Ma guarda! Putin nell’88 mentre finge di fare il turista.

Putin
Putin

di Sergio Mauri

Via: BoingBoing.net

Qualche mese dopo lo scatto di questa foto mi trovavo in Unione Sovietica. E a differenza di Putin facevo veramente il turista….o forse no? Comunque, dopo una capatina a Leningrado/San Pietroburgo, andai a Mosca. Mosca era la prima vera città internazionale, cosmopolita, turistica del mondo russo-sovietico. Contrariamente a Leningrado/San Pietroburgo era una città che poteva benissimo competere con qualsiasi capitale occidentale. Una città molto curata non solo nei quartieri del centro, ma anche nelle sterminate periferie. Servizi efficienti, trasporti da grande metropoli a prezzi accessibili a tutti. Dopotutto, era il biglietto da visita di quel mondo.

In generale i sovietici sembravano, ai nostri occhi di occidentali, tutti dei contadini o degli operai vestiti a festa, persone del popolo con indosso il vestito buono della domenica. I moscoviti sembravano essere delle persone tranquille, semplici, contrariamente alla puzza sotto il naso che distingueva gli italiani fine anni ’80 del secolo scorso, dove un coglione qualsiasi si ergeva a faro d’intelligenza senza saperne di un…benemerito cazzo!

La cosa, come ben sapete, non si è fermata agli anni Ottanta. I cazzari hanno continuato a girare indisturbati. Meglio: sono stati incentivati a girare. In ogni caso, sul fondo della foto c’è il mausoleo di Lenin e sulla destra, costeggiando il mausoleo, si arriva al Bolscioi. Ed è li che con un amico potei assistere, ad un prezzo irrisorio anche per un cittadino sovietico, ad uno splendido concerto. Fui colpito, essendo io anche un musicista, dalla perfezione di intonazione dell’orchestra, soprattutto dalla sezione degli archi che, notoriamente, sono strumenti difficili da suonare proprio per l’intrinseca difficoltà di intonazione.

Mi chiesi come fosse possibile una tale differenza in rapporto alle nostre orchestre ed in particolare con l’orchestra del Teatro Verdi di Trieste, la mia città. In certe serate, nel nostro teatro, dovevi tapparti le orecchie per evitare di udire lo sconcio che usciva da quegli strumenti. Era il tempo (ora concluso tra ceneri e scorregge) in cui si parlava quasi ogni giorno della superiorità del privato sul pubblico, ma la cosa non mi quadrava mentre ascoltavo i musicisti sovietici suonare in quella sera di inizio autunno. Proprio Ronald Reagan, il pupazzo gemello della Thatcher protagonista della foto insieme al futuro presidente della Russia, era uno di quei personaggi che propagandavano questa affermazione come fosse una verità assoluta alla quale stavamo cominciando a credere anche noi, così poco filo-americani e altrettanto poco amanti del mercato non-temperato.

Ci doveva essere per forza qualcosa di buono in quel sistema che io, in quegli anni criticavo aspramente e con una certa spocchia, e ci doveva essere la conferma della pessima fede dei propagandisti di verità assolute, cioè da parte dei maggiori rappresentanti della destra internazionale. E poi, avevamo notato anche altre cose che contrastavano col nostro modo di intendere la vita in quegli anni: come poteva essere che un semplice cittadino sovietico fosse così interessato al dialogo e alla conoscenza, da quanto avevo sperimentato in quei giorni, mentre in Italia la cosa era vista come un vezzo da intellettualoidi? Cosa aveva condotto il popolo italiano sulla strada dell’oblio culturale?

Erano gli anni in cui si stava preparando l’uscita dalla Prima Repubblica, in cui la Lega Nord stava guadagnando terreno nelle regioni del lavoro autonomo, in cui bolsi militanti comunisti credevano di farla franca. Di lì a poco il nostro mondo sarebbe esploso….in modo speculare e complementare al loro.

E osservando l’URSS dal suo interno ci ponevamo ulteriori domande:  come potevano coesistere, nel mondo sovietico l’amore per la cultura ed il confronto intellettuale e traffico di caviale, organizzati da giovani laureati moscoviti nei cessi degli alberghi? Come potevano coesistere erudizione e approcci puttaneschi a bordo dei convogli della metro? La sociologia si è già ampiamente sprecata a dare delle spiegazioni in merito, tuttavia io credo che le spiegazioni non rendano onore alla questione. Secondo me il problema non è solo sociale, ma eminentemente umano….troppo umano. Ogni latitudine possiede il proprio, unico, irripetibile scampolo di umanità.

A distanza di così tanti anni, e dopo i grandi cambiamenti incorsi nel loro e nel nostro mondo, come i colori vagamente sbiaditi della foto possono testimoniare, posso dire che certamente le fondamenta della nostra società, cioè il materialismo e il consumo di oggetti come fuga dal terrore della miseria materiale, abbiano giocato un ruolo determinante nella lotta (e conseguente vittoria) fra massimi sistemi. La forza del nostro sistema stava tutta lì: negli oggetti che promettevano la fuga (senza ritorno) dalla miseria, nell’egualitarismo delle mode e dei consumi. Nei dieci minuti di notorietà che diventavano eternità senza valore.

Al tempo stesso la cultura, la spiritualità, gli ideali venivano macellati e offerti alle masse sotto forma di nutrimento televisivo low-cost, preconfezionato, pre-masticato, pre-parato.

Putin lo sapeva….lo intuisco dalla foto. E si stava preparando al cambiamento.

Il Teatro Verdi di Trieste non ha mai risolto i suoi problemi di intonazione ed ha tagliato gran parte delle rappresentazioni musicali che vi si tenevano. Amen.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.
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