Diritto e scienza.

Cultura e diritto
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di Sergio Mauri

Parliamo quindi di aggancio fra diritto e scienza. Il calcolo è il mezzo attraverso cui raggiungere l’obiettivo. Compito degli scienziati non è l’indagare l’animo umano, ma attraverso metodi scientifici, quindi concretamente misurabili, raggiungere la pace sociale. Si stabilisce dunque un’ipotetica natura dell’essere umano, l’uomo è lupo agli altri uomini. Da qui discende la necessità di fondare lo stato civile che avrà la funzione di garantire la pace.

Hobbes, tuttavia, non è isolato, ma ben inserito in un contesto sociale. Per esempio, Leibniz e l’idea del calcolo entrano nella riflessione politica che si sostituisce al dialogo e alla disputa. La disputa porta sempre a una conclusione che può sempre essere rimessa in discussione. Il calcolo no. Hobbes deve offrire una definizione convenzionale di diritto. Prima della modernità il diritto prescindeva dalle attività umane e derivava da un ordine superiore. Bisogna ora trovare una definizione convenzionale di diritto che è per ogni suddito quell’insieme di norme che lo Stato gli ha ordinato di obbedire; diritto è ciò che viene comandato dallo Stato. Prima del comando dello Stato non vi è il giusto o l’ingiusto, il diritto o il torto; questi sono conseguenza del comando dello Stato. La nostra soggezione è verso lo Stato. La legge fonda il giusto, non è fondata sul giusto. C’è un rovesciamento di 180° del grado politico. Non c’è più la giustizia che regola l’operato umano, c’è l’operato umano che crea la giustizia. Possiamo quindi definire con precisione geometrica ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Lo scambio di opinioni soggettive si tramuta in una entità quantificabile. Da una nozione irrazionale può divenire oggetto di scienza. È una soluzione positiva alla presenza delle passioni umane, alle false opinioni del volgo. Dunque, è giusto ciò che viene stabilito dallo Stato.

Ci troviamo, tuttavia, di fronte alla costruzione di un potere di tipo assoluto. Certo, la condizione del suddito non è di sicuro felice, il sovrano sta sopra, il suddito sotto. È una condizione disagiata, dice Hobbes, ma essa è poca cosa rispetto agli orrori della guerra civile. È l’idea dello Stato come male necessario, che poi verrà ripresa e fatta propria dal pensiero liberale. Lo Stato è un male, ma avuto riguardo all’ipotesi antropologica assunta, ovvero quella dell’essere umano sregolato, lo Stato è una necessità. La costruzione si fonda sulla necessità di fondare un potere irresistibile.

Nello stato di natura pericola la stessa vita: a un certo punto gli esseri umani stipulano un patto tra di loro, ma com’è possibile che questa massa sregolata prenda di punto in bianco coscienza di sé? Com’è possibile che assuma un atteggiamento regolare? Si stipula un patto di soggezione, siamo soggetti a un terzo al quale conferiamo tutta la nostra forza. Diamo obbedienza. Tuttavia, essendoci un patto, ci deve essere una contropartita che è la sicurezza. Obbedienza in cambio di sicurezza. Questo soggetto che si eleva sopra tutti gli altri deve garantire il diritto naturale alla vita. Ecco la soluzione contrattualista.

La fondazione della sovranità non è conseguente a un colpo di mano, dunque, ma è frutto della volontà stessa dei consociati che stipulano volontariamente dei contratti. Quando una delle due parti contraenti viene meno ai suoi obblighi, le parti sono sciolte dall’obbligo contrattuale. Il sovrano ha l’obbligo di salvaguardare la vita del suddito, in caso contrario viene meno il vincolo di obbedienza. Se viene meno l’obbedienza del suddito, il sovrano non ha più l’obbligo di salvaguardare la vita del suddito. Nessuno può resistere con la spada al potere sovrano, dice Hobbes. Ogni forma di insubordinazione va repressa, non per motivi sociologici, ma perché c’è un contratto con le sue clausole contrattuali. Il sovrano ha diritto a reprimere, fino alla condanna capitale, ma a questo punto il vincolo fra i due si scioglie e il condannato ha il diritto di resistere perché sta venendo meno il suo diritto naturale alla vita.

Siamo davanti alla teorizzazione di un diritto di resistenza. Il diritto di resistenza nasce in ambito premoderno: quando l’ordine informativo di giustizia dell’attività umana, secondo noi, non è più applicato, allora possiamo resistere. La costruzione più grande in tal senso è quella di Tommaso d’Aquino. Il vertice per lui è occupato dalla legge eterna. Va da sé che l’essere umano essendo finito non coglie la lex aeterna. Tuttavia, siamo dotati di ragione e Dio ha rivelato una parte dell’ordine. La legge divina è quel tanto che l’essere umano con la sua finitezza riesce a cogliere. Si sforza di cogliere barlumi e parti della lex aeterna. Ma da qui discendono le varie opinioni del volgo. Di fronte a esse si hanno le Sacre Scritture. Si tratta di un diritto posto dalla divinità. È fonte positiva, poiché vuole rappresentare quella legge.  La fonte del diritto canonico sono le Sacre Scritture.

Lex aeterna –> legge divina –> legge naturale –> attività umana. Questo lo schema.

Tommaso d’Aquino da una parte dice noi dobbiamo resistere, dall’altra dice che dobbiamo valutare le conseguenze. A volte è più giusto pur di mantenere l’ordine sociale accondiscendere a un comando che stona con l’ordine sociale stesso. Non possiamo sconvolgere l’ordine sociale a ogni piè sospinto. La posizione di Tommaso è adottata nella seconda Scolastica ed è giustificativa dell’omicidio. Quando Lutero inchioda le sue tesi, allora quel diritto di resistenza trae spunto dall’aquinate. E non a caso parliamo di guerre di religione, cattolici contro protestanti e viceversa.

Il diritto di resistenza in tale prospettiva si giustifica nel voler ripristinare un ordine, consono all’ordine delle cose. In questo caso la resistenza è in ossequio alla volontà sovrana, a quella di Dio.

I diritti di resistenza della modernità non hanno nulla a che fare col ripristino di un ordine divino o naturale, ma scaturiscono dal riconoscimento dell’inadempienza della specifica contrattuale. Non si tratta dunque di giustizia. Potremmo allora usare un termine più neutro, legalità.

Sergio Mauri
Autore: Sergio Mauri, Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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