Michel de Montaigne, da lettore della Storia d’Italia, considerò Guicciardini il miglior storico dei suoi tempi. Il giudizio è confermato da: Traiano Boccalini (XVII secolo), Giambattista Vico e Ludovico Antonio Muratori (XVIII). Con l’Ottocento si assiste a una svalutazione dell’opera guicciardiana. Leopold von Ranke mise in dubbio l’autenticità di alcuni fatti narrati da Guicciardini e criticò la dispersione della materia all’interno dell’opera. A Ranke non poteva piacere lo scetticismo metodologico di Guicciardini.
Tra il 1857 e il 1867 furono pubblicate le sue Opere inedite. Francesco De Sanctis contestò nel saggio L’uomo del Guicciardini (1869) e nella Storia della letteratura italiana (1870-71) il tipo umano proposto nei Ricordi. Un uomo privo di slancio ideale, incline alla generale corruttela poiché non vi scorge rimedio.
Nel 1950 il volume di Vittorio De Caprariis (Francesco Guicciardini: dalla politica alla storia) riporta l’attenzione sulla “conversione alla storia” di Guicciardini, cioè sulla capacità che ebbe a rileggere la sua esperienza politica secondo l’ottica dello storico. Nel 1965 Felix Gilbert pubblica un libro che nel 1970 sarà tradotto in italiano col titolo Machiavelli e Guicciardini: pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento. Qui Guicciardini è considerato interprete analitico e critico dei fatti, iniziatore della storiografia moderna. La ricostruzione filologica dei testi ha permesso di apprezzare la cura messa nella elaborazione delle opere. Emanuella Scarano in La ragione e le cose (1980) delinea il percorso attraverso cui Guicciardini giunge alla consapevolezza che la ragione deve esercitarsi sulla realtà concreta delle cose rifuggendo da ogni astrazione e generalizzazione.