Essere e tempo – Martin Heidegger – L’Esserci e la coscienza.

Essere e tempo - Martin Heidegger
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di Sergio Mauri

(2a sez. II cap.) Qual è il problema cui ci troviamo innanzi ora? Trovare come per la comprensione dell’Esserci come un tutto, sia necessario far emergere un fenomeno che finora non è stato affrontato: la coscienza. Per arrivare a una certificazione interiore dell’Esserci è necessario che quest’ultimo prenda consapevolezza che al suo interno c’è qualcosa come la coscienza (Gewissen). La coscienza della quale Heidegger analizza la struttura non è intesa come anima con una valenza morale; ancora una volta per Heidegger anche questo termine ha un valore ontologico. Quindi, sarà fondamentale individuare in essa e di essa qualcosa come “la voce”. Ciò ci indica che la coscienza ha una collocazione all’interno di quel dasein e si manifesta attraverso una modalità espressiva che è quella della voce. Stimmen der Gewissen voce della coscienza. Questa voce che scaturisce dall’interiorità dell’Esserci non viene da altrove, non è guidata da un ente trascendente supremo non viene nemmeno da una sorta di “coscienza pubblica”. Come se la coscienza facendo derivare la propria voce da altrove non facesse altro che da cassa di risonanza che è totalmente interna all’Esserci stesso. La coscienza è irriferibile a qualsiasi esteriorità. È tuttavia necessario che l’Esserci si disponga verso la coscienza in una modalità detta decisione. Secondo cioè un atteggiamento definito decisione. La voce interiore possiede il carattere di una chiamata, di un appello. La coscienza, allora, ha una voce, la quale a sua volta si manifesta secondo la modalità di una chiamata. Abbiamo come una chiamata che scaturisce dall’Esserci stesso ed è diretta all’Esserci stesso. Non è un appello verso un’alterità, è un appello che scaturisce dall’interiorità dell’Esserci e ad esso ritorna. Ecco la questione della circolarità del percorso già richiamato. Dunque, abbiamo un chiamante, l’Esserci, che chiama attraverso l’appello; c’è un chiamato, ancora l’Esserci. Si dà, dunque, una costruzione paradossale per cui l’Esserci è il punto di partenza e di arrivo e nel percorso, in mezzo, c’è il ridestato. Tutto ciò si lascia comprendere fino in fondo se c’è da parte dell’Esserci una decisione. La decisione è un modo della apertura. Questa decisione è una sorta di spartiacque, senza l’attivazione della decisione, l’Esserci rimarrebbe sempre al di qua dell’autenticità, nella nebulosità, all’interno della quotidianità. L’Esserci nella quotidianità non decide, non è mai libero, autentico, perché è una sorta di proiezione di cui gli altri sono. Non è in condizione di decidere: l’anticipazione della morte non è esperita in modo irriflesso dall’Esserci; quest’ultimo si decide per il suo esser per la morte, comprendendosi nella sua totalità. Allora grazie alla decisione l’Esserci può attestare se stesso sulla base del fenomeno della coscienza. La decisione è allora un decidersi per il suo proprio Esserci che diventa un decidersi per il proprio esser libero. La voce della coscienza, dunque, è un segno dell’esser libero dell’Esserci. Quindi in tal modo sono create le premesse per cui l’Esserci riprenda il suo esser proprio della dispersione in cui si trovava nell’impersonale.

(Par. 54) La voce della coscienza assume una funzione, un valore ontologico. La voce della coscienza è una chiamata. La coscienza apre. Il fenomeno della coscienza deve essere ricondotto all’apertura dell’Esserci. Apertura costituita dalla situazione, dalla comprensione, dalla deiezione, dal discorso si manifesta qui nella forma della chiamata. Il chiamare dice Heidegger, è un modo del discorso. Il vuoto d’essere dell’Esserci si chiama colpa ed è caratterizzato ontologicamente, non moralmente. Essere in colpa è essere in debito.

(Par. 55) Viene tematizzata la dimensione della chiamata e viene esposto ciò che sinteticamente è indicato come la triade chiamante-chiamato-ridestato.

(Par. 56) Nella quotidianità la voce chiamante della coscienza è coperta dalla chiacchiera, rimanendo nascosta. C’è bisogno che il sé dell’Esserci si scuota. Come avviene questo appello? Per rafforzare la paradossalità della sua argomentazione, la chiamata non avviene attraverso forme verbali. La chiamata non necessita di comunicazione verbale, ma, nonostante ciò, non resta oscura e indeterminata. La coscienza non avviene attraverso forme verbali. La coscienza parla costantemente nel modo del tacere. La voce della coscienza, per Heidegger, è la voce silenziosa o silente. Quindi, la voce della coscienza è voce silente e il riflesso attivo di questo silenzio è un silenziamento dell’Esserci stesso. L’Esserci viene indotto al silenzio anche perché deve far prevalere l’ascolto che implica una modalità del tacere, come se l’ascolto fosse possibile solo nel silenzio. L’Esserci presta alla voce della coscienza un ascolto di una voce che tace, che non si esprime verbalmente, in silenzio di voce. Quindi, la voce dice qualcosa di non verbale all’Esserci, un qualcosa del proprio rapporto con l’essere. Quindi, scendendo in verticale, l’Esserci si scopre chiamato, chiamante e ridestato; quella voce ha una determinazione precisa. Al tempo stesso indica all’Esserci il problema – parallelo – dell’essere in quanto tale. L’Esserci, in questo modo, viene richiamato a sé stesso. La chiamata allora va compresa all’interno di quella struttura ontologica ed esistenziale che è la Cura. Nell’aver-Cura l’Esserci si rapporta agli altri, ma anche a sé stesso. Il prendersi–Cura delle cose e l’aver–Cura degli altri si curva qui in un aver-Cura di sé stesso. Nel porsi in ascolto della voce della coscienza, l’Esserci si pone in ascolto di sé stesso e presta attenzione (Cura) a sé stesso. Si legittima così la coscienza come la chiamata nel più ampio fenomeno della Cura.

(Pag. 57) Nell’orizzonte della quotidianità permane l’equivoco dell’Esserci verso sé stesso. Allora c’è bisogno di una rottura rispetto all’Esserci nella quotidianità, di un ritorno al sé che gli permette di abbandonare il “sì”. La chiamata non racconta storie, chiama tacitamente. Il chiamante trae fuori il chiamato da quel “si” ponendolo in una situazione di silenzio del poter-essere. La voce della coscienza produce spaesamento nell’Esserci che ha la funzione positiva di far tornare l’Esserci in sé stesso. Lo spaesamento è il modo fondamentale di essere nel mondo anche se è quotidianamente coperto. Lo spaesamento permette, come una sorta di “scossa”, all’Esserci, di riaversi, riprendersi. L’Esserci è al tempo stesso il chiamante e il chiamato; il chiamante è l’Esserci gettato che si angoscia per il suo poter-essere; il richiamato è questo Esserci stesso, richiamato a ciò che egli è alla piena proprietà di sé stesso, alla sua più propria libertà. L’Esserci è triplicemente coinvolto nella coscienza e nella voce della coscienza e nella chiamata che a questa voce si accompagna. La possibilità ontologico-esistenziale della chiamata e, quindi la triplice determinazione dell’Esserci trova nell’orizzonte della Cura la possibilità di manifestarsi, esprimersi come tale.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022.
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