Breve saggio sulla cultura e l’arte della Cina. [6]

TangGaozu
TangGaozu

I cinesi sono i primi a scoprire e ad adoperarsi nell’arte della ceramica. Precedono i loro concorrenti di 800 anni, scoprendo il segreto della porcellana pura nel periodo Tang. I pezzi fabbricati nell’era Song, per delicata raffinatezza, sono da considerarsi come i più perfetti mai fabbricati. Già sotto gli Han c’è un primo deciso sbocciare dell’arte ceramica, con vari tipi di vasi, gingilli, statuine da porre sulle tombe. Spesso il vasellame imitava il bronzo. Al contempo si sviluppa una modellistica architettonica molto varia, con padiglioni a più piani comprendenti addirittura gli abitanti o minuscole gabbiette, granai, porcili, fornelli o coppe da bere. Tutti oggetti da considerarsi utili per i defunti, all’altro mondo e che, al tempo stesso, caratterizzano la vita quotidiana dei vivi del tempo. I cinesi scoprirono lo smalto prima dell’avvento della dinastia Han. Tuttavia, è nel corso di questa dinastia che si resero padroni di questa tecnica. Questa età fu testimone d’una innovazione importante: l’apparizione d’una bella maiolica di terra argillo-silicea, detta maiolica di Yueh, perché quivi veniva fabbricata. Ve ne sono di due tipi principali, quella dei laboratori di Chin-yen (le Nove Rocce) nel Che-kiang, e quella più raffinata proveniente dal lago Shang-lin nella regione stessa di Yueh-chau. La maiolica di Yueh fu molto apprezzata fino a X° secolo circa.

Secondo alcuni l’invenzione della porcellana pura procede da perfezionamenti che sono stati portati nel tempo a questo tipo di maiolica e, parallelamente, dalla scoperta, a Kao-lin, di un’argilla che imbianca alla cottura e che è stata battezzata caolino.

È sicuro che le maioliche di Yueh furono precorritrici dei celadons che poi occuperanno un posto fondamentale nella ceramica cinese.

I cinesi erano avvezzi alla produzione di forme naturalistiche assai esplicite, tuttavia, è solo dalla dinastia Han che l’uomo apparve nell’arte. L’uomo nell’arte apre, allora, agli artisti e agli artigiani nuovi orizzonti. Diventano, perciò, necessarie le tecniche plastiche e, con l’arte buddhista, come nelle grotte sacre, la scultura conoscerà una fioritura senza precedenti.

Le grandiose e monumentali realizzazioni buddhiste non s’ispirano solo agli dèi e alle dee; vi figurano anche i preti e poi anche i fedeli come semplici credenti. Tuttavia, gradualmente, i ceramisti orientano il proprio sguardo ed interesse verso la quotidianità e la vita materiale. Nell’arte dell’epoca Han, la magia e il mistero ereditati dal passato cozzano con il materialismo di un’età nuova, che poi risulterà trionfante. È durante la dinastia Tang che viene raggiunto l’apogeo delle arti plastiche, e non solo, grazie all’effervescenza cosmopolita.

In questo periodo gli artisti si affrancano dal gioco dell’iconografia buddhista e, nella loro immobilità, le figurine che ornavano le sepolture dei grandi sono il riflesso fedele di tipi pittoreschi che si urtavano lungo le strade animate delle ricche città cinesi. In questo tipo di rappresentazione artistica si scorgono le influenze di altri paesi come la Persia sassanide. Quest’arte profondamente attraente esercitò in tutto l’Oriente un fascino decisivo che nazioni meno ricche e colte come il Giappone, ma di alte ambizioni, ricopiarono con avidità.

Caratteristiche dell’arte nel periodo Tang sono, il movimento, la plasticità e il colore. La poesia fu improntata ad una sensualità discreta che, in quanto tale, è forse la caratteristica dominante dell’arte di quel tempo che ignora la violenza della passione.

I pittori, tuttavia, non si limitarono al solo campo della fede, ma anche a temi profani. Durante l’era Han, nel periodo delle Sei Dinastie, il rotolo illustrato a soggetto non religioso, modalità espressiva per cui la Cina è famosa, ebbe uno sviluppo notevole.

Dopo il V° secolo, il teorico Xie He1 (Hsieh-ho) elaborò, ad uso dei pittori, un insieme di regole molto complesse2. Il suo primo dogma ingiungeva all’artista di mirare a esprimere il soffio stesso della vita e a dare un’impressione di movimento.

Sempre durante l’era Tang anche la pittura brillò in modo particolare. Nuovi temi finirono per ingrossare il repertorio pittorico. Racconti di fate, ritratti, illustrazioni di precetti morali, quadretti con descrizioni di lavori e divertimenti di grandi dame. Queste opere, tracciate a inchiostro e a colori su seta o su carta, manifestano un naturalismo categorico, animati dallo spirito di Xie Ho, dal quale traggono il loro dinamismo.

È ugualmente di quest’epoca un fondamentale contributo dell’arte cinese: il paesaggio allo stato puro. L’interesse per il paesaggio risale agli Han e agli sfondi delle pitture religiose, come gli affreschi di Tun-huang. All’inizio, dunque, il paesaggio fu trattato in maniera molto simile all’arte occidentale.

