Arte e dominio.

Arte e dominio
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di Sergio Mauri.

Riprendo e perfeziono gli scritti che iniziai nel lontano gennaio 1989. A quel tempo iniziai a scrivere degli Appunti per una critica al concetto di arte e un Tentativo di capire la direzione da seguire nella produzione artistica. Al di là del tono pretenzioso di questi miei propositi, tono da ascriversi alla giovane (ed inesperta) età, come mi proponevo di raggiungere tale risultato? Fissai alcuni punti che ora riproporrò, a mio avviso importanti per inquadrare l’argomento.

1-L’arte storicamente. Più in particolare, attraverso lo studio di filosofi e storici dell’arte quali Gombrich, Hegel e Lukacs, l’arte come dominio ideologico di classe. Ovvero, scoprii questa presenza problematica del potere nella espressione umana, tale da indirizzarne in buona parte i risultati. Secondo la mia interpretazione di allora, non è vero che l’artista o sta con il potere o con chi lo subisce: sta solo con il potere sotto sfaccettature molteplici, perché essere con la classe dominante è l’unico modo di produrre arte ed è l’unica possibilità che ha la società, attraverso l’artista, di manifestarsi in senso ideologico, potendo, grazie a quel posizionamento avere i mezzi materiali per creare.

Su questo punto, visto attraverso il mio pensiero attuale, posso dire che si è fatta molta confusione e, perciò, mi sento di abiurare (in parte) a quelle conclusioni. Posso dire che quelle affermazioni contengono verità e non-verità al tempo stesso. Verità perché è evidente che noi conosciamo l’arte ufficiale solo attraverso i mezzi materiali della classe abbiente e ne siamo profondamente segnati, ma è altresì vero che questa distinzione non può essere così netta; vedere tutte le manifestazioni artistiche come inerenti la classe dominante significa portare delle lenti deformate dalla realtà: tutto sporco e corrotto…..quindi tutto pulito? Potremmo al massimo affermare che la classe dominante occidentale sia la battistrada dell’evoluzione economica e sociale mondiale, il punto di riferimento verso il quale orientarsi. E’ insostenibile affermare che in un paesaggio il pittore ci mette sempre il quietismo che nasconde le contraddizioni del mondo, come riflesso condizionato della tendenza della classe dominante a sopire le contraddizioni medesime. Un paesaggio si può dipingere anche solo per il piacere di farlo. In effetti è vero: un paesaggio è un paesaggio è un paesaggio. Tuttavia, è anche altro.

2-Esistono un’arte “ascendente” ed un’arte decadente? E se si, come inquadrarle con chiarezza e saperle distinguere? Legarle ai destini della classe dominante del momento non esaurisce le nostre domande, poiché tutte le forme artistiche (che organizzano, spesso impoverendoli o censurandoli, dei determinati bisogni espressivi) non sono solo e semplicemente cantrici dell’ideologia dominante. E l’espressività artistica critica non è una garanzia di differenza rispetto a forme d’arte agiografiche o lontane dalla libertà. Più specificamente, siamo sicuri che il teatro alla Dario Fo non sia, alla fine dei conti, conciliatore nei confronti del Potere? Ciò detto perché dobbiamo ricordarci che il Potere si cambia o si abbatte con la forza concreta di milioni di persone e non con un’opera d’arte!

E, infine, perché non ammettere la forza di una rappresentazione artistica “pessimistica” e quindi nel frainteso senso comune decadente, intesa come coscienza e volontà di combattere il mal di vivere, al punto da essere considerata una concezione creatrice, positiva, come una dimostrazione di forza e di vitalità?

3-Fare un’analisi comparata fra le varie scuole di pensiero sull’arte. E’ possibile che non ci sia comunicazione fra le concezioni di Schopenauer sull’arte e il punto di vista delle scuole marxiste? Dal mio punto di vista il richiamo della funzione nobilitante propria dell’arte, topos del pensiero schopenaueriano, ha una evidente validità anche oggi. Mentre ho sempre maggiori dubbi sull’uso politico della rappresentazione artistica, in una qualsiasi delle sue manifestazioni. Arte, libertà, espressività, sentimenti, sono strettamente collegati l’un l’altro ed hanno una strettissima parentela con la creatività, di cui possono essere, allo stesso tempo, prodotto e stimolo.

4-Un altro punto importante è: esiste e, se si, che cos’é l’arte di Tendenza? Sarebbe un’arte schierata; argomento già da altri, dove con questo tipo di rappresentazione dalla parte degli oppressi, si vorrebbe rappresentare una tendenza al superamento della presente società, inclusi i suoi orpelli ideologici. A questo proposito, pensavo che “non esiste un’arte di Tendenza se non nel senso di una mera rappresentazione (musicale, figurativa, letteraria) critica dell’attuale società da parte della classe antagonista”. La vera creatività, infatti, come già precedentemente accennato, è il cambiamento che si è in grado di causare e si vive sul piano individuale come parte di quello collettivo.

