Pubblico ampi stralci della mia presentazione di Palermo, avvenuta il 18 febbraio ultimo scorso.
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Buonasera e grazie al Circolo Rosa Luxemburg per avermi dato l’opportunità di presentare questo mio lavoro e grazie a tutti coloro che sono venuti qui oggi alla presentazione del mio libro. Voglio salutare la vittoria di Syriza in Grecia come l’inizio di una lotta di lungo periodo che potrà, se da tutti noi sostenuta, portare alla modificazione dei rapporti sociali tra paesi del nord e del sud dell’Europa, per un possibile avvenire più giusto ed equo.
Mi presento brevemente. Vengo da una famiglia triestina nazionalmente mista, come tanti miei concittadini, con radici slovene, croate, italiane, ebraiche. Nella mia famiglia d’origine sia da parte di padre che di madre, il fascismo impattò senza pietà: uno zio combattè nell’esercito popolare di liberazione jugoslavo, a fianco di Tito e Kardelj, un altro finì coinvolto nell’organizzazione della resistenza in città. Arrestato e torturato dai nazifascisti, tentò il suicidio per non parlare, fu salvato grazie alla liberazione di Trieste, il 1° maggio 1945, da parte dell’esercito jugoslavo. Mio padre fu coinvolto in pieno dalla seconda guerra mondiale. Dopo la capitolazione dell’Italia fu deportato al campo di Reichenau, per aver disobbedito al lavoro coatto in Germania. Per me, come dire, è stato naturale conoscere, dal punto di vista delle classi popolari, la storia della mia città. Ho alle spalle studi artistici, ho fatto diversi lavori, principalmente nel settore musicale e in quello turistico.
È con altissima emozione che mi trovo a parlare qui, in terra siciliana, e nella sempre splendida città di Palermo, dove c’è sempre qualcosa di nuovo da conoscere e dove ci troviamo, questa sera, nel luogo intitolato alla grandissima rivoluzionaria tedesca di origini polacche: Rosa Luxemburg. Un’emozione, inoltre, legata ai nomi di quelle donne e quegli uomini, figli della Sicilia e parte del movimento dei lavoratori, che si batterono per i diritti sociali garantiti, per l’uguaglianza fra i sessi, e contro ogni tipo di razzismo ed emarginazione sociale. Parliamo di una terra che seppe esprimere non solo i tanto spesso citati Falcone e Borsellino, ma donne e compagne come Giuseppina e Annetta Turrisi Colonna, la controversa Elvira Banotti, Carla Lonzi, l’artista Carla Accardi, Marinella Fiume, uomini e compagni come Placido Rizzotto, Pio La Torre, l’indimenticabile ed indimenticato Peppino Impastato, Mario Mineo, Fausto Gullo, ma anche il fondamentale Danilo Dolci, siciliano di adozione. Danilo Dolci con la mia città ha un legame indissolubile grazie alla madre di origini slovene. Sežana, in Slovenia, cittadina natale di Danilo, è a soli 4 chilometri dalla nostra abitazione. E visto che questa sera si parla di partigiani, come non accennare al grande Pompeo Colajanni, il comandante Nicola Barbato?
Dopo questa premessa, veniamo al mio libro Partigiani a Trieste, i Gruppi di Azione Patriottica e Sergio Cermeli. Questa è la sesta presentazione pubblica del libro, tre ne sono state fatte a Trieste e due a Milano. È un libro che, ne sono convinto, non solo può avere un interesse storico per voi tutti, per conoscere le vicende del confine orientale d’Italia, e depurarle dalla sporcizia propagandistica della destra, ma credo sia anche un tema paradigmatico di ogni scontro di classe o nazionale, da leggere per comprendere i meccanismi con cui la classe dominante crea le contrapposizioni sociali ed il razzismo nella società. È un tema che collegheremo alla situazione contemporanea.
Razzismo come meccanismo operativo anche oggi, quando sentiamo parlare con odio degli immigrati, degli stranieri, di coloro che, con sprezzo vengono definiti “extracomunitari”, come a volerli estromettere da qualsiasi tipo di condivisione di valori e financo di civiltà. Ecco; il libro parte dagli ultimi anni dell’Impero austroungarico di cui Trieste fece parte per lungo tempo, 536 anni, e si svolge lungo gli anni dell’avvento del fascismo che a Trieste vede il dispiegarsi della peggiore violenza squadrista e del peggior razzismo antislavo. Quella stessa Italia unitaria che aveva espropriato e massacrato il meridione, riducendolo a colonia di un nord in cui la borghesia italiana, in stretta alleanza con i Savoia, aveva deciso lo sviluppo del capitalismo e i suoi costi umani, ora conquistava un’ulteriore colonia, nella parte orientale del proprio territorio, prospiciente il Veneto, nell’ex Impero austroungarico. Inglobandovi, tuttavia, mezzo milione di sloveni e croati, privati del diritto ad esprimersi nella propria lingua, trattati come esseri subumani, da civilizzare secondo i canoni nazionalisti e discriminatori dei nuovi padroni. Come non ricordare, allora, in questo contesto di violenza e sopraffazione, l’incendio del Narodni Dom in città e di tutti gli altri centri culturali minori sloveni al pari dell’attacco spietato alle organizzazioni operaie e contadine di ispirazione socialista prima e comunista poi? Questo per quanto concerne l’azione della classe dominante, ben rappresentata dalla fusione clerico-fascista del potere.
