Francia e jihadismo.

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al Qaida

L’unità nazionale.

Immediatamente dopo le stragi parigine, i media francesi hanno, all’unisono e ad alta voce, tuonato a favore della sacra unità nazionale, e per la coalizione parlamentare di destra e sinistra insieme nel nome dell’unità nazionale stessa. Hollande non ha perso un secondo per dichiarare che ci sarebbe stata questa grande coalizione nazionale, piacesse o non piacesse.

Naturalmente l’unità nazionale è una cosa impossibile a realizzarsi. Una ricerca del 2013 ha riscontrato che il 74% dei francesi credono che l’Islam sia incompatibile con i valori francesi, e il 70% crede che ci sono troppi immigrati in Francia. A conferma di ciò, dozzine di attacchi anti-islamici, compresi quelli alle moschee, di cui alcuni mortali sono stati portati a segno. Le violenze non si sono fermate alla Francia. A Birmingham 8 locali commerciali di proprietà di musulmani sono stati attaccati da uomini armati di pistole e martelli.

E allora, chi è colui che vorrebbe marciare sotto le bandiere dell’unità nazionale? Il fascista Fronte Nazionale vuole esserci, assieme ad altre formazioni politiche. Anche loro si sentono Charlie, anche se il vecchio Jean Marie non lo è. Il FN fa riferimento al fatto che alle scorse elezioni era il primo partito al 25%. Hollande ha accuratamente evitato di metterlo da parte in modo da non rompere il fronte unico, tuttavia, un recente sondaggio ha verificato che i francesi vogliono che il FN sia incluso nel fronte. E coloro che non hanno marciato e non si sentono di essere Charlie?

Sappiamo che il governo ha forzato la mano nelle scuole, obbligando alunni ed insegnanti ad un minuto di silenzio. Sappiamo che il governo ha insistito affinché gli alunni dichiarassero di essere Charlie. Tuttavia in 70 istituti scolastici ci sono state delle resistenze puntualmente riportate alle autorità giudiziarie e di polizia. Molti musulmani interrogati su questi fatti hanno affermato di essere particolarmente risentiti per ciò che veniva loro richiesto. Dopotutto perché dovrebbero pagare un tributo ad una rivista che li ha così tanto disprezzati? Perché non parlare, allora, di doppio standard? Perché libertà di parola per alcuni e non per altri?

I media ed il governo convergono. L’editorialista politica di France2 Nathalie Saint-Cricq e il segretario francese all’educazione Najat Vallaud-Belkacem hanno dichiarato all’unisono che questi giovani musulmani devono essere curati con massima urgenza, mentre coloro che hanno asserito che non intendevano essere Charlie e che hanno posto delle domande intollerabili sul doppio standard, devono venire integrati. Le scuole, quindi, rappresentano la prima linea dell’operazione. Ma allora Althusser aveva qualche ragione nel considerare la scuola come l’apparato fondamentale del dominio ideologico-statale capitalista?

Come abbiamo già saputo, alcune persone sono già state arrestate per glorificazione del terrorismo. Questo succede perché la libertà di parola si tramuta in qualcos’altro.

La libertà di parola.

La libertà di parola, tutti siamo d’accordo, deve essere difesa. Ma appena cominciamo a prenderne coscienza sorgono alcune questioni. Ecco, ad esempio, il giorno dopo il massacro al CH, il Berliner Zeitung pubblicare un fumetto antisemita che poi viene rimosso. È stato un errore facile da compiere, viste le circostanze. Il giornale intendeva solamente pagare un tributo a CH e collocarsi per la libertà di parola. L’immagine in questione era una versione falsa di una vera copertina di CH. La vera copertina era quella intitolata Sharia Hebdo, configurata con un imam sotto forma di fumetto. Quella falsa raffigurava un rabbino e s’intitolava Shoah Hebdo. Ovviamente, lo Zeitung, terribilmente imbarazzato dalla gaffe, si è profuso in scuse di tutti i tipi. Tuttavia non si è scusato per aver ospitato fumetti islamofobici, appellandosi alla libertà di parola.

