Essere e tempo – Martin Heidegger – La comprensione del tempo.

Essere e tempo - Martin Heidegger
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di Sergio Mauri

L’Esserci si pone il problema dell’essere in funzione della comprensione del tempo. Si mostra la necessità di una reinterpretazione del problema del tempo, un’interpretazione che non ha altra interpretazione se non la reinterpretazione del problema del tempo. L’operazione della distruzione dell’ontologia non può avvenire se non come reinterpretazione del tempo. È su questa base che si acquisisce una comprensione dell’essere. Prima di cogliere l’essere c’è la precomprensione, ma pure la necessità di comprendere il tempo. La comprensione del tempo è condizione necessaria perché vi sia comprensione dell’essere. L’essere va compreso rispetto alla contemporaneità dell’Esserci. Heidegger pensa a una critica del concetto di tempo come ha pensato a una critica al concetto di essere. Un essere nel tempo, estrapolato nella quotidianità. Nella trattazione ordinaria dell’ontologia il tempo non è trattato, in realtà, dice Heidegger: è stato trattato molto da Aristotele, Plotino e altri, che lo pensano come fondamentale alla comprensione del mondo. È come se l’ovvio, dice Heidegger, fosse diventato dominante in questo aspetto. Il tempo è incappato da sé stesso in una ovvia funzione ontologica. Questa coltre di ovvietà non riguarda solo la concezione ordinaria del tempo, ma anche quella delle interpretazioni scientifiche. Manca l’interpretazione ontologica. Quando si tratta di differenziarsi dalla tradizione, emerge il compito da assumersi verso il tempo. E se i modi dell’essere vanno colti nel tempo, allora questa comprensione deve essere esaustiva all’interno dell’Esserci. Il tempo è costitutivo dell’Esserci, ma dobbiamo capire come, in che termini e con quali limiti. Nell’Esserci ci deve essere l’individuazione di questo problema, partendo dalla quotidianità media in cui è inserito. Tutto ciò va nella direzione di una critica radicale del tempo, assieme a quella dell’essere. È, dunque, necessaria una storia della metafisica. Nel paragrafo 6 specifica come questa critica non implichi l’abbandono della storia e della tradizione, ma intenda recuperare quegli elementi originali che si sono sciolti in un mare di fraintendimenti sull’essere e sul tempo. Il termine distruzione deve essere preso con delle avvertenze.

L’Esserci ha una sua Zeitlichkeit, ma è un modo temporale di Esserci. L’Esserci è temporalmente storico. La temporalità viene prima della storia. La storicità è accadere, la traduce. L’Esserci è sempre come qualcosa che già era. Esserci è il suo passato, nella maniera del proprio essere che accade ogni volta che accade. Il senso della storicità dell’essere si trova in questa storicità dell’Esserci. Il passato dell’Esserci non segue, ma precede sempre l’Esserci. L’Esserci non si è autenticamente compreso, è dunque necessaria una analitica dell’Esserci. L’Esserci, dunque, è anche ricerca storiografica che, tuttavia, non è una linea autentica. Riassumendo: storiografia: discorso attorno ai fatti che la storia presenta. Storicità: evento generativo della storia in cui qualcosa accade.

Essere e tempo devono entrambi riferirsi all’Esserci. Si tratta di un’operazione fenomenologica che mira al problema dell’essere e del tempo. Anche la ricerca storiografica senza la storicità rimane oscura, inevasa. Solo con la comprensione dell’essere ogni disciplina può arrivare al proprio compimento. Non si può comprendere la storia se non si mette in chiaro l’essere dell’accadimento. L’Esserci afferra una possibilità che gli è insita anche nell’indagine del senso della propria esistenza. Il problema dell’essere ha anch’esso il carattere della storicità. Ciò non può non implicare una storia dell’ontologia, porsi in una prospettiva di una sua storia. L’essere si mostra e l’Esserci deve capire questa ostensione. Questa tradizione fatica a rendere visibile ciò che tramanda che, generalmente, viene nascosto. La tradizione fa dimenticare le fonti originarie, dice Heidegger. All’inizio c’è una rilucenza dell’essere. Poi, l’imposizione della tradizione ha sclerotizzato quel momento originario a causa di una dogmatizzazione che impedisce di cogliere l’originario. È necessaria quindi una critica della tradizione che crea nel suo consolidarsi, fa vedere l’originario come inutile. C’è un mascheramento degli interessi particolari che vengono falsamente spacciati per corrispondenze con l’originario. La tradizione produce una sorta di sradicamento. Questa proposizione funge da esempio di che cos’è la tradizione per Heidegger. L’Esserci con tutti i suoi interessi per le interpretazioni non riesce più a ricollegarsi al passato. A noi viene proposto tutto come un decadimento. Il passato ha un valore mistificato. Il problema del senso dell’essere non è stato formulato, non è stato risolto, è caduto nell’oblio. Lo è stato perché è stato tradizionalizzato. Le sue soluzioni, per Heidegger, non corrispondono a ciò che egli pensa intorno a ciò. Quindi è necessario che della storia si faccia una elaborazione critica. Per Heidegger è necessario che la questione venga posta per le sue ricadute contemporanee. Senza sbarazzarsi della tradizione. Heidegger vuole ripristinare la tradizione ripulendola da tutte le occlusioni del problema dell’essere. La tradizione va rifluidificata, va riacquisita e recuperata su di un piano totalmente differente. (p. 36) sulla fluidificazione della tradizione. Il compito di farlo è inteso come la distruzione del contenuto tradizionale dell’ontologia. E il problema dell’essere funge da strumento a questa distruzione. L’operazione distruttiva è al tempo stesso ricostruttiva. La base dell’ontologia va ricostruita su basi nuove. Da essa, la tradizione, traggo tutto ciò che può essere positivo. Questa distruzione non concerne il passato, ma si dirige contro l’oggi e contro il modo di condurre la storia della storiografia. La distruzione allora non vuole seppellire il passato, ma ha un intento positivo. C’è dunque una tendenza positiva nella distruzione, che serve da base. La distruzione si trova di fronte all’attuazione di una ricostruzione positiva.

