Essere e tempo – Martin Heidegger – La determinazione esistenziale del problema della morte.

Essere e tempo - Martin Heidegger
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di Sergio Mauri

(Par. 47) La determinazione esistenziale del problema della morte che è essenziale per capire come l’Esserci si può determinare. L’Esserci si rapporta alla morte nella modalità dell’impersonalità costituita dal “si”. Come si pensa o si dice, si muore. Da questo punto di vista l’Esserci fallisce la sua comprensione della morte. L’Esserci nella quotidianità è sostituibile. È indifferente un Esserci rispetto all’altro Esserci dovuto al fenomeno della quotidianità. Esso è sostituibile e porta con sé il fallimento. Nessuno, peraltro, può assumersi il morire di un altro. Ogni Esserci deve assumersi in proprio la morte. Se la morte dev’essere assunta in proprio essa è la mia morte. Essa è costituita dal carattere dell’esser sempre mio. Il morire non è comprensibile nella sfera della quotidianità. La fine, das Ende, dell’esistenza, riguarda il mio proprio Esserci. È una propria possibilità, non è qualcosa che viene dall’esterno all’Esserci, ma è intrinseca all’Esserci. Si ultimatizza con la morte. L’essere-per-la-morte appartiene costitutivamente all’Esserci stesso. Dobbiamo distinguere la morte da ogni altro modo di concepire la vita. L’Esserci è proteso verso il suo avvenire. È un avvenire che riguarda anche il punto di arrivo di quell’esistenza. L’Esserci in quanto esser possibile è ancora proteso verso il suo non-ancora. L’Esserci è proteso verso la morte.

La morte come essere alla fine; l’Esserci potrebbe essere assunto come una cosa, mentre l’Esserci è sempre anche alla sua fine. È un essere per la fine. La morte è un modo d’essere che l’Esserci assume fin dal suo inizio. È un modo d’essere autentico dell’Esserci. L’Esserci non decede come nella comprensione quotidiana, muore alla fine del suo essere possibile. La morte è il compimento dell’Esserci. Esserci per la fine, la morte è un’imminenza che incombe, cioè si determina in qualsiasi momento, si può determinare in qualsiasi momento. La morte è una possibilità d’essere che l’Esserci deve assumere su di sé. La morte è la possibilità del non poter più Esserci. La morte è la possibilità più propria dell’Esserci stesso, è la possibilità estrema, è un fenomeno insuperabile. La morte è la possibilità dell’impossibilità, per l’Esserci. La sua possibilità esistenziale è nel fatto che l’Esserci è fondamentalmente aperto. L’esser aperto e l’esser-davanti-a-sé, tutto ciò trova nell’essere-per-la-morte la sua realizzazione più conseguente.

L’esistenza dipende dall’autocomprensione della propria esistenza fino alla propria morte. La morte è qualcosa a cui l’Esserci tende e se la morte è l’ultima possibilità, è la morte a rappresentare la conferma che l’Esserci esista. Che la morte abbia una “causalità” sulla vita, al di là della provocazione è una motivazione fondata.

L’angoscia dinanzi alla morte è un’angoscia per il poter essere più proprio. Il davanti-a-che dell’angoscia è il poter-essere dell’Esserci, è il suo stare al mondo. Se l’angoscia ci getta davanti al nulla, noi non facciamo altro che ribadire la possibilità e l’impossibilità oltre la morte, in cui l’Esserci si annulla. Se l’Esserci si trova dinanzi a un nulla di enti, qui si trova di fronte a un nulla d’Esserci. L’angoscia mostra la fine dell’Esserci e il suo annullamento. L’Esserci per la fine, per la morte è progettato nel suo annullamento. Esistenza, effettività e deiezione e la morte si fondano in quanto parte della struttura dell’Esserci; la morte si fonda nella Cura poiché include esistenza, effettività e deiezione.

