Perché partecipare alle elezioni è controproducente?

Paradosso di Condorcet
Il paradosso di Condorcet, elezioni politiche,

di Sergio Mauri

La politica ha segnato il suo passo. È un passo giunto alla conclusione di un percorso, lungo nel tempo cominciato nell’antica Grecia come partecipazione alla vita della polis. Come diceva Aristotele “chi non vive nella polis o è un Dio o è una bestia”. Tuttavia, l’uomo, essere sociale (zoon politikon), non è detto si possa associare per raggiungere il bene solo attraverso la politica e le sue forme che conosciamo oggi. Esistono varie modalità di organizzazione disponibili per gli esseri umani. Se è vero, come sostenuto da Aristotele, che la linea evolutiva è passata dalla famiglia, alla tribù e infine alla polis, allora alla crisi irreversibile della politica dovrà corrispondere un’ulteriore forma che non sarà più quella della polis. Quale sarà questa nuova forma? Non lo sappiamo ancora compiutamente, ma possiamo intuirne i tratti fondamentali, poiché sono già attivi i modi attraverso cui essa si esprime. I tratti fondamentali devono coinvolgere la responsabilità di ogni singolo umano, e per responsabilità possiamo anche intendere l’interesse che ogni singolo essere umano ha rispetto alla partecipazione alle cose che accadono nel consesso sociale di cui fa parte. Perciò, sarà prossima la fine di un percorso che vedrà il compiersi di una nuova forma di convivenza civile e sociale. La questione della responsabilità, variamente declinata sia dagli Antichi, passando per le religioni monoteiste per giungere fino alla modernità e alla post-modernità, sarà necessariamente il risultato di una rivoluzione lenta, ma inesorabile, operante da decenni nel modo di produzione attuale e quindi nei rapporti sociali conseguenti. È evidente che la questione della responsabilità è direttamente collegata al benessere di tutti, ed è quindi uno spreco di energie porre questa questione come fosse estranea all’intelletto, ai sentimenti e ai bisogni di ognuno di noi. È assolutamente perverso situare la responsabilità in contesti di potere statale o partitico laddove sarebbe condizione necessaria e sufficiente l’attuazione di quella responsabilità negli atti quotidiani del lavoro o nel tempo libero del singolo cittadino.

Un ulteriore mito da sfatare è certamente quello della stanza dei bottoni cui accedere per poter cambiare le cose. Se è vero che c’è un luogo dove le cose si possono fare meglio è anche vero che quei luoghi sono in grado di appropriarsi degli uomini che li frequentano, rendendoli sottomessi alla loro meccanica. Soprattutto oggi, in mancanza di adeguate esperienze etiche. Le stanze dei bottoni esistono, ma non sono tutte uguali e spesso competono fra di loro. La stanza dei bottoni di un’amministrazione comunale non può essere uguale a quella di un’amministrazione regionale o dello Stato. E lo si è ben visto proprio durante quest’anno di pandemia, in cui, nel silenzio generale, la Costituzione è stata stuprata e i poteri sono stati modificati in corso d’opera a seconda delle necessità. Inoltre, è anche vero che istituzioni quali l’esercito, le associazioni d’impresa, le confederazioni sindacali, le rappresentanze professionali, sono fonte di pressione verso l’articolazione dei poteri che a vario titolo rappresentano quelle famose stanze dei bottoni. Il riferirsi alle stanze dei bottoni sembra molto sovente a una scusa per accedere a porzioni di potere che significano anche reddito per costruire non solo il consenso attorno a sé, ma anche per esplicitare quella famosa natura (physis) che sta in tutte le cose e che Nietzsche chiamava “volontà di potenza”. Nel senso più puro e semplice, nonché impersonale e a-soggettivo, come l’intendeva Nietzsche.

Il richiamo all’autonomia del politico così come alla necessità di stare nelle stanze dei bottoni, oltre che passibile di cialtroneria è certamente segno di scarsa conoscenza dello stato in cui versano entrambi questi campi di intervento degli esseri umani. Il discorso dell’autonomia del politico, come si sa, vede ora lo stesso in profonda crisi a causa dell’esorbitante incremento delle capacità tecniche dell’uomo, che si autogovernano da sé in base alla loro forza per sé stessi e in relazione agli altri, senza interventi regolatori esterni, nel caso proposti e imposti dalla politica. Che questo sia un bene oppure un male non è ancora dato da sapere, ma potremmo dirlo a breve, vista l’accelerazione dei cambiamenti a cui stiamo andando incontro e di cui si accennava qualche paragrafo sopra. Per quanto invece concerne le stanze dei bottoni sappiamo solo che esse sono solo uno strumento per esercitare ruoli, poteri, realizzazione di richieste di specifici bisogni sociali e come tali vivono di una vita loro propria senza l’ausilio di interventi da parte della politica, né di giudizi etici da parte degli esseri umani. Rimane da verificare e mettere in pratica un indirizzamento di questo esercizio dei poteri in una direzione piuttosto che in un’altra, verso un maggiore possibile egualitarismo oppure verso un maggiore orizzonte oligarchico, oppure ancora in direzioni da valutare caso per caso, soggetto per soggetto.

Ci rimane da riflettere abbondantemente sul perché si voglia con così testarda perspicacia posizionare fuori da noi stessi e dai contesti in cui ci muoviamo non solo la fondamentale questione della responsabilità (individuale e collettiva) ma anche sul perché ci si ostini a dover trovare soddisfazione ai bisogni in quelle realtà che ormai hanno segnato il loro tempo e che dimostrano di essere assolutamente superate. Non solo se ognuno di noi lavorasse meglio e svolgesse meglio i propri compiti negli ambiti che gli sono propri, i miglioramenti sarebbero evidenti per tutti, e utili a tutti. Ma si sarebbe operato in una direzione di innovazione dei rapporti sociali non assolutamente scontata, anzi del tutto inedita. Il problema è culturale, di una cultura che vive separando e contrapponendo piuttosto che unendo e armonizzando, nell’ottica di un bene comune che non solo superi quello individuale, ma che ne sia il motore essenziale.

Votare significa dare forza a un sistema ormai sfatto oltre che degenerato, un sistema che non può darci nulla di più. È necessario invece andare oltre il sistema e le sue vetustà, delegittimare questa classe dirigente, non darle una ulteriore chance di gestire le nostre vite e provare a riprendercele.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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