La rivoluzione francese.

La rivoluzione francese
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di Sergio Mauri

Alla fine del Settecento, diversamente dall’Inghilterra dove iniziava a svilupparsi la rivoluzione industriale, l’economia francese era ancora essenzialmente agricola. L’ottanta percento della popolazione lavorava la terra. L’agricoltura francese era arretrata rispetto a quella inglese. La concentrazione della proprietà fondiaria era sbilanciata a favore dell’aristocrazia e del clero. I contadini erano vessati dai nobili con percentuali sul raccolto e corvées. In certe regioni vigeva ancora la limitazione al matrimonio, per i contadini. Il Terzo Stato rappresentava il 98% della popolazione, la nobiltà l’1,5%, il clero lo 0,5%. Gli ordini tuttavia erano al loro interno eterogenei con differenze apprezzabili di status economico e sociale.

La divisione sociale tra i primi due ordini e il Terzo Stato era basata sui privilegi. Le tasse gravavano sul Terzo Stato solo i primi due ordini potevano accedere alle alte cariche dello Stato e ai gradi superiori dell’esercito.

La Francia, nella seconda metà del ‘700 affrontò una pesante crisi finanziaria. Il motivo era, soprattutto, la questione delle spese militari, ma le risorse uscivano copiose anche per il mantenimento della corte e per le rendite dei nobili. Lo Stato allora inasprì le tasse e prese a prestito i soldi dei cittadini. Il ministro delle finanze Necker arrivò al punto di falsificare, nel 1781, i bilanci dello Stato, vista la gravità della situazione in modo da continuare ad attrarre il prestito dei cittadini. Si fece allora strada l’ipotesi di estendere la tassazione ai nobili e al clero. Gli interessati fecero pressioni per la convocazione degli Stati Generali che non venivano convocati dal 1614, dove discutere dell’imposizione di nuove tasse. Il re convocò gli Stati Generali nel 1789.

Da questo atto sfociò la rivoluzione che coinvolse tutti i ceti della società francese, in maniera differente, ovviamente. Il Terzo Stato, benché stratificato al suo interno, fu unito a rivendicare i propri diritti contro l’Ancien Régime. Questi eventi furono indubbiamente influenzati dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Americana. Tra le cause scatenanti, inoltre, annoveriamo la crisi dell’agricoltura e del manifatturiero e l’impopolarità del sovrano e della regina Maria Antonietta, moglie austriaca di Luigi XVI°.

Nella primavera del 1789 il re chiese ai sudditi di esprimere le loro esigenze nei Cahiers de doléance per dare agli Stati Generali una materia informativa sulla nazione. Le richieste riguardavano l’abolizione dei diritti signorili, l’elaborazione di una costituzione, l’uguaglianza fiscale e anche misure protezionistiche nei confronti dell’Inghilterra per salvare le industrie tessili nazionali.

Nel frattempo si aggravava la crisi economica poiché il raccolto era stato pessimo, il prezzo del pane era aumentato così come la disoccupazione. Nelle campagne e nelle città ci furono delle rivolte. Da questa situazione scaturirono ben tre rivoluzioni (che compongono LA Rivoluzione Francese): la rivoluzione parlamentare; la contadina; quella dei sanculotti delle città. Gli Stati Generali furono convocati dal re il 5 maggio 1789. il primo problema fu quello del sistema di votazione che gli aristocratici volevano fosse quello per ordine (cioè un ordine un voto) così che, in alleanza col clero, avrebbero potuto mantenere i vecchi privilegi. Il Terzo Stato, invece, proponeva il sistema “una testa un voto” col quale sarebbe riuscito a prevalere. Il re, tuttavia, era sordo a ogni sia pur moderato rinnovamento e anzi rilanciò con due scelte provocatorie: la prima fu quella di organizzare le riunioni a Versailles, nello sfarzo di quella corte che opprimeva il popolo; la seconda riguardava la coreografia dell’assemblea dove il Terzo Stato fu obbligato ad indossare un austero abito nero mentre ai nobili e al clero fu consentito di vestirsi con abiti sontuosi.

