Letteratura italiana medioevale e moderna-Manuale-Casadei, Santagata-Schedature.

Letteratura italiana medioevale e moderna-Manuale-Casadei, Santagata-Schedature
Letteratura italiana medioevale e moderna-Manuale-Casadei, Santagata-Schedature,

di Sergio Mauri

  • Dal latino al volgare.
  • Sviluppo del Comune sotto i profili economico e politico ed inglobamento del contado.
  • Conflitto e dualismo di potere fra trono e altare.
  • Ciclo arturiano o Bretone –> Bretagna; Ciclo Carolingio –> Ile de France; El Cid Campeador in Spagna; Saga dei Nibelunghi –> Germania.
  • Lingua d’oeil, lingua d’oc.
  • Frammentazione politica della penisola.
  • Argomento morale-religioso o amoroso.
  • Dante Petrarca Boccaccio padri della lingua italiana.
  • San Francesco, Jacopone da Todi inventore della lauda.
    • Altri ancora, minori: Giacomino, Bovesin da la Riva, Anonimo Genovese.
  • Scuola siciliana.
    • De vulgari eloquentia (Dante) in cui si condanna l’uso del volgare depurato dal gergo dialettale da parte dei siciliani.
    • Nella scuola siciliana l’esperienza amorosa è privata, non c’è chiusa poetica per mezzo della tornata. Il modello trobadorico è accolto in maniera selettiva. Non conoscono la ballata del centro nord. Non conoscono la pastorella. Si conoscono la canzone, il discordo e il sonetto. Il sonetto è il lascito più autentico della scuola siciliana.
  • La poesia siciliana approda in Toscana ed Emilia attraverso gli spostamenti della corte federiciana.
  • Il poeta è impegnato nella società civile. I temi si spostano sul terreno etico-religioso e politico.
  • Bonagiunta Orbiccioni (Lucca) e Guido Guinizzelli (Bologna) adottano la maniera cortese siciliana; Guittone d’Arezzo la scuola dei poeti moralisti. Guittone adotta il trobar clus.
  • Dictamen: arte del comporre.
  • Planh: lamento, in provenzale.
  • Guittone, da una parte demistifica l’amore; dall’altra invita a mantenere comportamenti eticamente in linea con la morale religiosa.
    • Chiaro Davanzati e Monte Andrea sono della scuola guittoniana.
  • Guinizzelli (“al cor gentil rempaira sempre amore”) sostiene che la gentilezza risiede nella virtù, non nel denaro o nelle nobili origini.
  • La donna angelicata è sviluppata dall’ideale stilnovista.
  • Agli occhi del peccatore, risponde Guinizzelli, la donna è un’immagine del divino.
  • Stilnovo: Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Lapo Gianni; Dino Frescobaldi.
    • Da ricordare che Dante dedica a Cavalcanti la Vita Nova.
  • Il nome di Stilnovo e l’unità della scuola vanno ben oltre le analogie sotto il profilo ideologico e quello formale e vanno dedotte da ciò che Dante disse nel De vulgari eloquentia, nella Vita Nova e nella Commedia. Dante scrive di aver dato vita assieme a Cino, Cavalcanti e Lapo Gianni ad un nuovo modo di far poesia rispetto all’antica maniera di Guittone e degli altri toscani. Secondo Dante l’unico poeta precedente che si salva e merita il titolo di iniziatore e padre del nuovo corso poetico è Guinizzelli.
  • Con gli altri poeti, Giacomo da Lentini, Guittone e Bonagiunta, Dante fa i conti in un passo famoso della Commedia dove si afferma pure la superiorità del “dolce stil novo”.
  • Lo stilnovo formalmente semplifica lo stile, lo regolarizza. Dante e i poeti della sua cerchia scelgono una maniera leu[1] in opposizione all’oscurità dei predecessori. Anche dal punto di vista della metrica dei testi gli stilnovisti non usano la metrica abnorme delle lunghissime canzoni-trattato guittoniane nate dalla modifica della struttura del sonetto codificata dai siciliani. Anche i contenuti sono molto diversi. Guittone, da moralista, aveva descritto l’amore terreno come un male; gli stilnovisti vedono nella donna un’immagine di Dio, un angelo inviato sulla terra per la salvezza degli uomini.
