Torquato Tasso.
1.La vita.
Nasce a Sorrento il 11 marzo 1544. Studia, seguendo gli spostamenti del padre, dai gesuiti a Napoli. Si sposta poi a Roma, Bergamo, Urbino. Nel 1559 è a Venezia dal padre e comincia a scrivere un poema sulla prima crociata, Gierusalemme. Nel 1560 è a Padova. Nel 1562 pubblica il poema cavalleresco Rinaldo. Si reca all’Università di Bologna da cui viene però allontanato due anni dopo per aver scritto una satira su professori e studenti. Torna a Padova nel 1564, accolto nell’Accademia letteraria degli Eterei. Nel 1565 è a Ferrara al servizio del cardinale Luigi d’Este. Riprende il progetto del poema sulla prima crociata, col titolo di Gottifredo e poi di Goffredo. Nel 1570 è in Francia al seguito del cardinale d’Este e conosce il poeta Pierre de Rousard. Nel 1572 è al servizio di Alfonso II. Nel 1573, per gli estensi, scrive il dramma pastorale Aminta. Nel 1575 termina la prima stesura del poema noto col titolo di Gerusalemme liberata. È nominato storiografo ufficiale. Dal 1577 inizia un periodo di disordine mentale: si autodenuncia al tribunale dell’Inquisizione, entra in depressione. Fugge da Ferrara, va a Torino, Roma, Modena, Sorrento, Mantova, Venezia, Urbino. Poi ritorna a Ferrara. In occasione delle nozze del duca Alfonso II esplode di rabbia. Prima viene obbligato a risiedere al convento di San Francesco, poi è recluso come pazzo nell’ospedale di S. Anna. Riscrive totalmente la Gerusalemme, colto da scrupoli religiosi e artistici, chiamandola Gerusalemme conquistata che tuttavia riscuote scarso successo mentre continua a circolare e apprezzata la Gerusalemme liberata. Nel 1586, dopo sette anni, lascia S. Anna grazie a Vincenzo Gonzaga. Muore a Roma il 25 aprile del 1595 dopo ulteriore vita errabonda.
2.Le Rime.
In trent’anni scrisse più di 1700 liriche. Sono rime: amorose, encomiastiche, spirituali. Rime giovanili legate all’esperienza biografica: per Lucrezia Bendidio e Laura Peperara.
3.L’Aminta.
Aminta pastore timido innamorato di Silvia (una ninfa). Tirsi, un altro pastore, aiuta Aminta, ma invano. Aminta vuole suicidarsi gettandosi da una rupe quando sente la falsa notizia della morte di Silvia. Lei, commossa da Aminta si prende cura di lui e contraccambia il suo sentimento. La favola esalta l’età dell’oro. Tuttavia, la libertà dell’amore può trasformarsi in lussuria bestiale (il satiro che cerca di violentare Silvia). L’Aminta è una mescolanza di tragedia e commedia. È anche uno specchio della corte ferrarese. Tirsi pronuncia un elogio ad Alfonso II; Mopso mette in guardia sul fatto che la città e la corte sono luoghi in cui dominano il lusso, l’artificio, la maldicenza. Il mondo pastorale può essere sia la corte ferrarese che una alternativa alla città e alla corte stessa.