Rispetto al rifiuto di votare per testa il Terzo Stato si proclamò unico e vero rappresentante della nazione definendosi Assemblea Nazionale. Luigi XVI° fece chiudere la sala, ma i rappresentanti del Terzo Stato la occuparono giurando di non sciogliersi finché non fosse stata promulgata una costituzione: era il Giuramento della Pallacorda del 20 giugno.

Di fronte a ciò il re riconobbe l’Assemblea e invitò clero e nobiltà a parteciparvi. Il 9 luglio 1789 il nuovo organismo prese il nome di Assemblea Nazionale Costituente.

La corte e la regina fecero affluire a Versailles alcuni reparti militari. Il popolo parigino temendo che il re preparasse un colpo di mano contro l’Assemblea, il 14 luglio 1789 assalì e distrusse la Bastiglia, carcere politico e simbolo dell’antico regime. A Parigi un comitato di insorti assunse il controllo del municipio e fu organizzata, su base volontaria, la Guardia Nazionale, sotto il comando di Joseph de La Fayette che aveva aiutato il popolo americano nella lotta per l’indipendenza. Pure nelle province furono create municipalità rivoluzionarie e Guardie Nazionali. Nelle campagne i contadini assalivano i castelli dei nobili per cancellarvi le carte bruciandole che ne sancivano i privilegi. Fu una rivolta disordinata e scomposta che, tuttavia, in tutta la nazione produsse solo 3 vittime. Questa mobilitazione non preoccupava solo i nobili, ma anche i borghesi più facoltosi e proprietari di terre. L’Assemblea Costituente, allora, cercò un compromesso, per cui il 4 agosto 1789 fu decisa l’abolizione delle corveés e degli altri obblighi feudali dei contadini, dietro pagamento di un riscatto. Per molti contadini, però, tale misura era inutile, vista la condizione di miseria in cui versavano. Le agitazioni, perciò, continuarono per altri 3 anni, finché i privilegi feudali non vennero aboliti senza indennità. Il territorio nazionale, inoltre, venne diviso in 83 dipartimenti con uguali doveri.

Il 26 agosto 1789 l’Assemblea Costituente approvò la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, sul modello della Dichiarazione d’Indipendenza Americana. La Dichiarazione è un testo breve, composto di 17 articoli, in cui sono proclamati gli inviolabili diritti naturali di ogni uomo.

Tra il 1789 e il 1791 il potere di Luigi XVI° non venne mai messo in discussione, nonostante il suo comportamento. Nacque tuttavia una fazione politica, detta orleanista, che voleva sostituire il sovrano in carica con Luigi Filippo d’Orléans di sentimenti rivoluzionari. Luigi XVI° continuava a contrastare i lavori dell’Assemblea Costituente ed in particolare si rifiutò di ratificare i decreti che abolivano i privilegi feudali e la Dichiarazione dei diritti. Il 5 ottobre 1789 un corteo si recò a Versailles per protestare ponendo al re l’accettazione di 3 cose: l’accettazione dei decreti, la garanzia degli approvvigionamenti alla capitale e che egli si trasferisse a Parigi, alle Tuileries, per essere meglio controllato. Il re cedette, sotto la minaccia della violenza popolare. Il 10 ottobre seguente Luigi XVI° fu proclamato re dei francesi, enfatizzando la natura costituzionale e nazionale (non patrimoniale) della monarchia.

Visto il deficit del bilancio statale, furono requisiti i beni del clero. Allo stesso tempo lo Statosi accollò il mantenimento degli ordini religiosi “utili e operosi” e soppresse quelli contemplativi. Lo Stato provò a vendere gli “assegnati”, cioè i buoni del tesoro garantiti dalle terre e dagli edifici requisiti, ma l’operazione non funzionò, generando anzi inflazione e carovita.