  • La complessa teoria dell’amore di Dante e Cavalcanti è scaturigine dell’ambito comunale e a quel modello cortese.
  • Gli stilnovisti evitano di trattare temi politici, etici e religiosi. Essi esercitano una poesia indifferente alla quotidianità e richiede conoscenze filosofiche e teologiche. Parlano quindi a una ristretta élite di letterati.
  • Cavalcanti nasce in una potente famiglia fiorentina tra il 1250 e il 1260. Studiò filosofia ed entrò in contatto con ambienti averroisti, perciò ebbe fama di eretico. Fu esiliato nel 1300 in seguito agli scontri che opponevano le maggiori famiglie fiorentine. Morì a Sarzana pochi mesi dopo.
  • Per Cavalcanti, al contrario di Dante e Cino da Pistoia, l’amore nel suo aspetto doloroso è un’esperienza drammatica che confina con la morte.
  • Cavalcanti interloquisce con la donna per mezzo della filosofia aristotelica e del suo interprete Averroè. Dalla canzone d’amore arriviamo alla canzone sull’amore.
  • Cino da Pistoia, politicamente guelfo, è il terzo grande poeta stilnovista. Stile dolce e piano, misura classica nei metri e nella lingua, l’amore come tema quasi esclusivo. Ebbe incarichi civili e politici. È l’autore più prolifico.
  • Con lo stilnovismo i poeti tornano a dare un nome alla donna cantata.
  • Ideale continuità con Catullo, Properzio e Ovidio.
  • La poesia comico-realistica è un altro filone poetico accanto a quello serio erotico o morale-religioso. Composta da giullari e recitata sovente di fronte al pubblico delle città. Sono versi con alla base la durezza della vita (povertà, malattia, senescenza, fame) cui fanno da contraltare piccole gioie come il vino, il sesso, il gioco.
  • Guglielmo IX è il più antico dei trovatori.
  • Anche Guinizzelli e Cavalcanti si esercitarono nella poesia comico-realistica.
  • Carmina Burana: antologia di testi poetici latini scritti da vari autori tra il XII e il XIII secolo riuniti in un manoscritto proveniente dall’abbazia di Benediktbeuren. Temi triviali.
  • I maggiori interpreti comico-realistici furono: Rustico Filippi e Cecco Angiolieri. Di loro ci rimangono solo sonetti (20 per il primo e circa 100 per il secondo).
  • Si affrontano argomenti finora preclusi, come i rapporti familiari difficili, i rapporti conflittuali fra i sessi, il gioco e la vita dissoluta. Il poeta parla di sé e parla della varia umanità che incontra con un taglio caricaturale.
  • Poesia religiosa: San Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi. La poesia religiosa darà il massimo di frutti nel Trecento con le prediche del Passavanti, gli scritti del Cavalca e l’epistolario di Santa Caterina. Sono opere in volgare.
  • Francesco d’Assisi, autore delle Laudes creaturarum. Cristiano coerente, abbandona gli agi familiari per predicare il Vangelo in assoluta povertà.
  • Di certo l’opera di Francesco ha accenti antiereticali, in particolar modo contro i catari.
  • Le laudi sono testi per lo più anonimi scritti in forma di ballata.
  • Iacopone da Todi, il più importante autore di laudi. Codificatore del genere e modello per coloro che lo utilizzarono dopo. Nasce tra il 1230 e il 1236. Fu laico, forse procuratore legale, si converte verso il 1269. Nel 1278 diventa frate minore e diventa Spirituale, ala radicale del francescanesimo. La famiglia Colonna era alleata degli Spirituali. Papa Bonifacio VIII li combatte e combatte i loro alleati. Iacopone finisce in carcere. Vi esce nel 1304 per intervento di papa Benedetto XI. Muore nel 1306 nel convento delle clarisse di San Lorenzo.
  • I temi delle sue laude sono vari. C’è una componente mistico-ascetica e temi di natura privata (invettive, epistole in versi, testi autobiografici e “lirici”). Stile realistico che si avvicina al filone burlesco di Rustico Filippi e Cecco Angiolieri.