Non si tratta di una scelta a caso. Il diritto alla libertà di espressione, come tutti gli altri valori accarezzati dalla democrazia liberale, sono sempre relativi e condizionati. Questi valori sono significativi nelle situazioni in cui possono essere richiamati e protetti dall’autorità politica, dallo Stato: come tali, sono relativi e ci vengono proposti con condizioni ed obbligazioni. È un’ingenua fantasia quella di supporre che lo Stato, in una società capitalistica, possa fare ciò che vuole la gente o che il diritto alla libertà di parola possa essere realizzato in un senso assoluto: solo i monarchi assoluti hanno dei diritti assoluti!

Detto questo, è logico che l’enfasi data alla repressione ed alla permissività negli Stati razzializzati moderni e in special modo se concepita in un modo formalmente daltonico, sarebbero a loro volta razzializzati. E che l’invocazione della libertà di parola nei media mainstream avrebbe seguito la stessa logica.

Il popolare comico antisemita sempre pieno di risorse Dieudonné Mbala Mbala è divenuto un fenomeno di successo sullo sfruttamento e sull’evidenza di questa logica. Ultimamente, è stato alla marcia nazionale unitaria per i fatti dello CH e poi, per mezzo della dichiarazione su Facebook di essere Charlie Coulibaly e riferendosi allo jihadista che ha ucciso i civili ebrei nel supermarket kosher, è stato arrestato per glorificazione del terrorismo. È probabile che la sua difesa sarà quella che si trattava solo di satira, tuttavia si è trattato di un posizionamento spettacolare per Dieudonné che si è così costruito un enorme capitale politico con l’incorrere nella repressione, riuscendo, di conseguenza, ad inscenare una manfrina a base di vittimismo ed oppressione nei confronti dei musulmani, mentre offriva loro una sorta di compensazione attraverso la sua ribellione. Ha, inoltre, gratificato l’antisemitismo dei suoi sostenitori a cui ha ricordato che la comunità ebraica organizzata sta sopprimendo la libertà di parola. Con questi argomenti non c’è sorpresa alcuna nel vederlo marciare per l’unità nazionale, visto che l’unico ostacolo ad essa sarebbe il tribalismo ebraico.

In questo contesto le argomentazioni sulla libertà di parola diventano argomenti sull’esclusione ed il privilegio razziali. Su chi ha il privilegio di parlare e quindi di rappresentare la nazione e chi ne deve essere escluso. L’unità nazionale è impossibile. Gli islamofobi incolpano i musulmani. Gli antisemiti incolpano gli ebrei. L’esternalizzazione dell’antagonismo è il gesto politico reazionario per eccellenza. Ma è impossibile venirne a capo con la semplice esternalizzazione, poiché le cause alla radice dei massacri avvenuti sono interne alle nostre società.

Laicità

La Francia, naturalmente, è attenta alla laicità. In suo nome ha vietato di indossare abbigliamenti religiosi nelle scuole ed in particolare ha cercato di prevenire le ragazze dall’indossare l’hijab. Nel nome della laicità e dei diritti delle donne, ha vietato l’uso pubblico del burqa, spingendosi fino alle molestie, alle discriminazioni ed agli arresti e agli arresti domiciliari di fatto per molte donne che avrebbero infranto la legge semplicemente uscendo di casa. Si tratta, perciò, di uno strano tipo di laicità, in cui è coinvolto lo Stato che si arroga il diritto di intromettersi negli affari spirituali privati dei suoi cittadini. Ma allora, come per la libertà di parola, la separazione fra Stato e Chiesa è sempre relativa e condizionata ed in uno Stato di tipo razziale, la sua applicazione sarà sempre razzializzata.