Un esempio di questo stile dai colori vivaci, è la pittura “Il viaggio dell’imperatore Ming Huang nello Szechwan”, attribuito al grande pittore arcaico Li Ssu-hsun (VII°-VIII° secolo). Tuttavia, può essere che ci troviamo di fronte ad una copia dell’XI° secolo. Gli elementi stilizzati e le decorazioni molto colorate saranno non solo riprese in seguito in quanto convenzioni, ma anche adottate dai giapponesi, abbagliati dalla civiltà cinese e intenzionati a rivaleggiare con essa. Queste elaborazioni saranno parte integrante dell’estetica nipponica. In seguito, tuttavia, i cinesi si allontaneranno da questo naturalismo colorato e giungeranno a considerarlo come “professionalismo” , accusandolo di moventi impuri. In fatto di paesaggio esiste, perciò, una seconda scuola altrettanto importante che sacrifica il colore e il naturalismo al lavoro d’inchiostro e di pennello e che proviene dall’arte calligrafica. I suoi seguaci colgono l’essenziale e insistono sul contorno, tengono in gran conto l’immaginazione, stimolano piuttosto che adulare, suggeriscono invece di raccontare.

Questa tradizione risale a un pittore anche’egli del periodo della dinastia Tang, di nome Wang Wei (699-759), lodato dalla critica posteriore per l’amore disinteressato e distaccato per le arti. Divenne modello dell’uomo completo poiché in sé racchiudeva il ruolo di funzionario letterato, poeta, musicista e pittore.

Alla caduta dei Tang, si aprì il breve periodo delle Cinque Dinastie, un’era pericolosa per i funzionari letterati che si rifugiarono nelle campagne. Questa situazione di esilio obbligato suscitò una visione nuova del paesaggio: maestosa, onnipotente e grandiosa.

Di questa visione Tung Yuan si fa interprete perfetto. In questa visione, l’uomo è insignificante, è una formica che arranca sulla roccia ed è totalmente disarmato di fronte alle forze colossali della natura. Questa visione umile persistette per qualche tempo, una volta tornate la pace e la calma. Tuttavia, a partire dalla seconda metà del regno dei Song, il lusso raffinato della corte cambiò l’atmosfera e l’uomo tornò a considerarsi al centro dell’universo.

In questo periodo i pittori godevano della protezione dell’imperatore e il paesaggio aggraziato e addomesticato, fu la tela di sfondo delle loro emozioni delicate e vagamente affettate.

La caduta dei Song e il susseguente giogo mongolo sulla Cina del periodo Yuan, eliminarono questa pittura idilliaca. Numerosi pittori, allora, ritornarono alla visione propria degli artisti sotto le Cinque Dinastie.

Tuttavia, altri come Ni Tsan (1301-1374) trovarono modi espressivi nuovi, stili originali, con lasciti fondamentali per le future generazioni. I maestri Yuan divennero gli idoli dei mandarini che, dalla dinastia Ming proclamarono, senza tregua, che la pittura doveva essere una specie di ritiro spirituale che permettesse loro di sfuggire ai compiti amministrativi che gli competevano e agli imperativi della vita sociale. Costoro nutrivano un notevole disprezzo verso i pittori professionisti dell’accademia imperiale, artisti il cui pennello era uno strumento di sussistenza. La reputazione di un artista era tanto più grande quanto più questi si sforzava di comunicare con la natura e di esplorare con rigore il mondo delle apparenze.

Rappresentante tipico di questi pittori non professionisti è Wang Hui (1632-1717), i wen-jien, la cui ambizione era quella di rivaleggiare con i maestri del passato. L’artista del 16° e 17° secolo mantiene viva la tradizione quando esprime equilibratamente la pace delle campagne, la seduzione delle valli e delle pianure.

Tipica pietra di paragone della pittura cinese è l’equilibrio tra antico e nuovo, tra emulazione e innovazione, tra tecnica trasmessa e l’esperienza creatrice. Esistettero, tuttavia, spiriti così temerari da liberarsi totalmente del passato, scelta per la quale pagarono un alto prezzo.

1Artista (circa 450-510 d. C. ) attivo a Nanchino durante la dinastia dei Ch’i meridionali.

2 Fu pittore e teorico d’arte, rimasto soprattutto celebre per una breve opera di trattatistica tramandataci nel Wang Shih Shu Hua Yüan ed in altre collezioni col titolo: Ku Hua P’in Lu, che può essere tradotto come: “Note sulla classificazione delle antiche pitture”. Sono enunciati in questo breve trattato i famosi liu fa o “sei principi”, cui doveva attenersi l’artista, ed in particolare il pittore, nella creazione di un’opera. Essi consistono all’incirca nelle seguenti formulazioni: animazione mediante consonanza spirituale – metodo strutturale nell’impiego del pennello – fedeltà al soggetto nella riproduzione delle forme – applicazione del colore in conformità col genere – appropriato piano e disegno nella (dis)posizione (dei singoli elementi) – trasmissione (dell’esperienza del passato) mediante le copie.

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