  • La poesia trecentesca può essere distinta in due filoni principali: quello lirico e quello allegorico-narrativo. Il lirico riprende e sviluppa il modello proposto da Cino, Cavalcanti, Dante. L’allegorico-narrativo segue la strada aperta dalla Commedia, cioè la rappresentazione oggettiva, in versi, di contenuti morali, filosofici e dottrinali. Dopo gli stilnovisti si spegne la tradizione lirica toscana. La tendenza dominante sarà, per coloro che vivono all’ombra di Petrarca e Boccaccio, la lirica didattico-morale di poco impegno. Solo dopo la metà del Trecento Alberto degli Albizi e Cino Rinuccini torneranno all’ortodossia cortese componendo liriche d’amore, riferendosi allo stilnovo e a Petrarca.
  • Il Veneto è fertile alla poesia, poiché Dante prima e Petrarca poi vi si trasferiranno raccogliendo ammiratori e seguaci. Si ricorda il trevigiano Nicolò de’ Rossi.
  • Si diffonde in questo periodo l’arruolamento degli intellettuali nelle corti signorili nel ruolo di epistolografi o cancellieri e sia Dante che Petrarca svolsero a volte questa mansione. Ricordiamo inoltre Fazio degli Uberti, Antonio Beccari, Francesco di Vannozzo, tutti ospiti dei Visconti e degli Scaligeri.
  • Il Trecento produce, nel campo dei poemi allegorico-narrativi, due capolavori: la Commedia di Dante e i Trionfi di Petrarca. Ne produce inoltre una terza, di minor valore letterario, la Amorosa visione di Boccaccio.
  • Oltre a quelle vette abbiamo l’Acerba di Cecco d’Ascoli (poema incompiuto in 5 libri che possa in rassegna buona parte dello scibile umano). Cecco, caso unico nel Trecento, polemizza con Dante opponendo il proprio enciclopedismo alle “favole” della Commedia. Abbiamo poi il Dittamondo di Fazio degli Uberti che imita in toto il poema dantesco, ma narra di un viaggio immaginario attraverso il mondo sotto la guida dell’antico geografo Solino. Una specie di letteratura fantastica.
  • La prosa duecentesca. A differenza della poesia, la prosa italiana avviene più tardi e in modo incerto. Dal XII secolo per uso pratico e in brevi scritti. I testi sono quasi tutti toscani. La tipologia dei testi rimanda per lo più al ceto mercantile. Si tratta di libri di conti, portolani, testamenti, lettere di mercanti. Una comunicazione e registrazione di dati al fine di comprendersi. Dal XIII secolo le cose cambiano; in primis nelle scuole e università. L’ars notoria (notai) e l’ars dictandi (epistolografia) vengono usate da un numero crescente di soggetti.
    • Guido Faba, professore all’Università di Bologna, forniva al suo lettore-allievo modelli di epistole in latino, ma anche in volgare, su materie sia pubbliche sia private.
    • Bono Giamboni, Guidotto da Bologna, Ristoro D’Arezzo e Brunetto Latini sono autori di volgarizzazioni di trattati latini di retorica. Rispecchiano l’uscita dalle aule universitarie delle arti del discorso, per diventare strumenti d’uso comune della quotidianità.
  • Il prestigio del latino sarà un freno all’affermarsi del volgare, per un periodo abbastanza lungo.
  • La prosa narrativa è meno ampia e variegata. Si articola in storie esemplari che sottintendono una lezione morale.
  • Novellino: raccolta di cento novelle della fine del XIII secolo che inaugura la narrativa italiana moderna.
  • Bono Giamboni: autore di trattati morali, giudice e podestà di Firenze, massimo prosatore toscano della sua generazione, con Brunetto Latini. Sua opera maggiore: Libro de’ vizi e delle virtudi, scritto grazie alla sua conoscenza del Medioevo latino (Prudenzio, Claudiano, De consolatione philosophiae di Boezio). Lungo i 76 capitoli si intrecciano due storie. Il viaggio compiuto dal protagonista e autore del libro per la propria salvezza spirituale, come nella Commedia di Dante. Prostrato e stanco incontra la Filosofia con la quale procede il suo cammino verso la virtù. Tocca argomenti religiosi in cui l’esito della lotta si chiude con la vittoria della Virtù e della vera religione contro le eresie in cui rimane però aperto il conflitto con l’Islam.
