltro, nel 1936 Heidegger terrà delle conferenze su Nietzsche che poi saranno pubblicate nella sua monografia.

Heidegger aveva coscienza di una propria superiorità, della potenza del proprio pensiero.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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