Ammirate l’opera di questo pittore sconosciuto per decenni, fuori da tutti i canali di mercato, scoperto da poco, e giudicatela in base al vostro personalissimo gusto. Poi, ditemi in tutta franchezza se, fra i pittori che invece all’interno dei meccanismi del mercato dell’arte ci sono sempre vissuti, non ci siano personaggi dello stesso livello, sia in negativo (se l’artista in questione non vi piacesse) che in positivo (se dovesse piacervi). Potremmo, quindi, per prima cosa affermare che l’arte esiste a prescindere da tutto e tutti. Esisteva, nell’espressione interpretativa di Pordenone Montanari anche prima di essere scoperta. A questo punto, però, dovremmo aggiungere una constatazione che è anche una distinzione: che mentre l’arte è invasa dal mercato in virtù delle esigenze di valorizzazione finanziaria del mercato stesso, esso non riesce ad inglobarla completamente anche se tende, virtualmente, ad appropriarsene pur scontrandosi con la sua irriducibilità. La questione si può riassumere nel fatto che l’arte è inconsumabile: ci si può appropiare di tutte le aziende che a livello planetario producono computer, ma non si riesce ad ingabbiare tutta la creatività umana. La parte di arte che è ingabbiata si chiama mercato dell’arte, quella restante è, semplicemente, arte.
Il mercato o mondo dell’arte (comprendente cioè tutti coloro che vi operano a qualsiasi titolo: critici, collezionisti, artisti, galleristi, mercanti, istituzioni museali) è oggi totalmente inglobato nei meccanismi economico-finanziari del capitalismo maturo che gli sono proprii. Questo deve essere detto a prescindere da qualsiasi questione di giudizio sui rapporti economici stessi: possono piacere o meno. Questo inglobamento, tuttavia, riguarda tutti gli ambiti dell’attività umana: tutto, nella ratio del sistema dominante, deve essere riportato nell’ambito del calcolo economico. Ne va dell’esistenza del sistema stesso.
Questo processo è diventato più evidente dal 2° dopoguerra, grazie alle tecnologie ed alle acquisizioni metodologiche sia nel campo dello sfruttamento del lavoro umano che della commercializzazione del prodotto di quel lavoro; colui che un secolo fa era un ottimo pittore con inclinazioni romantiche o esistenzialiste, oggi è un manager che vende il proprio prodotto a livello internazionale e diventa, magari, un caso planetario. Casi Montanari esclusi, ovviamente.

Visto, poi, che in giro per il mondo ci sono più capitali che artisti e visto che i conglomerati finanziari che operano sul mercato non filtrano coloro che si propongono come artisti se non in quanto possibili veicoli di profitto che si possono tranquillamente costruire con opportune campagne di marketing inneggianti la novità, abbiamo i risultati che abbiamo: molta e mediocre fotografia, cioè poca fotografia artistica, uso massiccio di tecnologia al posto della manualità, molto citazionismo, temi criptici perché ignoti allo stesso autore, temi concilianti perché mainstream.
Certamente non è tutto così, ma il problema rimane quello dell’ipertrofia del capitalismo finanziario che deve trovare gli strumenti e gli sbocchi neccessari ad affermarsi anche costruendoseli di sana pianta. Ipertrofia che si riflette anche sull’inflazione di artisti. Per questo sono da valorizzare, oltre agli artisti capaci e bene intenzionati, anche i collezionisti e i galleristi, ampliandone le possibilità di incontro e scambio di idee, affinché la loro consapevolezza e responsabilità crescano.
Da notare, inoltre, che c’è una relativa espansione del mercato dell’arte nei momenti di crisi economica come quello attuale, in quanto vi si può investire alternativamente ai soliti canali (Borsa ed affini) ed in sicurezza e casi di artisti sconosciuti improvvisamente scoperti fanno la felicità di critici e musei, nonché della stampa sempre in cerca di qualcosa con cui riempire la pagina.
Per il momento godiamoci l’opera di Montanari, ricordandoci che essa rimarrà ( come è rimasta) inconsumata anche per le future generazioni.
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