  • Guittone d’Arezzo, Epistolario. Impegno morale, a seguito della conversione, veicolato dal suo stile irruento, legato alla predicazione e all’oratoria. Le lettere indicano, a singoli destinatari, la strada del bene. Ci rimangono 34 lettere.
  • Brunetto Latini. È poeta lirico, didattico (Tresor), traduttore, trattatista. Intellettuale polivalente. Fu coinvolto nella vita politica e civile del suo tempo. Sindaco di Montevarchi, ambasciatore del comune di Firenze presso Alfonso X di Castiglia. Esule per 5 anni in Francia a causa della vittoria dei ghibellini. Torna a Firenze nel 1266, ricopre varie cariche, muore nel 1294. Volgarizza il De Inventione di Cicerone, che rende un’opera compatta, interessante nella misura in cui si allontana dal modello. C’è un ricco apparato didascalico a chiarire la terminologia tecnica e l’inserimento dell’arte retorica nella realtà contemporanea concreta. Per quanto riguarda il Tresor, scritto in francese durante l’esilio, ebbe vasta diffusione tra gli intellettuali toscani. Il francese, nel Duecento, è la lingua raccomandata per la prosa in virtù della sua diffusione internazionale. (Il pisano Rustichello sulla base dei racconti di Marco Polo scrisse in francese il Milione). Il I libro del Tresor è un’ampia raccolta in materia di teologia, storia, fisica, geografia, architettura, storia naturale, zoologia. Il II associa a una lunga sezione sui vizi e le virtù una traduzione parziale e un commento dell’Etica di Aristotele. Nel III libro, a coronamento del trattato, paragrafi sulla retorica e sulla politica, indirizzati all’uomo di Stato.
  • Ristoro d’Arezzo, autore de La composizione del mondo, opera scientifica in volgare romanzo. Era forse un frate, certo un intellettuale in stretto rapporto con l’Università di Arezzo. L’opera attinge a fonti diverse: Tolomeo, gli enciclopedisti medievali, i filosofi arabi, Aristotele. Da quest’ultimo deriva la categoria intellettuale fondamentale nel libro, la dialettica degli opposti. La prima parte, in 24 capitoli, è dedicata alla cosmologia e alle scienze naturali. La seconda, 94 capitoli, prosegue con osservazioni analitiche sui pianeti e lo zodiaco. Quindi passa in rassegna le regioni terrestri, i fenomeni naturali e atmosferici. Nel finale l’andamento del trattato si spezza e deraglia su questioni minori.
  • Guido Faba. Nel corso del XIII secolo il volgare prese piede in ambienti che in passato gli erano rimasti preclusi: i tribunali, le cancellerie, la Chiesa. Guido insegna all’Università di Bologna, massimo centro europeo per gli studi giuridici. Compose in latino una Summa dictaminis per i suoi studenti; si tratta di un “Arte dello scrivere lettere e documenti”. Scrive poi la Gemma purpurea, un trattato di epistolografia diviso in una sezione di precetti e in una di esempi. Scrive i Parlamenti et epistole (Discorsi e lettere). In entrambe le opera abbiamo anche parti in volgare. Si evince quindi la presenza di un pubblico di non letterati sempre più ampio.
  • La storiografia in volgare nasce nel primo Trecento con le Cronache di Dino Compagni e Giovanni Villani. Nel Duecento la storiografia è in latino e ha un impianto elementare: sono cronache che mettono in fila senza analizzarli, piccoli fatti di risonanza locale oppure storie universali fatte di rozze elencazioni di eventi succedutisi dalla fondazione di Roma. Fa eccezione la Chronica latina di Salimbene de Adam, frate parmense, testimone diretto di buona parte degli episodi della storia duecentesca che narra. Dal lato del volgare abbiamo la Cronaca pseudolatiniana di un fiorentino che ha come fonte primaria l’opera di Martino Polono e la Istoria fiorentina di Ricardano Malaspini, poi proseguita dal nipote Giacotto che ripercorre la storia della città dalle mitiche origini fiesolane ai Vespri siciliani. Si ritiene che essa sia una delle principali fonti della Cronaca del Villani.
