Il malsano rapporto degli italiani con le banche e la crescita che non ci sarà.

Crescita impossibile
Crescita impossibile

Negli ultimi 10 anni, soprattutto dopo gli ultimi due episodi di mala-finanza, mutui sub-prime nel 2008 e rientro dal debito contratto nell’area euro, nell’anno 2011 da parte dei paesi “maiali”, è facile parlare male del sistema finanziario, delle banche e così via. La reputazione di quelle istituzioni e di chi vi lavora è scesa a livelli che definire minimi sembra un eufemismo. Potremmo, tranquillamente, parlare di odio verso millantatori, ladri e ruffiani travestiti da impiegati o promotori finanziari.

Poco più di trent’anni fa iniziò il periodo che noi oggi chiamiamo “della finanza facile” o semplicemente della “finanziarizzazione dell’economia”. A quel tempo era possibile, investendo oculatamente i propri denari, comprarsi una abitazione, magari modesta, ma comunque un tetto sopra la testa. Possiamo parlare dell’origine della bolla immobiliare che oggi sta scoppiando anche da noi? La cosa singolare era che, i valori segnati sulla carta, la progressione di numeri che assicuravano rendimenti in grado di raddoppiare la propria consistenza nominale in 6/7 anni, erano riconosciuti da tutti come giusti e necessari per uscire dal sottosviluppo italiano. Era chiaro già allora, ai meno compromessi moralmente, che quella non era un’economia sana. Non si dava più peso al lavoro, ad aumentare il valore del proprio lavoro, ma si spostava l’attenzione sull’accrescimento del debito. Ovvero, quello che non riuscivi a fare guadagnando con la tua professione te lo dava la possibilità di contrarre dei debiti. Ma si sa: i debiti, prima o poi vanno pagati. Nello stesso periodo, detto per inciso, La Germania Federale, teneva i propri tassi d’interesse molto bassi e si indebitava poco. Le cifre dello spostamento dal monte salari ai profitti negli ultimi 20 anni fanno il resto: si parla di cifre iperboliche che ben rappresentano l’impoverimento generale per mantenere in piedi il sistema.

La classe dirigente italiana, storicamente divisa e scarsa di capitali, necessitava di una raccolta selvaggia degli stessi da impiegare per i propri investimenti sempre meno imperniati nella produzione di beni e servizi e sempre più incatenata nella rendita finanziaria, speculativa e parassitaria. C’era poi il problema fondamentale della lotta al comunismo che si doveva fare sul piano di un consenso estorto a forza di alti tassi di interesse con cui illudere la gente che il nostro sistema era una slot-machine. Il messaggio, in quegli anni, dopo l’ondata delle lotte operaie, era chiaro: ti regaliamo i soldi, non devi lavorare e comunque non ti devi nemmeno battere per ottenere miglioramenti economici. Di richieste politiche non ne devi avanzare, non ti servono.

Il meccanismo non era solo perverso, ma suicida. La stragrande maggioranza degli italiani cadde in pieno nella trappola con gioia ed incosciente felicità. Nel frattempo, gli alleati/padroni anglo-americani si guardavano bene dal muovere un dito presso il nostro governo (la paura concreta del comunismo era incontrollabile) e i tedeschi, olandesi, danesi, austriaci, investivano poco in finanza e molto in conoscenza e innovazione tecnologica (1). Il meccanismo per noi, pian piano, si è ingrippato: se non produci niente di veramente buono, se hai svenduto tutte le tue conoscenze in cambio di soldi, arriverà il momento in cui sarai obbligato a comprare sempre dagli altri con le contropartite che gli altri decidono di farti pagare. In questo senso c’è una somiglianza con la Gran Bretagna, fulcro della mentalità monetarista e finanziaria ma che, se non altro, ha un bacino commerciale e una possibilità di manovra finanziaria superiori ai nostri.

Siamo, dunque, giunti al punto che in queste condizioni, è impossibile anche solo immaginare un modo per crescere economicamente. E non certamente a causa del costo del lavoro. Inoltre, il tanto decantato manifatturiero più grande d’Europa che risiederebbe ancora nel nostro paese è un settore produttivo troppo esposto alla concorrenza dei paesi emergenti per poterlo piegare ad una strategia di crescita. I sintomi del declino ci sono tutti: diminuzione dei consumi privati e delle imprese, debito pubblico che non tira, investimenti in caduta libera. In queste condizioni è chiaro anche ad un bambino che non si va da nessuna parte. E non bastano le prediche del governo per sbloccare la situazione; non basta vendere buoni propositi o semplice fumo mentre non si è nemmeno in grado di riformare la pubblica amministrazione.

La parabola dell’Italia è uguale a quella del mio amico fidelizzato dalla BMW, 20 anni fa a 200.000 lire al mese, che ogni 3 anni cambia modello e ne prende uno superiore ed oggi, arrivato alla fine del percorso o acquista un camion o paga 120.000 euro uno sull’altro. Non c’è storia: in questo mondo i debiti si pagano, in un modo o nell’altro. E, in questo paese che non si è aggiornato (infrastrutture, nuove tecnologie), dove vai a pascolare con un camion: in uno dei nostri mirabili centri storici con stradine adatte ai muli?

I numeri parlano chiaro: anche con un ridimensionamento (nell’ordine del 30-50 %) non saremo in grado di ripartire e raggiungere i valori passati poiché l’Italia necessiterebbe di una tale rivoluzione culturale a tutti i livelli della società che possiamo già affermare che rimarremo la dove siamo. Anche grazie ad un terzo abbondante del paese governato dalla criminalità. E non sto parlando solo del Sud.

(1) Le scelte valide e responsabili attuate dalla classe dirigente tedesca sul piano della propria conservazione e della conservazione di un “sistema tedesco”, non deve tuttavia far passare in secondo piano i prezzi pagati da coloro che lavorano: restringimento del numero di persone che hanno un lavoro garantito e a tempo pieno a scapito di un allargamento del numero di coloro che sono inseriti nel mondo del lavoro con dei Midjobs (800 € mensili) o Minijobs (400 € mensili).

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