Green Capitalism.

MonthlyReview
MonthlyReview

[Traduco dall’inglese]

di Victor Wallis

Fra i molti possibili esempi pratici di “capitalismo verde”, uno ne procura una utile guida: un piccolo articolo di notizie della sezione finanziaria del 7 marzo 2008 del New York Times. Sottotitolato “Gore si fa ricco” , esso riporta che l’ex vice-presidente Al Gore, fresco della vittoria del Premio Nobel per la pace e per la sua conferenza filmata sul riscaldamento globale, “ha recentemente investito 35 milioni di dollari con la Capricorn Investment Group, una azienda che Bloomberg Notizie dichiara collocare le disponibilità dei clienti nei fondi protetti ed investire in “produttori di beni compatibili con l’ambiente”. L’articolo nota anche che Gore ha prosperato con la sua rete affaristica in Apple e Google e che “è stato recentemente accolto come socio alla Kleiner Perkins Caufield Byers, azienda – a capitale di rischio – di prim’ordine della Silicon Valley.

Una visita al sito internet del Gruppo Capricorn conduce alle storie riguardo i vari progetti nei quali i fondi sono stati investiti, uno dei quali é Mendel Biotechnology Inc.  che lavora con BP e Monsanto – sostenuta da 125 milioni di dollari di garanzia dal Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti – per “trovare un modo per riprodurre il miscanto (una pianta produttrice di carburante potenzialmente più efficiente del grano) con impianto veloce e massima resa”. [2]

Questo è capitalismo quintessenziale. L’unico suo attributo verde concerne la nozione di carburante derivato da coltivazioni che offre (nelle parole del rapporto web) una forma “pulita e verde” di energia. Gli aspetti centrali nello scenario della crisi ecologica, comunque, rimangono privi di indirizzo se non aggravati: 1- sebbene i biocarburanti possano produrre meno gas-serra del petrolio, il loro impatto aggregato – in termini di inquinamento dell’aria e dell’acqua, degradazione del suolo, e prezzi del cibo – può essere più pesante [3]; 2- nessun riconoscimento é dato al bisogno di ridurre l’ammontare totale del consumo di energie o alle superfici lastricate; 3- l’uso su larga scala di coltivazioni come fonti di carburante urta con le coltivazioni da cibo senza ridurre la pressione sulla fornitura mondiale di acqua; 4-le pratiche di business agricolo, qualunque sia il prodotto, hanno un impatto negativo sulla biodiversità; 5- la Monsanto é implicata nell’imposizione coercitiva di organismi geneticamente modificati; 6- la Silicon Valley (l’altro accennato interesse finanziario di Gore) è all’avanguardia del super-sviluppo capitalista (innovazione accellerata e obsolescenza; generazione di grosse quantità di rifiuti tossici); 7- il governo degli Stati Uniti continua a fornire sussidi alle multinazionali piuttosto che sostenerne direttamente gli sforzi a lungo termine all’indirizzo dei bisogni umani.

Naturalmente, l’immagine più familiare del capitalismo verde è in quelle imprese rurali che offrono servizi locali, solare per le abitazioni, mercatini con cibi naturali, eccetera. E’ vero – e promettente – che con la crescita della consapevolezza ecologica, lo spazio per tali attività crescerà. Dovremmo anche convenire che le esplorazioni collegate ai modi di vita alternativi possono contribuire in modo positivo alla richiesta di ri-conversione a più lungo termine. Più generalmente, è certo che ogni misura di effettiva conservazione (includente passi in direzione delle energie rinnovabili) che può essere presa a breve, dovrebbe essere la benvenuta, chiunque la prenda. Ma è importante non vedere in questi passi il ripudio, da parte del capitale, del suo nucleo socialmente ed ecologicamente devastante impegnato nell’espansione, accumulazione e profitto.

Per ricordare a noi stessi che questo nucleo di responsabilità non è per lamentarci che il capitale ignora la crisi ambientale; è semplicemente per valutare il modo particolare in cui risponde ad essa. Ciò include le iniziative dirette delle multinazionali e le misure prese dai governi capitalisti. Al minimo negli Stati Uniti, comunque, predomina la prima spinta.