Ma, ribadisco, questa rappresentazione ha un valore puramente ideologico; è il prodotto di uno sforzo puramente intellettuale e, qualora non sia coadiuvato da un movimento reale nella società che lo faccia stare in piedi, altro non può fare se non stramazzare al suolo o implodere indecorosamente. Sotto questo aspetto l’arte di Tendenza è un controsenso; è un atto volontaristico, non si appoggia a null’altro che alla forza che la classe antagonista sta dimostrando in quel dato momento. Oggi, per fare un esempio, nessuna arte di Tendenza sarebbe praticabile ed infatti non esiste.

5-L’artista chi è? E’ un individuo sociale, un prodotto della formazione sociale storicamente determinata, con i suoi nessi, legami, interessi a essa collegati. E chi non è l’artista? Sicuramente non è un soggetto astratto e al di sopra delle parti, distaccato dalla realtà, eccetera. E’ un essere sociale, storicamente determinato. Sta all’intellettuale analizzarlo e capirne le sfaccettature ed il carattere reali.

6-Analisi comparata degli stili, dei filoni musicali inquadrati, necessariamente, in modo storico. La comparazione può risultare interessante in tutti i campi artistici.

7-L’arte attuale, nella società del monopolio e dell’oligopolio capitalistico. Distinzione fra il modo di produrre l’arte oggi, in quanto produzione massificata, che presuppone una enorme estensione dei beni superflui e delle capacità di consumarli. Ma, parimenti, analizzare le differenze tra l’artista contemporaneo (interprete o compositore, per quanto riguarda la musica) e quello del passato. Se attorno all’artista dell’800 c’era un’aria romantica, attorno all’artista di oggi che cosa c’è?

8-L’arte è anche un prodotto della divisione sociale del lavoro. E’, più chiaramente, il prodotto della scissione tra lavoro manuale ed intellettuale, nella misura in cui è o non è parte del processo produttivo industriale. Anche sotto questo aspetto è un prodotto storico.

Sempre sull’argomento e sul rapporto artista-società, già scrissi nell’89: “Nella nostra società anche l’artista diventa salariato del Capitale [la “scoperta” non è mia, ma di Marx che ebbe il coraggio di enunciarla]. Egli (l’artista) per mezzo delle sue opere ha una determinata collocazione sul mercato e, da questo fatto, viene ufficializzato come artista di un certo valore. La sua posizione sociale è, comunque, privilegiata, e lo è per due motivi:

a-Nella sua storia e genesi del “divenire artista”; perché studiare è, nella nostra società, un privilegio; inoltre, lo status di artista, viene per lo più tramandato di padre in figlio, in quelle famiglie dove – anche se non ci fossero artisti – c’è quella ricchezza di mezzi materiali per farli diventare tali; dove la fase del “primum vivere deinde philosophari” è ampiamente superata. L’artista proletario, invece, ha molti più problemi proprio perché privo di mezzi originari e zavorrato dal retaggio della sua classe;

b-Attraverso la condizione stessa di artista che gli permette di svolgere una mansione che, pur non rendendolo libero in assoluto, gli permette di elevarsi socio-economicamente al di sopra della massa dei lavoratori, avvicinandosi, per mentalità e sensibilità alle classi dominanti e colte, divenendo compartecipe dei loro destini. In questo modo, inoltre, la sua vita è scevra dalla lotta per il pane quotidiano, emancipandosi dalle catene della precarietà.

Da il Manifesto del 21/1/1989 traggo lo spunto per imbastire una risposta alla seguente domanda: quale rapporto si configura tra sistema del Capitale – critico – mercante d’arte? Cito dall’intervista al pittore Franco Mulas: “Non sono legato a nessuna delle cosche vincenti della critica. Insomma non trasgredisco nelle sedi delegate allo scopo, per capirci, nei musei d’arte moderna. […] delle tendenze che si accavallano freneticamente e che vengono rapidamente sostituite da sempre nuove tendenze, da quell’infernale macchina produttiva che é il sistema dell’arte. […] “

Quindi il sistema dell’arte è sussunto alla produzione capitalistica: una fabbrica, una catena di montaggio dell’arte. […] “(la critica, ndr.) Sostiene ed incoraggia, spesso inventa queste tendenze, ovviamente divisa in clan contrapposti. Su un punto sono tutti d’accordo: nell’ignorare ed occultare tutto ciò che non rientra nelle loro teorie preconcette. […] Quando l’artista è autonomo, impermeabile alle mode e lavora sui tempi lunghi, diventa un ostacolo ingombrante che si preferisce rimuovere o congelare in una quarantena che può avere una durata più o meno lunga rispetto e secondo le mode in corso. Il tandem vincente oggi è rappresentato dal critico manager mercante”.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e studioso di storia, filosofia e argomenti correlati. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Hammerle Editori nel 2014.
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