Traduco da Junge Welt.
Per quanto riguarda la politica estera degli Stati Uniti, gli ultimi otto giorni sono stati forse i più ricchi di eventi del mandato del presidente americano, che non è stato privo di decisioni drastiche e salti eccentrici.
- il presidente si è vantato di essere stato lui a porre fine al crescente conflitto armato tra India e Pakistan. Poi ha annunciato una specie di cessate il fuoco economico nell’aspra guerra tariffaria contro la Cina. Poi è seguito un viaggio in Medio Oriente durato diversi giorni, durante il quale sono stati stipulati accordi per miliardi di dollari, i rapporti con la Siria sono sconvolti e si avvicina un accordo nucleare con l’Iran. Soltanto l’incontro con il presidente russo a Istanbul, promesso nel frattempo, non si è concretizzato.
- Gli accordi firmati da Trump negli ultimi giorni con l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti “(EAU)” sono per certi aspetti senza precedenti. Ciò vale anche per l’accordo sulle armi con l’Arabia Saudita: le forniture di armi per un valore di 142 miliardi di dollari, su cui entrambe le parti hanno raggiunto un accordo provvisorio, rappresentano un record. In confronto, le forniture di armi per un valore di 42 miliardi di dollari al Qatar e i quasi miseri 1,4 miliardi di dollari agli Emirati Arabi Uniti impallidiscono. Ma ancora più importante nel lungo periodo è il fatto che Trump abbia aperto le porte all’esportazione di chip di intelligenza artificiale nella penisola arabica. In particolare, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti vogliono utilizzare la loro ricchezza energetica per gestire enormi centri di elaborazione dati per l’intelligenza artificiale. Oltre a sostenere le proprie aziende, come il gruppo high-tech emiratino “G42”, attraggono soprattutto aziende statunitensi, come “Microsoft”. Si prevede che la sola “Nvidia” consegnerà agli Emirati centinaia di migliaia di chip di intelligenza artificiale ogni anno. Se il piano avrà successo, gli “Stati del Golfo” diventeranno uno dei centri di intelligenza artificiale più importanti al mondo, da cui le aziende statunitensi potranno servire l’Europa e l’Africa.
- Il piano si basa su una premessa: che il conflitto principale con l’Iran verrà risolto in un modo o nell’altro. Perché nessuno costruisce data center da miliardi di dollari se deve aspettarsi che vengano distrutti da droni o missili durante la prossima escalation con l’Iran, o addirittura con gli “Ansarollah” yemeniti. Questa consapevolezza ha portato l’Arabia Saudita a cercare una riconciliazione con l’Iran dopo l’attacco di “Ansarollah” ai suoi impianti petroliferi nell’estate del 2019, con la Cina che l’ha assistita dalla fine del 2022. Nonostante tutti i disordini in Medio Oriente, l’Arabia Saudita ha finora mantenuto questa rotta, con successo, come ora sta diventando evidente: il presidente americano, con gli occhi puntati sui massicci investimenti statunitensi nella penisola arabica, sta spostando la sua attenzione su di essa. Ad aprile, il “New York Times” ha riferito che il governo degli Stati Uniti aveva vietato a Israele di lanciare un attacco contro gli impianti nucleari iraniani previsto per maggio. I colloqui che Trump ha tenuto nel Golfo negli ultimi giorni hanno ruotato ripetutamente attorno a un nuovo accordo nucleare con l’Iran. Di recente si è detto che un accordo era a portata di mano: l’Iran avrebbe consegnato il suo uranio altamente arricchito e in cambio tutte le sanzioni statunitensi sarebbero state revocate. Come è noto, Trump ha già concluso un patto di non aggressione con “Ansarollah”.
- Il patto era sorprendente soprattutto per un aspetto: si riferiva esclusivamente alla promessa di non attaccare in futuro le navi statunitensi. Non proibisce gli attacchi contro Israele e, anzi, “Ansarollah” continua ad attaccare obiettivi israeliani. Questa non è l’unica mossa che suscita il risentimento del governo di Gerusalemme nei confronti degli Stati Uniti d’America. Anche il veto contro gli attacchi agli impianti nucleari iraniani non le è piaciuto. E perché, quando il grande alleato si reca nella regione, non si presenta in Israele, ma promette miliardi di dollari in forniture di armi al Qatar, che i falchi attaccano perché vicino ad Hamas? La concessione principale di Trump al primo ministro Benjamin Netanyahu sembra dargli il via libera alla completa distruzione della Striscia di Gaza e alla deportazione di massa dei palestinesi; in ogni caso, durante la sua visita in Qatar giovedì, ha ribadito che Gaza dovrebbe diventare una “zona di libertà”. Tuttavia, il fatto che abbia incontrato contemporaneamente il nuovo leader islamista siriano “Ahmed Al-Sharaa” e abbia revocato le sanzioni statunitensi contro il paese ha scatenato reazioni di rabbia in Israele. Per l’Arabia Saudita, che ha organizzato l’incontro, si tratta di un passo importante: sta cercando di ricostruire la Siria sotto la sua influenza – in una cooperazione rivale con la Turchia – e di rafforzare così la sua posizione di potenza regionale. Il grande piano americano funzionerà? Vedremo. Come è noto, in Medio Oriente abbondano le contraddizioni; chissà se potranno essere ricoperti di dollari americani. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che gli Stati Uniti non hanno più la supremazia nella regione che avevano non molto tempo fa. Gli Emirati sono ora membri dei “BRICS”; l’Arabia Saudita è vicina a loro, anche se non ha ancora completato la sua possibile adesione, forse in vista delle sperate forniture di armi dagli Stati Uniti. Soprattutto negli ultimi anni l’influenza della Cina sulla penisola arabica è cresciuta notevolmente. Ad esempio, solo alla fine di aprile, l’Arabia Saudita ha concluso accordi da due miliardi di dollari con aziende cinesi. Questo dovrebbe essere interpretato anche come un gesto nei confronti di Pechino; si vuole continuare a mantenere buoni rapporti con la Cina nonostante tutti i suoi affari con gli americani, ha commentato il portale online Al Monitor: Riad ha ormai imparato che è meglio non diventare unilateralmente dipendente dagli USA.
- Ultimo, ma non meno importante, il presidente americano si è cacciato nei guai con la sua stessa classe capitalista durante il suo viaggio. È davvero intelligente trasformare la penisola arabica in un centro di intelligenza artificiale che un giorno potrebbe oscurare quello americano? Alcuni dicono di no, sta emergendo la resistenza. Il presidente americano non sta semplicemente accettando in cambio un jet da 400 milioni di dollari dal Qatar; negli ultimi mesi, i finanziatori dei paesi del Golfo hanno investito miliardi in aziende di proprietà del presidente o della sua famiglia, dai figli “Eric” e “Donald” al genero “Jared Kushner”. Nessun capitalista gradisce assistere a un arricchimento così unilaterale dei propri concorrenti.