Nel 1790 fu promulgata la Cistituzione civile del clero, attraverso la quale il clero diventava impiegato dello Stato. Questi provvedimenti erano nel solco dell’indipendenza, tipicamente francese, dalla Chiesa di Roma. Papa Pio VI° non poteva però accettare tutto ciò e condannò la Costituzione civile del clero. Questo creò una grossa frattura tra il clero costituzionale e il clero refrattario. Quest’ultimo si schierò con i controrivoluzionari, in compagnia di molti contadini cattolici. Il nuovo corso politico francese, provocò un’ondata di emigrazioni di nobili che volevano riorganizzare così, con l’aiuto di potenze straniere un esercito controrivoluzionario per liberarsi dal nuovo regime. Lo stesso Luigi XVI° tentò la fuga il 20 giugno 1791, ma venne riconosciuto al confine franco-belga e rimandato a Parigi.

Le fazioni rivoluzionarie, sin dal 1789, si erano organizzate in club, sorta di proto-partiti. Il club più famoso fu quello dei giacobini guidati da Robespierre. Egli spinse per la soluzione repubblicana, coloro che non erano d’accordo, i foglianti, si staccarono e si orientarono per la monarchia costituzionale. I più radicali erano i cordiglieri di Danton, Hebert e Marat. Essi, oltre alla repubblica, chiedevano aumenti salariali e garanzie occupazionali per gli operai.

Nella Costituzione del 1791 non fu accettata la Camera Alta, ma si accolse il diritto di veto da parte del re. Il principio della separazione dei poteri fu ripresa dalle teorie illuministiche di Locke e Montesquieu. Fu respinto il suffragio universale e venne fissato un criterio censitario per il quale per votare occorreva un minimo di reddito.

La società fu dunque divisa in tre parti:

  1. i cittadini passivi, senza ricchezze pertanto esclusi dal voto
  2. i cittadini attivi che potevano votare, ma non essere eletti
  3. i cittadini eleggibili, ai quali veniva richiesta anche una proprietà terriera

La Costituzione perciò cancellò la vecchia divisione della società in ordini, ma non stabilì l’uguaglianza politica dei cittadini. Essa era espressione dell’alta borghesia e della nobiltà illuminata. Esse non si riconoscevano più nell’assolutismo e reclamavano un proprio ruolo nella gestione e controllo della cosa pubblica. Tuttavia, non intendevano estendere i diritti alla plebe.

Approvata la Costituzione, l’Assemblea Costituente si sciolse e lasciò il posto all’Assemblea Legislativa. La rivoluzione, tuttavia, si radicalizzò a causa della crescita delle rivolte sociali, sia in città che in campagna, che fecero si che l’Assemblea nazionalizzasse i beni dei nobili emigrati e abolisse i diritti feudali senza indennizzo. Inoltre Austria e Prussia intendevano aiutare Luigi XVI° bloccando la rivoluzione, cosa che intendevano fare anche i nobili emigrati.

La maggioranza dell’Assemblea era orientata verso la guerra per difendere la rivoluzione. I Girondini di Brissot difendevano gli interessi commerciali della costa e pensavano che la guerra avrebbe stimolato la produzione e i commerci. Anche i moderati di Lafayette pensavano che la guerra avrebbe consolidato il loro potere.

Luigi XVI° era pure favorevole alla guerra nella speranza che la Francia rivoluzionaria venisse sconfitta e fosse ripristinato l’Antico Regime.

Solo i Giacobini erano consapevoli della debolezza francese, ma erano minoranza. Nell’aprile 1792, l’Assemblea approvò la dichiarazione di guerra all’Austria e alla Prussia. I primi scontri dimostrarono la fondatezza delle opinioni giacobine. Le sconfitte alimentarono un clima di paura e sospetto in cui gli aristocratici venivano accusati di tradimento e la stessa Maria Antonietta fu sospettata di aver fornito i piani di guerra ai nemici.

