Chi era Giovanni Palatucci?

Chi era Giovanni Palatucci?
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di Sergio Mauri

Ecco alcuni link su cui approfondire la questione che riguarda lo “Schindler italiano”, tale Giovanni Palatucci, vice questore a Fiume/Rijeka durante la Seconda guerra mondiale, poi deportato a Dachau.

  1. https://primolevicenter.org/palatucci/
  2. https://www.nytimes.com/2013/06/20/arts/an-italian-saint-in-the-making-or-a-collaborator-with-nazis.html?pagewanted=all&_r=0
  3. https://www.corriere.it/cultura/13_maggio_23/palatucci-pezzo-farkas_13ce2470-c3be-11e2-8072-09f5b2e9767e.shtml

Cui prodest la costruzione del mito dello “Schindler italiano? Certamente ad ambienti istituzionali italiani, al pari della martirologia foibologica che vogliono sminuire le responsabilità dell’Italia fascista nei confronti del collaborazionismo, dei misfatti nell’ex-Jugoslavia, delle deportazioni e olocausto ebraici e non solo, ma anche di politici, ovvero partigiani, eccetera. Di seguito uno scritto di Coslovich e Sirovich sulla vicenda Palatucci che inquadra a mio avviso molto bene la questione.

Palatucci fra realtà, dubbi e agiografia.

Con l’entrata in guerra, nel giugno del 1940, in Italia furono istituiti oltre 40 campi di internamento fascisti per gli ebrei maschi italiani di origine straniera dai 16 ai 60 anni. In Calabria, addirittura un campo di concentramento colle baracche ed il filo spinato. Le questure vi spedirono molti ebrei anche da Trieste e da Fiume; per esempio, il famoso pediatra Pincherle, la famiglia Nagler, un direttore delle distillerie Stock, l’ing. Mann, il padre dell’ex presidente della Comunità ebraica Nathan Wiesenfeld, e tanti altri.

A quel tempo, il Commissario Giovanni Palatucci (al nome del quale è stata nominata la via antistante la Risiera di S. Sabba) operava a Fiume come responsabile dell’ufficio stranieri, e a noi sembra che, per sostenere che egli contrastò la volontà del Regime bisognerebbe avere prove consistenti. Da Fiume, parecchi ebrei vennero spediti al campo di internamento fascista di Campagna, provincia di Salerno. E’ del tutto fortuito il fatto che Palatucci fosse nativo di quelle parti, vi avesse uno zio Vescovo e che quindi potesse fornire qualche appoggio e suggerimento a qualche internato ebreo colà destinato. Palatucci, del resto, era alle dipendenze del prefetto Temistocle Testa, uno dei più determinati e convinti antisemiti del Regime, che pochissimo spazio lasciava ai suoi funzionari in materia. Anzi, nel censimento degli ebrei dell’agosto del ’38, l’ufficio stranieri dovette eseguire indagini suppletive sulla Comunità fiumana, tanto che l’eroico segretario della Comunità ebraica Triestina Carlo Morpurgo affermò che: “…la Questura di Fiume era disumana…”.

Come si può sostenere senza solide prove che – oltretutto in questa difficilissima situazione – Palatucci salvò addirittura 5.000 ebrei, quando da tutta l’Italia ne furono deportati pochi di più?

Molte sono le alterazioni e le esagerazioni sulla sua figura, non ultima quella che lo dipinge come fermo nel proposito di rimanere al suo posto per continuare a salvare gli ebrei di Fiume. Chi ha visto le carte d’archivio sa che Palatucci tentò ben sei volte di andarsene da Fiume e per sei volte il prefetto Testa ne bloccò i tentativi definendolo: “profondo conoscitore pratiche ebrei” e quindi insostituibile.

E’ vero che Giovanni Palatucci soccorse e alleviò le sofferenze di diversi ebrei in transito per quelle disgraziate contrade. Gliene va dato merito e riconoscimento, ma le cause della sua deportazione (e poi morte) a Dachau rimangono tuttora incerte, e potrebbero non essere legate alla persecuzione antiebraica. Da un punto di vista storico, le procedure di riconoscimento di Palatucci in Israele come “Giusto fra le nazioni”, di assegnazione nel 1995 della medaglia d’oro al valor civile, e di beatificazione da parte della Chiesa non hanno portato riscontri che possano qualificare Palatucci come “un secondo Perlasca”.

Intendiamoci, è provato e risaputo che molti poliziotti italiani, molti privati cittadini ed esponenti del clero seppero resistere all’ondata di antisemitismo del ‘38-45, ma molti problemi restano aperti. Può per esempio essere completamente infondata la recente polemica che scuote la stampa europea a proposito dei bambini ebrei battezzati durante le persecuzioni e quindi non restituiti alle loro comunità di appartenenza dopo la guerra? Possiamo scordare che migliaia furono gli arresti di ebrei effettuati dalla Milizia fascista di Salò e anche dalla polizia italiana per propria esclusiva iniziativa?

A nostro modesto parere, la democrazia non ha bisogno né di condanne generalizzate né di esagerazioni e di miti, che offuscano la capacità critica nei confronti dei “momenti maledetti” del nostro comune passato. La storia e le tragiche vicende della Shoah vanno interrogate con cautela e sobrietà. La verità è sempre frastagliata.

Allargando ora la visuale al di là del caso Palatucci, talvolta capita perfino di scoprire che dietro il tal atto altruistico magari si nascondevano l’interesse o il calcolo. E’ vero che gli italiani erano e sono mediamente meno antisemiti di altre popolazioni europee, e che il fascismo e il suo nefando deragliamento non vanno identificati con l’Italia di allora, ma va rigettata ogni forma di esaltazione retorica e di maniera che generalizza e svilisce la valutazione storica e culturale. Se ci è concessa una citazione: beati quei paesi che non hanno bisogno di santi e di eroi.

Marco Coslovich Livio Sirovich

Trieste, 28/1/2005

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