Essere e tempo – Martin Heidegger – La Cura come struttura fondamentale ontologica dell’Esserci.

Essere e tempo - Martin Heidegger
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di Sergio Mauri

Paragrafo 42. La Cura è la struttura ontologica fondamentale dell’Esserci. Al Paragrafo 42 Heidegger cita Seneca in un passaggio tuttavia ambiguo. Heidegger lo interpreta come segue: la Cura indica la doppia struttura, il doppio significato di una struttura. È qui ribadita ancora la necessità di intendere questa analitica in senso esclusivamente ontologico.

Heidegger qui pone l’accento sul non ancorarsi a un mero concetto della realtà. In queste proposizioni emerge un dato; c’è l’essere fin tanto che c’è un Esserci in grado di comprenderlo. Che l’essere c’è fintanto che c’è l’Esserci che lo comprende. L’essere non c’è se non c’è un ente, l’Esserci, in grado di comprenderlo. Il rapporto tra essere ed Esserci per quanto riguarda la comprensione è ontologico in quanto pone la questione dell’essere. O la pone in modo inautentico cercando di indagare l’essere come se fosse un ente.

Il concetto di verità; significa semplicemente svelamento, per Heidegger, nel modo greco, togliere qualcosa dal velamento, dal nascondimento. Non ha a che fare con un criterio logico-matematico. Quindi, aletheia, disvelamento, portare qualcosa alla luce. È un auto manifestarsi in relazione a un ente che la comprende portandola a manifestazione. Si perviene alla comprensione dell’essere man mano che si fa strada l’autocomprensione esistenziale. La verità dell’Esserci si fa largo con la auto comprensione. L’Esserci è nella verità in quanto sta nello svelamento. L’apertura dell’Esserci è sulla strada dello svelamento. Della verità fa parte l’apertura. L’Esserci è nella verità.

L’apertura è parte essenziale dell’essere dell’Esserci e si esplicita nel fenomeno della Cura. La gettatezza dell’Esserci è parte della costituzione ontologica dell’Esserci stesso. Abbiamo quindi il progetto che completa la costituzione ontologica dell’Esserci. Ne fa anche parte la deiezione. L’Esserci è smarrito nel suo mondo, smarrito nella quotidianità. Esso è fondamentalmente deiettivo, perciò è nella non-verità. Si caratterizza anche da chiusura e velamento, non solo apertura e svelamento. Solo in quanto aperto l’Esserci è anche chiuso. L’essere nella non-verità è possibile solo perché l’Esserci originariamente è nella verità. Il rapporto apertura-chiusura non è solo interrelazionale. Lo scoprimento, dice Heidegger, non è dato una volta per tutte, l’Esserci deve riappropriarsi anche di quanto è già stato portato nella verità, a difesa e protezione di ciò che è stato. Ciò vale sia per gli enti, sia per l’essere. Bisogna assicurarsi dello svelamento compiuto. La verità deve essere strappata all’ente. Ecco perché i Greci usavano la a privativa per indicare lo svelamento. La via dello scoprire è in quel krinein logon.

Verità, dunque, è apertura dell’Esserci che è al tempo stesso nella verità e nella non-verità, che non è tuttavia una contraddizione come potremmo definirla da un punto di vista logico. È un paradosso, ma non una contraddizione. Ed è l’apertura che permette all’Esserci di stare nella verità, ma anche nella non-verità. Sul piano in cui l’Esserci è nella verità e nella non-verità si passa, al fatto che c’è verità fintanto che l’Esserci è. Ogni verità che incontriamo è fondata sulla proposizione: c’è verità finché l’Esserci c’è. C’è essere solo in quanto la verità è. Essere e verità sono co-originarie. C’è essere solo in quanto la verità è. C’è essere soltanto e fintanto che c’è l’Esserci che lo comprende. Heidegger quindi si pone il problema, dopo essere uscito dal terreno dell’inautenticità, come può essere determinato integralmente nell’autenticità l’Esserci. Solo quando l’Esserci può comprendere la sua fine, può porsi nell’autenticità. Il Paragrafo 45 è riepilogativo e di passaggio in questa seconda sezione.