  • Il Novellino, prosa narrativa. Questo genere ha dato, nel Duecento, frutti poveri. È caratterizzata da un’istanza narrativa fusa a quella morale-religiosa. Si narra per l’edificazione del lettore. La struttura ricalca quella degli exempla o delle leggende sacre. La novella singola sarà un’invenzione del Quattrocento. Le prime prose sono traduzioni o rimaneggiamenti di modelli francesi o latini. Il confronto con le altre lingue accompagna per un tempo più lungo l’evoluzione della narrativa italiana medievale. I Conti senesi sono la volgarizzazione delle Vies des Peres, di tono didattico e edificante. I protagonisti sono anonimi personaggi legati alla Chiesa che trasmettono al lettore un modello di virtù e comportamento cristiano. I Conti di antichi cavalieri sono una raccolta romanzata di exempla con una funzione di ammaestramento e moralizzazione dei reggitori dello Stato. I protagonisti sono cavalieri (equites, cioè, nobili) dell’età greco-romana, modelli di virtù in grado di convincere uomini di ogni parte politica. I Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperadori sono la probabile fonte dei Conti di cui sopra.
  • Il Novellino. È una raccolta di brevi racconti che getta le basi della nostra prosa narrativa. Ci rimangono 100 novelle e non sappiamo se questa consistenza sia quella originale o meno. Può essere successo che sia la selezione tarda di qualcuno che volesse farne il contraltare del Decameron, composto dallo stesso numero di novelle e la prima edizione si chiama Cento novelle antiche. Il Novellino presenta un principio di strutturazione interna, una varietà di principi: temi comuni, ambientazione, identità del protagonista. Ha finalità esemplari. L’autore del Novellino dice che il suo impegno è di natura laica. Le novelle cristiane, poche, sono meno felici perché troppo imitanti l’exemplum e anche perché alla narrazione è applicata una coda moralizzatrice. La novella 54, ripresa poi nel Decameron (I, 4) mette in scena un “piovano Porcellino” che accusato di concubinaggio si discolpa dimostrando che i costumi del vescovo suo censore non sono migliori dei suoi. Altre 3 novelle sfruttano la comicità insita nel momento di contatto tra laici e chierici durante la confessione (87), avidi (91) o cialtroni (93). Il testo è rivolto ai “gentili e nobili”, una captatio benevolentiae. Nel Novellino i fatti sono al servizio delle parole, gli elementi d’intreccio sono scarni e corrono subito al colpo di scena che chiude la novella. Nel Novellino la dimensione della parola è centrale; nel Decameron è centrale l’evento. Il Novellino offre a un pubblico di laici e borghesi di media cultura un più abbordabile e avvincente modello di retorica civile.
  • Narrazioni storico-mitologiche. Sono forme narrative che possiamo accostare al moderno romanzo. Attraverso la letteratura francese arrivano in Italia tre temi: 1) la materia troiana (Benoit de Sainte-Maure à Roman de Troie; Guido delle Colonne à Historia destructionis Troiae; Brunetto Latini à Tresor; Novellino); 2) materia romana (fatti di Cesare); 3) versioni delle imprese di Tristano (Tristano riccardiano; Tristano panciatichiano; Tristano palatino; Tristano corsiniano).
  • Il Milione. È il resoconto dei viaggi del mercante veneziano Marco Polo. Si intitola Milione dal soprannome della famiglia Polo, Emilione. Fu dettato nel 1298 da Marco a Rustichello da Pisa suo compagno e letterato nelle carceri di Genova. L’originale è in francese e tratta del viaggio in Asia di Marco.