Non è una coincidenza, forse, che la controversia sull’hijiab iniziò nel 1989 a 200 anni dalla rivoluzione ed in un decennio nel quale i fondamentalismi andavano rinnovandosi in concomitanza col crollo del Muro di Berlino. Gli anni ’80 del secolo scorso hanno visto la nascita di un nuovo tipo di imperialismo sotto la voce dell’assolutismo etnico del Christian Right e del Sionismo. Culturalmente, questo imperialismo si è andato a definire come antiarabo, ma anche contro l’Islam. Questo atteggiamento via via più deciso ha avuto ed ha l’effetto di forzare i musulmani presenti nei paesi imperialisti, all’interno di predefinite categorie identitarie, una tendenza che fu decisamente accresciuta dalla questione Rushdie.

Così la scoperta che alcune studentesse volevano indossare dell’abbigliamento che era una chiara manifestazione di affiliazione islamica, già vissuta come problematica, esplose in una terribile retorica repubblicana. E l’ascesa dell’islamofobia francese fu allora punteggiata non solo dalla guerra al terrore e dal grottesco revival antiautoritario “durante il quale impassibili e corrotti reazionari di vecchia data si riprendevano la scena come dei rocchettari sbiaditi che suonavano la solita inflazionata melodia”, ma anche dalla guerra dello Stato francese contro il GIA, esso stesso un prodotto del sovvertimento operato dalla Francia delle elezioni in Algeria, con il risultato di meravigliarsi per le bombe nel metrò di Parigi e la rivolta delle bainlieu del 2005, nella quale l’Islam diventò l’epicentro del panico morale nazionale.

Allora l’Islam venne a simbolizzare la minaccia alla sicurezza e ai valori della nazione ed ogni abito o stile che indicava l’affiliazione all’Islam diventò sinonimo di quelle minacce. In questa situazione la laicità diventò uno strumento antiinsurrezionale. La risposta al massacro ha ricomposto queste tendenze. Ad esempio, in questo articolo, tipico di quella ricomposizione e di una certa tendenza ci si chiede se l’Islam sarà mai compatibile con il liberalismo per poi concludere che mai, certe forme di Islam, saranno paragonabili con i valori occidentali. L’autore cita, a conferma di quanto sostiene, un sondaggio che ci dice che 1 su 6 musulmani francesi e 1 su 7 musulmani britannici, sono a favore delle tattiche e degli obiettivi dell’ISIS. A questo punto, tuttavia, ha anche senso riportare che questo sondaggio diffuso da organi di informazione russi, spinge i cittadini francesi e britannici in generale e non solo islamici a dire la loro, e dimostra che il sondaggio di The Week è un po’ troppo generico. Il Washington post, in effetti, ha osservato che la proporzione di coloro che hanno risposto e si sono dichiarati in favore dell’ISIS era molto più alta della percentuale di musulmani presenti in ognuna di quelle società. Perciò, anche se ogni musulmano si fosse pronunciato in favore dell’Isis, la maggioranza di coloro che hanno dato risposte di simpatia verso l’ISIS erano non-islamici. Questo dovrebbe suggerire, qualora l’accuratezza del sondaggio fosse confermata, una grossa disaffezione per il sistema politico europeo, più grande di quanto sinora immaginato. La laicità come strumento anti-insurrezionale, ancora una volta, offre un mezzo per rimuovere ed esternalizzare le disfunzionalità dell’Europa.

Infine, ha offerto uno strumento per rendere invisibile il razzismo. Il Primo Ministro Manuel Valls ha recentemente dichiarato che non userà il termine Islamofobia. Egli ha ripetuto gli argomenti di quegli intellettuali allineati con la guerra al terrore come Pascal Bruckner che ha detto che il termine fu usato per sopprimere le critiche degli islamisti. Invece il termine antisemitismo può essere usato per sopprimere le critiche ad Israele, ed è così, ma le uniche persone che intendono abbandonare questo termine sono antisemiti.