L’Esserci nell’inautenticità è frammentario; ora – dice Heidegger – proviamo a vederlo nella sua unità totale. Porre il problema dell’essere come poter-essere tutto. Di quel qualcosa che manca all’Esserci è la fine, das Ende, che è la morte, Tod. La fine come morte appartiene al poter-essere e determina la totalità del poter-essere. La fine è, per Heidegger, strettamente connessa a tutte le fasi dell’Esserci, ma anche costitutiva dell’Esserci. Se l’Esserci deve auto comprendersi come un tutto è bene che comprenda questo fenomeno fino in fondo e ne comprenda il rapporto costitutivo. L’ente Esserci è essere-per-la-morte, Sein-zum-Tode.

Ciò non significa che l’Esserci sia al servizio della morte; è per la morte nella misura in cui il suo esser possibile trova l’annullamento di ogni possibilità. La morte è l’ultima possibilità e la fine di ogni possibilità. La morte è il monogramma, la sigla, il marchio che designa il tutto dell’Esserci, la totalità dell’Esserci. L’essere alla fine con la morte può essere autenticamente inserito nel problema di essere un tutto.

Heidegger qui dimostra il suo obiettivo: dimostrare che l’essere è un tutto nell’obiettivo della morte. L’Esserci come un tutto riguarda anche la possibilità di comprendere l’essere e possiamo determinare fino a che punto l’essere sia temporalità.

Rapporto tra temporalità, autenticità e inautenticità: un essere nel tempo, costitutivo dell’Esserci, inautentico e autentico; quello inautentico riguarda l’Esserci e il tempo, allo stesso modo quello autentico riguarda (ancora) l’Esserci e il tempo. La temporalità è un modo inautentico di essere dell’Esserci. La temporalità dell’Esserci porta con sé il tempo. Il tempo è ciò che sta più prossimo al fenomeno dell’Esserci. Dalla inautenticità del tempo porta con sé l’inautenticità della quotidianità. Il tempo calcolato è inautentico, l’immediatezza temporale è tipica della quotidianità. Non sono più io a scandire il tempo, è il tempo a scandire me. C’è un tempo ordinario.

La chiamata della coscienza è quella dell’essere, permette all’Esserci di essere o meno nell’autenticità. La fine e la morte sono un dato temporale. Il tempo cronologico è inautentico, mentre in realtà il tempo è interiore, della “coscienza”, nell’istante nella comprensione dell’istante. È la differenza tra tempo calcolato e tempo interiore. Il tempo calcolato si dà nella quotidianità impersonale, in cui non ha coscienza di sé e della propria temporalità. Ma solo quando l’Esserci acquisisce la coscienza della temporalità, acquisisce il senso della morte. Si comprende così, il percorso di comprensione della temporalità .

Paragrafo 46. La questione della morte, quel carattere ontologico dell’Esserci che gli permette di comprendersi nella sua temporalità. La morte è inesperibile da un punto di vista esistentivo, ma su un piano ontologico ed esistenziale posso rapportarmi alla morte, come sua anticipazione. Tematizzare la fine a tal punto dal viverla come parte del mio Esserci. La temporalità dell’Esserci è determinata dalla morte, poiché con essa si rapporta sempre. Nel fenomeno della morte possiamo vedere l’atto della morte solo negli altri. L’Esserci da ciò può essere fuorviato, pensando che la morte non gli sia costitutiva. Se ne distanzia come qualcosa di ultimo, definitivo, ma la tengo lontana, poiché morte altrui. Ma per gli altri come per me la morte è costitutiva.

Per cui l’Esserci per tematizzarla, deve pensare la morte anticipatamente. Morire non è decedere, ma è la fine di ogni possibilità inerente all’Esserci.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022.
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