L’auto-designazione accettata di questo approccio è “l’ambientalismo aziendale” – definito in un autorevole testo come “azioni ambientalmente amichevoli non richieste dalla legge” – che di conseguenza significa, esplicitamente, che le aziende stesse stanno impostando i loro ordini d el giorno in questa direzione [4].

La più tangibile epsressione di ambientalismo aziendale é nel sostanziale salto in avanti, attraverso gli anni ’80, del numero di dirigenti d’azienda assegnati a trattare le questioni ambientali. [5]

Sia sulla base della teoria che su quella dell’esecuzione e vedendo il settore aziendale come un tutto, possiamo dire che questa nuova enfasi si é fatta sentire in 2 modi. Da una parte le aziende sono state allertate dalle opportunità di operare dei positivi aggiustamenti aziendali dove questi coincidono coi criteri correnti del business quali l’efficienza e la riduzione dei costi. [6]

Dall’altra parte, più importante ancora, le aziende si sono attivate direttamente sulla scena politica con una mano eccezionalmente libera nelle casse del governo statunitense. Sia attraverso un lavoro di lobbying che attraverso una diretta penetrazione nei corpi politici esecutivi, esse hanno influenzato le pratiche regolatorie, censurato rapporti scientifici e hanno formato una posizione di sfida nell’arena globale (esemplificata dal ritiro degli USA dagli accordi di Kyoto). In più esse hanno intrapreso vaste campagne di pubbliche relazioni (“leva verde”) per descrivere come ambientalmente progressive le loro pratiche. [7]

Sia fuori che dentro gli Stati Uniti, essi hanno tentato – con considerevole successo – di definire nel loro proprio interesse i parametri internazionalmente accettati di “sviluppo sostenibile”: inizialmente attraverso il “World Business Council” sullo Sviluppo Sostenibile guidando l’ordine del giorno dell’Earth Summit a Rio nel 1992, e in seguito sia attraverso la continuativa attività del WTO che per mezzo della collaborazione delle aziende con le agenzie dello sviluppo delle Nazioni Unite. [8]

Nessuno di questi sforzi include il minimo cambiamento nella basilare pratica capitalistica. Al contrario, essi riflettono la determinazione di sostenere una tale pratica a tutti i costi. La realtà del capitalismo verde è che il capitale presta attenzione alle questioni ambientali; e ciò non è proprio lo stesso che avere delle priorità verdi. [9] Nella misura in cui il capitale opera degli aggiustamenti orientati all’ecologia, senza dubbio questi, che sono anche orientati direttamente al profitto o consigliabili per propositi di pubbliche relazioni o per protezione contro le proprie responsabilità, ciò succede perché quegli aggiustamenti sono stati imposti – o come nel caso delle turbine eoliche in Germania, stimolate e sovvenzionate – dall’autorità pubblica. [10]

Tale autorità. sebbene esercitata ancora entro un quadro complessivo capitalista, riflette primariamente la forza politica delle forze non o anti-capitaliste (organizzazioni ambientaliste, sindacati, comunità, coalizioni popolari, ecc.) anche se queste possono essere in parte sostenute da certi settori del capitale come quelli delle energie alternative e le compagnie di assicurazione.

Dal momento in cui questa corrente d’opinione diviene più forte, i difensori del capitalismo verde raccolgono le richieste popolari per l’energia rinnovabile ma la accompagnano con una visione di non minore proliferazione di prodotti industriali. [11] Facendo così essi trascurano la complessità della crisi ambientale che ha a che fare non solamente con il bruciare combustibili fossili ma con l’assalto globale alle risorse della terra, inclusa per esempio la cementificazione degli spazi verdi, i materiali grezzi e i costi energetici per la produzione di pannelli solari e pale eoliche, l’usurpazione dell’habitat naturale (non solo per mezzo di edifici e lastricati ma anche attraverso argini, pale eoliche, ecc.), le tossine associate ai beni ad alta tecnologia e il crescente problema dello smaltimento dei rifiuti – in breve, le quotidiane applicazioni inabilitate dalle priorità della crescita crescita economica del capitale.

