Musica e società.

Pinacoteca_Brera,_Sagegreen_e_Polittico_di_Santa_Maria_delle_Grazie_di_Vincenzo_Foppa_(Sala_15)
Pinacoteca_Brera,_Sagegreen_e_Polittico_di_Santa_Maria_delle_Grazie_di_Vincenzo_Foppa_(Sala_15)

Musica e società.

Antiche, ma sempre rinnovantesi, concezioni esprimevano contrarietà verso un sistema in cui la “musica fosse serva dell’orazione”. Si pensava ad una sorta di superiore purezza della musica, “arte dei suoni”. Tutt’al più, secondo questa concezione, si poteva sopportare “un’orazione” imbrigliata negli schemi musicali allora (ma si sarebbe preferito in eterno) dominanti.

Di certo, da questa generosa incoronazione della musica vista come musa dominante, dobbiamo muovere per fare, invece, i conti con le parecchie convivenze (più o meno felici) fra “orazione” e musica: la Tragedia Greca, il Melodramma, l’Opera, via via fino ad arrivare al moderno fenomeno del rock ed all’onnicomprensivo pop, contenitore universale dei generi. Peraltro, in queste ultime forme citate abbiamo un salto di qualità rispetto alle precedenti, essendo il risultato della tecnica applicata all’industria capitalistica.

In tutte queste forme citate, parole e musica coesistevano anche (ma non esclusivamente, si pensi al Gregoriano) per costruire un linguaggio rappresentativo [una rappresentazione] della realtà. Le parole raccontavano secondo la sensibilità, la cultura e i costumi del tempo, una realtà, un’insieme di relazioni; strutturano il discorso che va a costruire la rappresentazione; la musica fornisce il secondo polo del discorso, oltre al già citato polo razionale ed ideologico, cioè il polo emotivo. La musica stimola i sentimenti liberati dalla sensibilità del pubblico e li veicola nella direzione, voluta dall’autore che una morale alla storia la vuole dare. Questo succede in parte anche nel mondo della musica contemporaneo a noi, con le sue mode in continua nascita e morte. Di certo, in un testo pop – a parte rare eccezioni – non c’è la forza etica e di argomentazione di un’opera verdiana, ma in linea di principio la musica (ripetitiva e semplificata) completa la storia (o l’argomentazione) del testo. È una sorta di sottofondo, di commento, ad esso.

Abbiamo, quindi, già delineato alcune cose importanti:

1-complessità di musica e testo prima dell’avvento del neo-capitalismo consumista;

2-sensibile semplificazione, del tutto, dal suo avvento in poi.

Per quanto concerne il passato, l’unione di parole (orazione) e musica non esaurisce il panorama musicale; esiste infatti una vivace produzione sinfonica, concertistica e da camera.

Perciò, lo sviluppo della produzione massificata porta ad una parcellizzazione riflessa anche del linguaggio musicale (isolamento di un facile inciso o di un breve tema e sua ostinata ripetizione).

Cioè, sintetizzando, la musica diventa modalità generale semplificata per facilitarne il consumo. Questa tendenza attiva diviene caratteristica universale. Oggi, in una nuova fase del neo-capitalismo, l’atomizzazione sociale compimento dell’esaurirsi della massificazione, predispone al soddisfacimento di bisogni i più diversi e di nicchia. L’omologazione dei comportamenti e delle caratteristiche sociali di chi li attua avviene, quindi, sulla necessità puntuale del consumo come categoria generale, non particolare. Di conseguenza si ripristinano tutti gli stili, tipi, linguaggi musicali del passato, sia colti che popolari o etnici perché la variegazione diversificante deve produrre profitto.

L’articolazione del collegamento dal neo-capitalismo (1^ fase) alla 2^ del neo-capitalismo del just-in-time è questa: rock-pop->semplificazione->consumo->società consumistica->crescita esponenziale degli stili->neo-capitalismo del just-in-time. Oltre a questa direttrice esplicativa ne cogliamo un’altra: tempi lenti->passato->musica classica ↔ tempi veloci->presente->rock/pop.

Ora sarà sicuramente più chiaro il fascio di nessi che collega la storia della musica a quella dello sviluppo capitalistico.

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