di Sergio Mauri
La perenne presenza dell’esperienza artistica nel mondo non classico, da cui vanno escluse tutte le forme di commercio e di edonismo esistenziale attraverso la merce “arte”, è la dimostrazione manifesta di quanto sia alienante la vita che conduciamo. Attraverso quella esperienza, i pochi che riescono o sono in grado di praticarla, tentano di ricostruire un mondo in cui ci si possa identificare e misurare: loro per primi. E’ un lavoro tutt’altro che facile e dall’esito assolutamente non scontato.
Riguardo la “perenne presenza dell’esperienza artistica” l’ho citata nel senso della sua non storicizzazione: l’arte, come esperienza, esiste comunque indipendentemente dal suo modo d’esprimersi. Oggi, in questa fase storica dove lo sviluppo parossistico del sistema capitalistico (in profondità ed estensione) mina le basi di ogni libertà ed autonomia espressiva. Oggi l’industria (sottomessa alla finanza, che è il risultato della fusione tra banca ed industria) ha eliminato gran parte delle conoscenze e tradizioni produttive ed artigianali secolari e talvolta millenarie; e questo è il fenomeno che differenzia la presente fase da quelle finora viste. E’ questo il senso di “esclusione” che ho voluto dare a quelle “costruzioni” pretenziosamente artistiche in cui l’unico riferimento è l’ordine impartito dall’industria per commercializzare i suoi prodotti. In questo senso manca la libera ricerca; il disinteresse nel fare le cose; il creare per il gusto di creare, senza troppi ragionamenti reconditi.
L’alienazione che ho citato è particolarmente forte oggi, dove ogni atto che può essere collettivo deve essere vagliato dalla logica del profitto altrimenti non è. O altrimenti rimane individuale; puro piacere singolare e segregato dal resto della società.

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