Sindacati vietati nelle basi USA in Italia. Da sempre.

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Campania, dipendenti in corteo silenzioso: «Più trasparenza, stop agli abusi»
La Cgil è off limits. Il più grande sindacato del paese non ha accesso nelle tre basi Usa della regione. Con quattro ore di sciopero, da mezzogiorno a fine turno, i lavoratori italiani alle dirette dipendenze del governo statunitense hanno chiesto maggiori diritti all’interno delle basi U.s. Navy in Campania. Nessun presidio fuori i centri militari di Agnano, Capodichino e Gricignano D’Aversa, nessun cartellone fuori i cancelli che delimitano le aree militari e nemmeno capannelli isolati di discussione, solo un silenzioso defluire dei dipendenti che dopo oltre quattro anni hanno incrociato le braccia contro i disagi e le condizioni di lavoro cui sono costretti. Nel volantino che spiegava le ragioni di un’iniziativa, anche un po’ sofferta visto il clima di tensione all’interno delle basi, si parla di mancanza di trasparenza nei criteri di assunzione, di trasferte non retribuite, di precarie condizioni nei luoghi di lavoro. Ma è quest’ultimo punto che nasconde i motivi reali che hanno indotto allo sciopero proclamato da Cisl e Uil, gli unici sindacati presenti all’interno della U.s. Navy. La Cgil, infatti, dal dopoguerra ha le porte delle basi sbarrate e insieme con Cobas e Ugl non è riconosciuta come legittima organizzazione sindacale, in piena violazione delle leggi italiane e quindi completamente esclusa da qualsiasi confronto, anche se la presenza del primo sindacato nel nostro paese è stata richiesta a più riprese dagli stessi dipendenti. Le proteste di ieri in ogni caso riguardano principalmente il comportamento degli ufficiali statunitensi, che grazie all’extraterritorialità delle zone militari Usa e al fatto che le visite da parte dell’ispettorato al lavoro italiano sono saltuarie e inefficaci, controllano a proprio piacimento le sorti dei dipendenti, gestendo arbitrariamente assunzioni, spostamenti di personale, esternalizzazioni. Così l’astensione dal lavoro per quattro ore è stato un momento importante per esprimere il dissenso. Anche dopo le lettere di Cisl e Uil che alcune settimane fa hanno denunciato apertamente i criteri poco chiari usati dagli ufficiali statunitensi per le assunzioni di personale. A Gricignano D’Aversa – una piccola città militare con l’ospedale, i centri operativi, gli spacci per i soldati (dove gli italiani anche se alle dirette dipendenze di Washington non possono acquistare nulla), gli alloggi e le villette degli ufficiali – lo sciopero ha interessato la mensa, la manutenzione e gli uffici amministrativi. I lavoratori parlano di un’astensione del 60%, ma stime precise non si possono fare perché in questi casi le loro mansioni vengono svolte dagli stessi militari e quindi pur creando qualche disagio lo sciopero non è riuscito a bloccare i lavori nelle basi. Inoltre non hanno aderito i cosiddetti esternalizzati, i lavoratori cioè alle dipendenze delle imprese italiane che hanno in appalto le pulizie e alcuni settori dei trasporti e della ristorazione.

L’iniziativa però ha suscitato non pochi grattacapi all’amministrazione, visto che fino a questo momento, eccetto lo sciopero del 16 aprile del 2002 per l’articolo 18, di manifestazioni così non se ne vedevano appunto da anni. I lavoratori all’interno delle basi infatti sono intimoriti dal comportamento dei «supervisori» e dal fatto che chiunque tenti di rivendicare qualche diritto viene immediatamente emarginato e sottoposto a mobbing. Ma sembra che ora i lavoratori siano decisi a far valere le proprie ragioni e il 2 settembre hanno annunciato una nuova serrata, questa volta anche con un presidio a piazza municipio, davanti la sede del comune di Napoli, per tentare di portare a galla le proprie rivendicazioni, chiedere l’interessamento del governo e ottenere più tutele sindacali.

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