Ma come reagisce la classe subalterna? Intanto la classe subalterna è, al suo interno composita da un punto di vista nazionale, ma anche per cultura e visione del mondo. Abbiamo lavoratori italiani, sloveni e croati, ma anche di discendenza tedesca e ungherese; e abbiamo anche cattolici, atei, ortodossi, ebraici, di fede politica comunista, socialista e repubblicana, ma anche fascista. Una realtà, quindi, composita e complessa.
In questo contesto, nel quale si creano divisioni fittizie finanche all’interno delle famiglie triestine – mosaico di popoli e culture, costruttivamente impegnate nel crogiuolo asburgico – c’è chi raccoglie e riunisce, ridando fiducia in un futuro di uguaglianza e giustizia, i dubbiosi e gli impauriti. Uguaglianza e giustizia come pilastri di un’idea di socialismo in quanto riscatto che pervade i poveri e i diseredati al pari di tutti i lavoratori, e chi riannoda questi fili sono i comunisti.
I comunisti italiani e sloveni innanzitutto riescono, grazie alla fede che li caratterizza e li accomuna, a riunire a sé i componenti della classe lavoratrice a prescindere dalla nazionalità, dalla lingua e dalla religione, nel comune obiettivo della costruzione di una società migliore e più giusta, cioè socialista. È la realizzazione tangibile di un’idea di internazionalismo proletario che abbiamo oggi trasformato, grazie a preti e falsi rivoluzionari, in una sorta di pietismo moralistico imbelle a fare da contrappeso all’odio dei potenti e dei loro ruffiani nei confronti dei nostri fratelli e compagni subalterni.
Dobbiamo adesso passare ad affrontare e soprattutto collegare i problemi del passato alle questioni oggi in campo. Quindi affrontare l’islamofobia, la tendenza alla guerra mondiale (come in Ucraina, Libia, Siria…). e, Necessariamente, parlare delle nuove tendenze, anzi del nuovo corso nell’economia del 21° secolo: dobbiamo parlare di new normal e di secular stagnation. Sono concetti che non nascono per caso, ma servono a giustificare la mancata crescita occidentale, fenomeno di lunga durata e da inquadrare subito come questione strutturale inerente il capitalismo internazionale. […]
Ma vorrei avviarmi alla conclusione del mio intervento, parlando di noi comunisti, in questa fase storica seguita al fallimento dell’esperienza sovietica, ma dove, tuttavia, resistono esperienze non lontane dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni politiche ed in un momento in cui la Grecia sta rimettendo in discussione i rapporti di forza consolidati. Vorrei citare intanto Ezra Pound che, osservando l’essere del suo tempo: scaccia da te la vanità, sei un cane bastonato sotto la grandine, ma nel fare non c’è vanità. Il problema è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che ti fece esitare. Ecco, allora, cerchiamo di non risvegliarci un giorno, come da un incubo, senza aver provato veramente a cambiare il mondo. E allora, continuo col dire che noi non possiamo promettere il falso. Promettere il falso significa dire oggi che il sistema nel quale viviamo, quello capitalistico, è in grado di risanare nel migliore dei modi tutte le proprie contraddizioni, che nel breve volgere del tempo tutti vivremo in pace e ricchezza, felici e contenti. Noi non possiamo sostenere questo, perché sappiamo che è falso: il capitalismo è sinonimo di oppressione, sfruttamento, guerra. Sappiamo che, come già detto, la competizione fra capitali è spietata, ed è spietata la guerra del capitale contro il lavoro. Sappiamo inoltre che il capitale tende continuamente alla guerra imperialista per la conquista di nuovi spazi di influenza e sfruttamento. In tutto ciò non vi è spazio per un vero progresso del genere umano.
Se iniziamo bene col non promettere il falso, dobbiamo allora constatare una cosa molto importante: se la nostra cultura politica esiste ancora, ciò significa che deve esserci una sua potenza intrinseca. Altrimenti la nostra teoria politica non sarebbe arrivata fino ad oggi. Questo è un punto molto importante che dovete valutare con attenzione.
Un ulteriore passo che dobbiamo compiere è quello di capire che, se vogliamo che qualcosa perduri nel tempo, deve essere fatto lentamente, ciò che un tweet non può fare. Dobbiamo lavorare con pazienza e sistematicità a formare i giovani per affrontare il futuro complesso che ci sta davanti. Dobbiamo perciò tessere lentamente, ma con decisione, la nostra tela culturale, giorno per giorno.
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