  • Evoluzione della prosa nel Trecento. Nel corso del secolo la scrittura interessa un numero crescente di persone e si diversifica in più tipologie. Tra gli storiografi in volgare è da ricordare il fiorentino Dino Compagni, autore della Cronica, eventi occorsi nella sua città tra il 1280 e il 1312. Il suo erede è Giovanni Villani, fiorentino, autore di una Nuova Cronica, pubblicata in 10 libri. I fatti narrati giungono fino al 1348, anno in cui muore. La riprende il fratello Matteo, narrando la storia italiana dal 1348 al 1365 e la riaggiorna il nipote Filippo. La gran parte della prosa viene dalla Toscana, ma il capolavoro viene dal Lazio. Si tratta della Cronica scritta da un Anonimo Romano, in relazione alla vicenda di Cola di Rienzo nel suo tentativo di instaurare un governo popolare a Roma. L’autore usa anche il romanesco che vivacizza la narrazione. È stato proposto di identificare l’Anonimo con Bartolomeo di Iacovo di Valmontone (Giuseppe Billanovich, filologo e critico).
  • La novellistica. Il capolavoro è il Decameron. La produzione novellistica aumenta dopo la sua pubblicazione. Franco Sacchetti (1332-1400), nato in una famiglia di mercanti, scrisse alcune centinaia di testi poetici e il libro di racconti Trecentonovelle (ce ne restano 223). Rispetto al Decameron Sacchetti riduce e semplifica. Manca però una cornice che permetta all’autore di parlare in prima persona e di coordinare le diverse novelle. Del realismo di Boccaccio è accolta solo la componente aneddotica e giocosa.
  • Scrittori religiosi. Anch’essi spingono all’uso del volgare nella predicazione, nella preghiera, nei trattati spirituali per raggiungere un pubblico più ampio. Interessante il caso delle leggende legate a San Francesco. Il centro del rinnovamento è la Toscana. Il domenicano Giordano da Pisa compone e pronuncia più di 700 prediche in volgare su temi come il lusso, i costumi delle donne, l’usura, la corruzione. All’indirizzo della borghesia mercantile cittadina. Domenico Cavalca ne lo Specchio dei peccati, lo Specchio di croce e il Pungilingua scrive di disciplina del buon cristiano e di sacramenti. Il domenicano fiorentino Iacopo Passavanti compone oltre a sermoni in latino, il trattato Specchio di vera penitenza in volgare.
  • Dante Alighieri. Nasce nel 1265 a Firenze, città centro economico e finanziario della Toscana in cui è viva la lotta tra fazioni. Da una parte i sostenitori dell’impero, i ghibellini, dall’altra quelli del papato, i guelfi. La ricerca della supremazia significava strage ed esilio della parte avversa. Dante proviene da una famiglia della piccola nobiltà. Studia a Firenze, nelle “scuole de li religiosi” (Convivio, II, XII, 7), negli Studia ecclesiastici a cui potevano accedere anche i laici. Integra la propria istruzione con la lettura dei filosofi antichi e dialogando con gli intellettuali del suo tempo (Cavalcanti, Cino da Pistoia, Brunetto Latini suo maestro riconosciuto). In virtù della sua cultura e all’appartenenza a una famiglia non-magnatizia a cui erano state precluse le cariche pubbliche per volontà del popolo minuto, può partecipare, a metà anni Novanta del Duecento al governo del Comune. Le divisioni a Firenze sono tra Guelfi Bianchi (famiglia Cerchi) e Guelfi Neri (famiglia Donati). Dante si schiera coi primi, difensori del popolo e delle magistrature cittadine e contrari ai magnati. Nel 1300 è eletto priore. Nel 1301è inviato da Papa Bonifacio VIII che vuole ridurre Firenze sotto il proprio potere con l’appoggio dei Guelfi Neri, alla ricerca di un compromesso. I Neri, però, si impadroniscono della città e bandiscono i Bianchi. Dante viene condannato a morte in contumacia e non tornerà più a Firenze. L’esilio durato vent’anni porta Dante in diverse città e corti dell’Italia centro-settentrionale. Il periodo più lungo è quello passato a Verona presso Bartolomeo della Scala. Tentò di rientrare a Firenze almeno per i primi anni. Per un breve periodo si associò a un gruppo di Bianchi fuoriusciti che tentavano di riprendere Firenze con le armi e l’ausilio di improvvisati alleati. Ogni tentativo fallisce. Muore