Il dispositivo che ha creato i jihadisti

La Francia è una repubblica imperialista di tipo daltonico. Non raccoglie informazioni sulla razza, o sulla religione o la nazionalità dei suoi cittadini. Non può, quindi, dire quanti dei suoi cittadini, siano musulmani o disoccupati o in prigione, uccisi dalla polizia o abbandonino la scuola. È compito degli accademici o delle organizzazioni sociali fare i compiti a casa.

Allora, in seguito a questi compiti a casa, possiamo scoprire che la disoccupazione giovanile nelle banlieu, dove vivono molti musulmani, è al 40%, quattro volte la media nazionale. Possiamo anche scoprire che c’è una discriminazione antiislamica nel mercato del lavoro. Possiamo scoprirvi anche che le ineguaglianze sociali nel sistema scolastico francese siano gravi ed in peggioramento progressivo. Possiamo, come ciliegina sulla torta, scoprire che il 65% dei detenuti francesi è musulmano. Questo dato statistico sale all’80% nell’ile-de-France che incorpora anche la capitale. Spesso le detenzioni sono per questioni inerenti l’assunzione di stupefacenti. Dunque, il sistema carcerario francese è un dispositivo più efficiente di quello americano nella razzializzazione della società. Il sistema carcerario è il luogo prediletto dove più chiaramente si organizza l’infrastruttura materiale dello Stato francese. È pure in corso un tentativo di porre freno alla brutalità di questo sistema nei confronti dei musulmani, come si può vedere in questo sito, la cui autrice è una donna che si è vista uccidere il fratello dalla polizia. È interessante da notare che, conseguentemente alla logica francese della libertà di espressione, il Primo Ministro Valls tentò di oscurare il sito definendolo come diffamatorio. Tuttavia e nonostante gli sforzi del governo francese, abbiamo i resoconti di Amnesty International che documentano la sistematica violenza razzista contro i musulmani francesi e gli immigrati: una violenza impunita.

Ma tutto questo, si può semplicemente definire come razzista? L’Islam, ricordiamolo, non è una razza o una nazionalità. Se adottiamo un punto di vista ristretto nel comprendere il razzismo come un qualcosa che si fonda su una concezione biologica della razza, allora faremo fatica ad identificare l’oggetto del nostro razzismo e dovremo contraddirci un sacco di volte nello spiegarlo. Ad esempio, facciamo una lista di genti contro cui il razzismo è stato esercitato: zingari, irlandesi, neri, africani, ebrei, arabi (iraniani inclusi, che arabi non sono) nigeriani, pachistani, italiani, indiani, cinesi, giapponesi, slavi, asiatici. Di tutti questi gruppi, quanti costituiscono, attraverso le tradizionali definizioni razziste, una “razza” in se stessa ? Gli ebrei si ritenevano appartenenti alla razza dei semiti piuttosto che autodefinirsi come una razza. Gli zingari sono membri della razza ariana. Tutti gli altri sono delle nazionalità o rappresentano delle regioni geografiche. Questo solo per capire la confusione che la definizione prettamente somatica non riesce né a cogliere né a sciogliere.

La realtà stà da un’altra parte e dopo il nostro esempio diventa ovvia: non è la razza a produrre il razzismo, è il razzismo a produrre la razza. Le razze sono una costruzione ed in particolare una costruzione sociale, che non viene costruita necessariamente sul colore della pelle. Ci sono concetti fondamentali, riportati dall’essenzialismo, che vanno oltre il corpo, i marcatori e la quantità di melanina presente nella pelle di ognuno.

Proviamo allora ad abbozzare il concetto di islamofobia in quanto razzismo:

1-l’islamofobia, al livello rappresentativo, coinvolge una serie di stereotipi agganciati ad un essenzialismo (culturale, piuttosto che concernente il corpo) 2-questi stereotipi sono collegati ad una gerarchia attributiva (in questo caso una gerarchia di culture in cui i musulmani sono giudicati culturalmente inferiori all’Occidente) 3-questa gerarchia attributiva viene collegata ad una serie di misure repressive speciali, emarginazioni, e sistemi di discriminazione negli impieghi e nell’istruzione, così come alla violenza imperialista 4-queste pratiche razzializzanti sono un mezzo fondamentale per organizzare l’egemonia di classe, strutturandone le combinazioni di consenso e coercizione.