La morte è considerata un evento intramondano conosciuto da tutti. Il “sì” della quotidianità interpreta anche la morte. Si è certi che si morirà, ma non ne forniamo una determinazione esistenziale, ma solo quotidiana. Nel quotidiano abbiamo anche la commemorazione del defunto, in cui la centralità della morte nella vita è riconosciuta, tuttavia, ancora imprigionata nell’inautenticità. Si muore; prospettiva dell’impersonalità. Diffonde l’interpretazione che la morte riguardi tutti e nessuno; nel dominio dell’impersonalità, nessuno è sé stesso, ciascuno è gli altri. Il morire è livellato all’Esserci che di certo gli concerne, ma non concerne nessuno in proprio. Qui alla chiacchiera si accompagna l’equivoco, intorno al fenomeno della morte. Il morire che è mio, insostituibile, è confuso con un fatto di accadimento. La morte è intrasferibile, incommensurabile, insuperabile. Il “si” fonda e intensifica l’intenzione di eludere la morte.

È una trascuratezza rassicurante, è un dato certo, quello della morte, ma non determinabile. Generalizzazione, tranquillizzazione, rassicurazione, quindi. Abbiamo una chiacchiera, un equivoco e una prescrizione dinanzi alla morte. Non emerge invece l’angoscia. Pensare alla morte fa pensare a una debolezza nei confronti dell’Esserci. L’angoscia non è una psico-patologia, ma è un fenomeno ontologico fondamentale e positivo che ci porta davanti al nulla e al senso autentico della morte. Nell’angoscia l’Esserci è rimesso alla sua possibilità estrema, la morte. Nel “si” abbiamo paura della dimensione della morte; in quella autentica, invece, abbiamo l’angoscia per la morte.

L’essere per la fine nella quotidianità è un’elusione dal problema della morte. La quotidianità mostra un Esserci indaffarato nel prendersi Cura. L’Esserci trascura il soffermarsi davanti alla morte. Pensare la morte è costantemente rimandato “a più tardi”. La certezza della morte si accompagna alla indeterminatezza del suo “quando”. La morte come fine dell’Esserci è essere per la sua fine, essa è la possibilità più propria, incondizionata, certa, intrasferibile, indeterminata.

Il fenomeno della morte ha un rango superiore a tutti gli altri. Se la morte è una mancanza nell’Esserci e dell’Esserci, non potrà che essere quel “meno” che impedisce all’Esserci di essere un tutto. Ciò sul piano della quotidianità. L’essere-per-la-morte rende possibile l’Esserci come un tutto. La Cura è connessa con la morte perché è possibilità estrema dell’Esserci. Esistendo per la propria morte l’Esserci esiste finché non decede totalmente, premesso che l’Esserci muore costantemente, fino a che non arriverà il momento della ultima possibilità (il decesso, appunto).

Il suo essere-per-la-morte si è deciso. L’elusione quotidiana deiettiva è un essere-per-la-morte inautentico. È necessario assumere una decisione per pensare anticipatamente alla fine. Anticipare la morte per capire come essa sia la condizione insuperata dell’Esserci. Dobbiamo, nell’anticipazione, rendere questa possibilità sempre più grande. La morte si rivela come incommensurabilità e insuperabilità dell’esistere. L’anticipazione della morte è un atto di pensiero che scaturisce da una decisione in cui l’Esserci decide di essere sé stesso ponendo il suo fenomeno, soprattutto in senso anticipativo. L’anticipazione corrisponde all’essere-avanti-a-sé, ma anche a un portarsi avanti alla morte. Dare a quella possibilità una esistenza concreta. L’Esserci può così comprendersi autenticamente; l’anticipazione in quanto figura è utile a questa comprensione. L’Esserci-di-fronte-alla-morte si accorge che essa è la sua possibilità più propria, conseguente. Nell’anticipazione della morte l’Esserci si sottrae alla quotidianità, all’impersonalità. La morte è la possibilità più propria, certa, incondizionata, insuperata e indeterminata dell’Esserci.

Ritorna qui il fenomeno dell’angoscia che porta l’Esserci di fronte alla sua determinazione più eminente. L’Esserci si trova di fronte al nulla, all’annientamento. L’angoscia è tale per la nullità dell’Esserci e permette a quest’ultimo di essere un tutto. L’essere-per-la-morte è essenzialmente angoscia. La decisione determina nell’anticipazione della morte, il coraggio dell’angoscia. L’essere-per-la-morte dell’Esserci indica che la sua libertà si compie nella morte, è libertà-per-la-morte.

L’anticipazione della morte deve corrispondere a una attestazione della morte. La morte diventa un qualcosa per cui io mi decido. [Qui è concluso il I capitolo della II sezione]. Decisione che l’Esserci assume col proprio essere, la chiamata della coscienza.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022.
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