a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta nel 1321. Dante sposa Gemma, della famiglia dei Donati e ha con lei almeno 3 figli: Antonia, Iacopo e Pietro. Tutti condivideranno la sua condanna e il destino da esule. Le vere informazioni su Dante le abbiamo dalla sua opera poetica. La sua lirica, a differenza di altre, è carica di realtà, vicina all’esperienza e al gusto dei lettori moderni. Dalla Vita nova conosciamo i dettagli sull’evento cruciale della prima parte della sua vita, l’incontro con Beatrice, probabilmente Bice figlia del ricco mercante fiorentino Folco Portinari. L’incontro avviene quando Dante ha 9 anni, l’innamoramento quando ne ha 18, infine la morte della donna, probabilmente nel 1290. Il racconto ha un fondamento nella realtà, al netto di alcune amplificazioni, invenzioni o simbolismi. I testi in onore di Beatrice sono racconti nella Vita nova nei primi anni Novanta. Successive all’esilio sono le grandi opere teoriche in prosa: De vulgari eloquentia, 1303-5, incompiuto, sulla lingua volgare; il Convivio, 1303-7, incompiuto, progetto filosofico; Monarchia. In margine a queste opere dottrinali inizia il lavoro della Commedia che concluderà poco prima della morte. Da notare che si sono conservati diversi autografi di Petrarca e Boccaccio, ma nessuno per mano di Dante. La sua scrittura ci è ignota.
    • Vita nova. È il diario della prima fase della vita di Dante, della sua vita interiore. Nell’opera l’io è il testimone di eventi memorabili: la vita e la morte di Beatrice. È il resoconto di un’esperienza realmente vissuta, non un qualcosa di mitologico o allegorico. La Vita nova è un prosimetro come in una delle opere fondamentali per la formazione di Dante, il De consolatione philosophiae di Severino Boezio. I capitoli in prosa sono stati composti dopo la morte di Beatrice. Definiscono le circostanze storiche, introducono e commentano le poesie dedicate a lei da Dante. Autobiografia e carriera artistica si intrecciano. Il racconto è anche un bilancio delle capacità dell’autore fino ai suoi trent’anni. La Vita nova è quella che inizia dopo il primo incontro con Beatrice. La critica ha anche ricordato il versetto dei Salmi in cui si promette un “canticum novum”: è possibile che questi e altri luoghi biblici abbiano ispirato a Dante l’idea del rinnovamento. Ciò che conta è l’idea dell’evento straordinario, miracoloso che decide della vita e dell’arte di Dante. All’inizio dell’opera Dante riferisce i testi sacri e i modelli letterali che ha presenti: nella vita e morte di Beatrice fatto da un testimone diretto del “miracolo”, ha punti di contatto con la storia di Gesù narrata dagli evangelisti e con le leggende legate alla vita dei santi. Nella raccolta siamo di fronte alla fase stilnovista, analoga ad altri autori contemporanei: Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni. L’originalità di Dante va cercata nei molti motivi nuovi di ispirazione. Già l’introspezione era conosciuta attraverso la lirica romanza. Riflessione, quindi, sull’amore presente e vissuto, nonché della preghiera alla donna perché si dimostri pietosa dell’amante. A metà del libro, però, cambia la materia. Da quando Beatrice gli toglie il saluto, egli rinuncia alla poesia preghiera e si rifugia nella lode a Beatrice senza attendersi nulla da lei. La lode non è tanto diretta alla bellezza della donna quanto alle sue virtù morali. La donna-angelo, mito stilnovista, immagine di Dio e dispensatrice di salvezza e lontana dal suo amante è qui chiaramente formulata. I termini nuovi sono: virtù, miracolo, gentilezza, intelletto, onestà, fede. La morte di Beatrice obbliga Dante a un cambio di materia. Egli non si limita al planh (compianto), cioè al lamento, ma si muove tra il motivo della morte dell’amata e dell’amore che sopravvive che entrerà stabilmente, prima del Canzoniere, nel repertorio di temi della poesia occidentale.

[1] Trobar leu o plan, forma facile e intelligibile a tutti, contrapposta al trobar clus difficile ed ermetico.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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