In questo senso i musulmani stanno subendo un processo di razzializzazione, stanno diventando una razza. E questa razzializzazione ha chiaramente informato la risposta politica al massacro di CH. La narrativa ne era già incorporata prima che il massacro accadesse, cosicché appena esso ha guadagnato le prime pagine, le persone sapevano già che gli omicidi erano successi perchè l’Islam contiene in sé stesso il seme del male, in attesa di germogliare nelle teste dei devoti. Solo l’assimilazione, da attuare con una forza necessaria e plausibile, ci può aiutare. Possiamo, ad esempio, considerare questo resoconto giornalistico in cui i problemi di Amedy Coulibaly vengono riportati al suo essere un bambino senza disciplina a scuola, e come un costante problema disciplinare. Il fatto che egli fosse figlio di una famiglia di immigrati è menzionato esplicitamente, lasciando intendere le deduzioni conseguenti. L’ambasciatore francese negli Stati Uniti, sottolinea le implicazioni non dette: il problema è che i musulmani francesi non sono integrati. Più esplicitamente ancora, il corrispondente francese di Newsweek ha suggerito che l’ideologia della gioventù musulmana francese è quella dell’ISIS. Tuttavia, viene da chiedersi: se tutto ciò fosse vero, come mai non ci sono altri massacri?

Più ci occupiamo dei fratelli Kouachi, più ci appare ovvio come essi non fossero psicologicamente preparati ad essere dei jihadisti. Sembra, piuttosto, che fossero stati reclutati da un network globale non ben oliato. Se c’era un seme del male, questo non era nelle loro teste, ma nella società in cui vivevano. Risiedeva nella gerarchia razziale in cui entrambi erano cresciuti, come seconda generazione di franco-algerini. La coppia di fratelli prima frequentò la Moschea del quartiere Stalingrado nel 19° arrondisement, ventenni in concomitanza all’invasione dell’Iraq. Incontrarono Farid Benyettou, un predicatore salafita, e uno può immaginare cosa egli raccontasse loro. Gli avrà sicuramente detto che la società francese era rovinata dal dominio di uomini corrotti che governavano al di sopra di Dio. Gli avrà anche detto che l’Islam era globalmente sotto attacco da parte dell’America e degli ebrei, l’alleanza dei crociati-sionisti. Gli avrà certamente detto che, come musulmani, il loro dovere era di combattere per i loro fratelli e le loro sorelle. Gli avrà detto che i musulmani apostati e revisionisti stavano indebolendo la loro fede proprio nel momento dell’attacco violento e che, per difenderla, avrebbero dovuto uccidere necessariamente e logicamente apostati e revisionisti. Uno potrebbe dedurre che queste cose non erano loro state dette immediatamente, al primo incontro. Tuttavia, la vera domanda è: perché hanno deciso di ritornare ed approfondire il dialogo con il predicatore, fino alla decisione di convertirsi? Anche ad un occhio politicamente non allenato poteva già essere verosimile che l’Islam fosse sotto attacco globale. Dall’Iraq, passando per la Palestina e l’Afghanistan, fino alle banlieu di Parigi era sempre sembrato ci fosse uno stivale (fosse esso quello ebraico o quello del più potente impero della storia umana) schiacciato sul collo dei musulmani. Inoltre, la fase di panico morale dei francesi nei confronti dell’Islam sembrava confermare la diagnosi. E poteva benissimo sembrare, ai loro occhi, che la classe politica francese fosse corrotta e comprata, remota ed indifferente ai poveri, e che stava guidando l’offensiva globale contro l’Islam. E l’uccisione degli apostati? Difficile da immaginare, anche per un musulmano devoto, a meno che la cosa non sia vista come un conflitto avviato alla fine.