Entrano in gioco i sanculotti che il 20 giugno 1792 invasero le Tuilieris costringendo il re a bere alla salute della rivoluzione. I sanculotti trovavano la loro guida nei giacobini e nei cordiglieri e chiedevano la deposizione del re. L’11 luglio l’Assemblea proclamò la Patria in pericolo  e il 25 luglio successivo il duca di Brunswick, comandante austro-prussiano, minacciò la distruzione di Parigi se fosse stato toccato il re.

Questo provocò la fine della monarchia e una nuova insurrezione. Il re si rifugiò presso l’Assemblea che lo sospese dalle sue funzioni e lo incarcerò assieme alla famiglia. Furono indette elezioni per la Convenzione Nazionale a suffragio universale. Nel settembre 1792 i sanculotti assaltarono le prigioni massacrando nobili, preti refrattari e delinquenti comuni sospettandoli stessero ordendo un complotto controrivoluzionario.

Il 20 settembre 1792 si insediò la Convenzione eletta a suffragio universale maschile. I suoi 749 deputati si dividevano in 3 gruppi: girondini (moderati di destra), montagnardi (radicali di sinistra), pianura o palude (centro senza precise idee politiche). I girondini rappresentavano il mondo degli affari e volevano una politica conseguente (libero mercato e niente tasse); i giacobini rappresentavano la piccola borghesia e il popolo minuto e volevano riforme sociali nonché una presenza e controllo dello Stato. Vi erano anche gruppi comunisti che chiedevano la nazionalizzazione delle terre. I giacobini tuttavia non volevano l’abolizione della proprietà privata. I girondini dominavano la Convenzione mentre i giacobini controllavano il comune parigino.

Lo stesso 20 settembre l’esercito francese sconfiggeva a Valmy l’esercito prussiano. Fu un’avvenimento simbolico di notevole importanza, permise inoltre di dare respiro alla difesa della patria. Il 21 settembre fu proclamata la repubblica.

L’assemblea istituì allora un processo al re Luigi XVI°. I girondini cercarono di ritardare la condanna del re poiché vi intravedevano il rafforzamento sia dei sanculotti che dei controrivoluzionari. Robespierre e Sain Just chiedevano la condanna del re per tradimento, poiché furono ritrovate delle carte che dimostravano come egli avesse favorito l’emigrazione degli aristocratici e finanziato la propaganda controrivoluzionaria. La Convenzione votò quasi all’unanimità la condanna a morte del re che venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793, seguito dalla moglie Maria Antonietta nove mesi dopo.

Si pose allora il problema dell’esportazione della rivoluzione. Robespierre vi era contrario mentre i girondini la sostenevano con forza. La tesi dell’esportazione prevalse e fu avviata una politica di annessioni. L’esportazione della rivoluzione con mezzi militari alienò le simpatie di molti intellettuali europei. Costoro non accettavano di buon grado la condanna del re, la persecuzione degli aristocratici e del clero refrattario, nonché la decisione di liberare i popoli ancora sotto la tirannide assolutistica, poiché avevano sperato in uno sviluppo più moderato della rivoluzione. Inoltre i sovrani non francesi temevano per il loro futuro. Perciò crearono insieme alla Prussia e all’Austria la Prima coalizione , un’alleanza antifrancese alla quale si unirono l’Inghilterra, la Russia, la Spagna, il Regno di Sardegna, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli. La coalizione risultò vittoriosa e tolse alla Francia le terre di recente annessione.

A questi problemi se ne sommarono altri di carattere interno. Quello più grave fu la ribellione della Vandea, nella Francia occidentale, delusa dagli scarsi progressi economici e sociali. Questa massa di contadini inneggianti a Dio e al re fu ingrandita dai nobili e dal clero refrattario. La ribellione durò alcuni anni indebolendo i governi rivoluzionari.

Questi fatti misero in difficoltà i girondini che uscirono politicamente sconfitti mentre si stavano affermando i giacobini.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e studioso di storia, filosofia e argomenti correlati. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Hammerle Editori nel 2014.
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