La parusia (presenzialità) è elemento fondamentale della filosofia, confinata nella dimensione del presente. Ciò vuol dire che il problema dell’essere e del tempo vengono isolati e confinati nel presente, come se il passato fosse qualcosa di non problematico. La tradizione colloca al tempo stesso tutto il non problematico nel presente, come se solo nel presente possa essere compresa la storia e i problemi. Ma ciò impedisce di comprendere l’essenza della temporalità che consiste nell’essere davanti a sé. Il tempo ha funzione di generatività assoluta, quindi, il passato determina il presente. Il baricentro sta nell’avvenire, nell’aver da essere. La temporalità proiettata nel futuro, nell’avvenire, ci può far comprendere l’importanza dell’Esserci spostando il peso della propria auto interpretazione che è sul punto finale, la morte, e non su quello iniziale. L’essere, dal punto di vista della sua essenza più propria, è un essere per la morte. Per la critica al tempo e alle sue concezioni è necessario un metodo, quello fenomenologico. Ogni grande filosofia è grande in base al suo metodo, diceva Dilthey. Il metodo che parte da Platone diventa poi scientifico, basilare in Kant. Non serve per la conoscenza di Dio. Nei limiti dell’uomo, il metodo è fondamentale. Il metodo della fenomenologia fondamentale per Heidegger non è quello di Descartes. Non serve a organizzare la conoscenza. Esso è un indicatore di un sentiero da percorrere. Dobbiamo recuperare Husserl (andare alle cose stesse) per considerare il problema dell’ontologia nella sua fattualità, cioè alla cosa stessa chiamata essere, tempo, Esserci. Collocare il metodo fenomenologico sul piano ontologico. L’ontologia fondamentale va oltre le regionalizzazioni dell’essere, ma lo generalizza – l’essere – come la cosa stessa. Col problema conduttore della ricerca dell’essere siamo davanti a un problema generale, non regionale. La fenomenologia per Heidegger non è un punto di vista o una corrente consolidata, ma un metodo, il come della ricerca filosofica. (p. 42) Siamo lontani da ogni artificio tecnico, la fenomenologia ci manda “alle cose stesse”. Ciò è utile alla fluidificazione della tradizione, rimettendo in moto se stessa. La fenomenologia è un indicatore di strada (meta odos, strada, cammino), non un modo per organizzare le conoscenze. La fenomenologia serve a Heidegger per conseguire l’obiettivo della propria ricerca. Indica ciò che si manifesta da sé stesso. Dietro all’apparenza c’è sempre un fenomeno, il quale si manifesta nei sintomi. Il fenomeno è il modo con cui ricollegare tutte le manifestazioni dell’Esserci. Il fenomeno è un modo particolare di incontrare qualcosa. L’apparenza è un qualcosa di fondato nel fenomeno che rimanda al fenomeno stesso (p. 45). Il fenomeno è sempre conoscibile, non è il noumeno kantiano. Quando noumenizziamo il fenomeno esso è tuttavia comprensibile perché si manifesta da sé stesso. La fenomenologia diventa il concetto fondamentale di metodo per giungere all’ontologia. La fenomenologia è allora una possibilità di pensiero che si dà come pensiero dell’essere, cioè ontologia.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022.
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