Insomma, quello che ha offerto Benyettou ai fratelli Kouachi è stato quello che tutti i jihadisti offrono ai loro potenziali sostenitori: la rinascita dell’Islam e la fine dell’oppressione, della subordinazione e dell’umiliazione. Paradossalmente, i Salafiti sono spesso in grado di operare molto meglio dello Stato nel campo dell’antidroga, offrendo a chi ne è coinvolto un’interessante alternativa: diventare degli agenti politici.

L’oscurantismo e la puerile teoria cospirazionista offerta dai Salafiti non avrebbe avuto alcuna opportunità di affermazione in quel 19° arrondissement parigino se solo una forza di sinistra avesse risposto seriamente alle questioni poste dall’oppressione razziale. Questo avrebbe implicato la comprensione che, quella della razza, è la modalità attraverso la quale i razzialmente oppressi fanno esperienza della loro condizione di classe. Avrebbe richiesto il mettere in prima linea, come asse di lotta implementato da argomenti sindacali e per il miglioramento delle condizioni di vita materiale, la costruzione di una organizzazione politica antirazzista in seno ai franco-musulmani, con un forte nucleo antinazionale, militante ed antistatuale. Qualcos’altro rispetto a SOS-razzismo. Ancora, la questione è che c’era uno spazio politico lasciato vuoto e che è stato riempito dai jihadisti e che la reazione religiosa è diventata l’unica maniera con cui i fratelli Kouachi ed i loro amici, per lo più poveri e disoccupati o impiegati in lavori sottopagati (Cherif Kouachi faceva il portapizze) o coinvolti nella piccola criminalità, hanno deciso di vendicare la propria oppressione. I Kouachi e compagnia hanno costruito, in maniera del tutto amatoriale, la prima scuola jihadista in Francia. Come chiunque altro, si informavano sui principali eventi, sui crimini di querra americani e su come usare un AK47, direttamente da internet. E quando partirono per combattere il jihad contro gli americani erano impauriti e parzialmente riluttanti.

È stato grazie alla struttura razzista della società francese che essi sono stati spinti al reclutamento per il jihad. È stato grazie al loro passaggio attraverso il duro e razzista sistema carcerario francese che si sono alleati e messi in contatto con Coulibaly. Ma è stato grazie alla guerra che sono diventati capaci di uccidere delle persone a bruciapelo. La guerra in Iraq ha creato molti elementi sociopatici fra i soldati americani, come sappiamo. Ma il massacro perpetrato dai Kouachi è stato giustificato sulla base di una moralità politica distintiva forgiata nel corso della guerra e propaganda islamista. Cherif Kouachi fu intervistato durante il massacro. Disse che parte del suo training fu fatto a base di educazione politica, e con i suoi compagni islamisti ha visto da vicino gli effetti della guerra americana in Iraq: un’ottima scuola per fargli perdere tutte le remore e farne un vero soldato. E non diciamo nulla su che cosa abbia imparato, direttamente e brutalmente, combattendo le truppe americane in Iraq. Alla domanda dei suoi intervistatori che volevano sapere se intendeva uccidere ancora in nome di Dio, egli rispose paragonando la propria moralità con quella dello Stato francese. Disse: noi possiamo uccidere le persone se queste insultano il Profeta, ma non uccidiamo donne e bambini. Al contrario alcune donne sono state uccise, ma è anche vero che ad una delle potenziali vittime fu detto che non sarebbe stata uccisa e fu invitata a leggere il Corano. Poi aggiunse “voi uccidete civili, donne e bambini, in Siria, Iraq e Afghanistan”. E su questo punto non ha mentito.

Allora, piuttosto che diffondere il panico intorno all’Islam e tassonomizzare il buono e il cattivo dei suoi principi morali e religiosi, sarebbe meglio porre la nostra attenzione sugli antagonismi e le ingiustizie immanenti le nostre società europee. Condizione di base per tentare di dare una soluzione ai problemi.

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