Coloro che propongono il capitalismo verde rispondono a tutto ciò dicendo che la crescita economica, lungi dall’essere il problema, è ciò che ha in sè la soluzione. L’ambientalismo, in questa visione, è una risposta puramente negativa alla crisi ecologica, facendo crescere pratiche impopolari come la regolazione e la proibizione. Da qui la singolare caricatura fatta dal “capitalista verde” all’mabientalista: “Loro tutti dirigono la nostra attenzione a fermare il male, non a creare il bene”. [12] Il bene, da questa prospettiva, è uno scenariodi posti di lavoro, abbondanza materiale ed indipendenza energetica – compresa, comunque, entro un quadro competitivo tipicamente capitalista. Mentre la necessità di tagliare i gas serra è riconosciuta, la sfida viene posta in termini strettamente tecnologici. I tentativi di resistere al consumismo sono minimizzati, secondo il presupposto che l’innovazione, attraverso massicci investimenti pubblici, risolverà ogni problema di penuria (la visione viene enfaticamente centrata sugli Stati Uniti, con la Cina invocata a significare che la strada verso la crescita non è bloccabile).

L’esistenza autentica di un legame ambientale è chiamato in causa in quei campi dove la categoria “ambiente” può solo essere concepita sia come escludente gli umani sia come sinonimo di “tutto”, ai cui estremi dell’uno e dell’altro non vi è alcun senso. [13] La comprensione biologica dell’ambiente come un intreccio di parti che si compenetrano a vicenda non è preso in considerazione.

Per ultimo, il “capitalismo verde” è una contraddizione in termini – con un polo che si riferisce all’equilibrio complessivamente in evoluzione di ciò che circonda le specie viventi e l’altro che si riferisce alla crescita incontrollata o cancerogena di uno dei suoi particolari componenti. [14]

Ironicamente il nucleo della risposta capitalista alla crisi ecologica è un ulteriore approfondimento della logica della mercificazione. La pratica capitalista è venuta a porre non solo una minaccia materiale al ricupero ecologico ma anche una minaccia ideologica alla teoria socialista e, in aggiunta, alla prospettiva di sviluppo di un movimento popolare a lungo termine con una ispiratrice visione alternativa.

2. http://southflorida.bizjournals.com

3. Fred Magdoff “The Political Economy and Ecology of Biofuels”, Montly Review 60, no. 3 (July-August 2008).

4. Thomas P. Lyon – John W. Maxwell, Corporate Environmentalism and Public Policy (New York: Cambridge University Press, 2004), 3. Andrew J. Hoffmann, From Heresy to Dogma, expanded edition (Stanford: Stanford University Press, 2001), 3.

5. Hoffmann (From Heresy to Dogma, 127)

6. Michael E. Porter and Claas van der Linde, “Green and competitive”, Harvard Business Review 73, n° 5 (September/October 1995).

7. Jed Greer and Kenny Bruno, Greenwash (New York: Apex Press, 1996).

8. Kemmy Bruno and Joshua Karliner, Earthsummit.biz (Oackland, CA: Food First Books, 2002).

9. Vedi, per esempio, la dettagliata critica di Wal-Mart su: http://walmartwatch.com/img/blog/environmental_fact_sheet.pdf; anche “Green-Up to a Point”, Business Week, March 3 2008; anche Helen Caldicott, Nuclear Power Is Not The Answer (New York: New Press, 2006).

10. Peter Thayer Robbins, Greening the Corporation (London: Earthscan Publication, 2001).

11. Robert F. Kennedy jr. nel suo manifesto del maggio 2008 “The Next President’s First Task”.

12. Ted Nordhaus/Michael Shellenberger, Wall Street Journal “Break Through” (Boston, Houghton Mifflin, 2007). Vedi anche Shellenberger “The Coming Bursting of the Green Bubble”, 22 aprile 2008. Richard Douthwaite, The Growth Illusion (Gabriola, BC, New Society, 1999).

13. Nordhaus/Schellenberger, Break Through.

14. Vedi John McMurtry, The Cancer Stage of Capitalism (London, Pluto Press, 1999)

** Se puoi sostenere il mio lavoro, comprami un libro **

Be the first to comment on "Green Capitalism."

Leave a comment