Voci d’oltreoceano: il Presidente nero, Emanuel Rahm e il “race factor”.

Barack Obama, Emanuel Rahm
Barack Obama, Emanuel Rahm

Ripubblico un mio vecchio pezzo di circa 6 anni fa su Obama ed Emanuel Rahm, una sorta di falco filo-israeliano, presente nel gabinetto obamiano. Il pezzo era rielaborato, tradotto e tratto da un post di Kuro5hin. Il Presidente nero, Emanuel Rahm e il “race factor” era il titolo del post di Kuro5hin. Egli si chiedeva il perché di tanta contradditoria, singolare accentuazione sul fatto che Barack fosse il primo Presidente nero della storia americana. Insomma, un richiamo, un’enfasi sul fattore “razziale”. In particolare, nota il convergere di molte dichiarazioni su questo tema:

[…] Il senatore McCain ha detto: “Questa è un’elezione storica, e io riconosco lo speciale significato che riveste per gli Afro Americani e il loro orgoglio questa sera”. Ciò ha un qualche senso [si chiede Kuro5hin, n.d.t.] ? Perché dei neri dovrebbero essere felici che un signore nero divenga il primo Presidente nero? Non significa forse per me, un uomo bianco, essere sconvolto perché il Presidente non è bianco?

Abukhalil di Angry Arab riporta informazioni su Emanuel Rahm, nel governo di Obama:

Al Congresso, Emanuel è stato una consistente voce a favore della linea dura pro-Israele, talvolta più che il Presidente Bush. Per esempio nel giugno 2003 firmò una lettera di critiche a Bush per non essere stato di sufficiente sostegno ad Israele.

Eravamo profondamente sgomenti nel sentire le vostre [di Bush, n.d.t.] critiche a Israele nel combattere le azioni terroristiche

scrisse Emanuel a Bush insieme ad altri 33 Democratici. La lettera diceva che la politica di Israele concernente l’assassinio di leaders politici Palestinesi

era giustificata in quanto applicazione del diritto di auto-difesa di Israele

(Pelosi sostiene gli attacchi di Israele ad Hamas, in San Francisco Chronicle, 14 giugno 2003)

Il problema è sempre quello: qui in Occidente ormai ci accontentiamo di qualsiasi baggianata e di qualsiasi vittoria in sedicesimo pur di non affrontare la nostra storia e le nostre responsabilità.

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