Su un pittore: Roberto Sardo.

Roberto Sardo
Roberto Sardo

Diffidate dei progetti e dei manifesti, delle dichiarazioni programmatiche e della retorica dei “principi immortali”. Diffidate parimenti di chi ve li enuncia con grande pompa.

Ecco il succo dell’approccio all’arte pittorica da parte dell’artista triestino Roberto Sardo, già frequentatore di Mariano Cerne, Oreste Dequel, Marcello Mascherini (scultori) e di Marino Sormani ed Edoardo Devetta (pittori). Non ci sono massimi sistemi da emulare o emendare, ammesso e non concesso che, in arte, essi vi siano. Né, tantomeno, massimi sistemi da difendere. Questa la lezione da tenere presente quando il pittore si trova davanti alla tela bianca, da riempire. Un progetto non esiste, sebbene esista un’ idea, una inclinazione a “risolvere” la questione e a vincere il confronto, un modo preferito nell’affrontare la vita col pennello in mano. La tela vuota, vero “horror vacui” del pittore, alla stessa stregua dello scrittore che il foglio bianco lo deve riempire di parole. Confrontarsi senza preconcetti con la tela; agire e poi trovare consegne critiche con le quali aggiustare il proprio tiro espressivo.

La parola d’ordine è: sperimentazione. L’obiettivo: esprimersi. Ciò non ammette luoghi comuni, tanto meno preconcetti. Quello che muove la sua pittura è l’esigenza della sperimentazione, la necessità della ricerca che non è solo verso il mondo esterno (nel senso che l’esigenza di esprimersi può essere rivolta al mondo fuori da sé) ma, come in tutti gli ambiti dell’espressività umana, rivolta verso la propria interiorità. Più precisamente, l’oggettivo diviene strumento di identificazione e scoperta dei limiti del soggettivo.

L’ambito di ricerca di Roberto Sardo si muove in 4 direzioni: forma, colore, segno, materia. Nella sua produzione pittorica si possono individuare 3 cicli: “cosmico”; “espressionista astratto geometrico” e “realismo espressionista”.

In termini generali, vi è ancora qualcosa più di un’ ombra di figurativo che non è stato ancora del tutto abbandonato. La ricerca sul colore è evidente poiché si intende catturare l’emotività di colui che guarda. Ma il colore non è – come in certo astrattismo americano – presenza assoluta, automanifesta e priva di attributi. La ricerca sulla materia appare come concreta manifestazione di creatività, come necessità di plasmare e ri-plasmare ciò che ci circonda al fine di (perchè no?) renderlo più a misura uomo. Altresì il segno tende alle geometrie basilari, archetipiche, fondative ma in un percorso inverso rispetto alla vulgata dominante: dal complesso al semplice. Esso può venir letto anche come scarto rispetto all’omogeneità.

Linee, curve, figurazioni geometriche, forme rappresentate non sono pre-determinate, non nascono da precise intenzioni pre-ordinate ma contengono e manifestano un certo livello di casualità. Il segno è la firma dell’artista, materializza la sua psiche, è una sorta di sismogramma delle sue pulsioni più profonde. Nello specifico, della ricerca di un equilibrio. Linee come parte di geometrie che intendono definire spazio e limiti di un’esperienza e di una sensibilità. Non si tratta, però, di un trionfo del caso, rispetto al quale Sardo è lontanissimo: il libero fluire dipende da fattori radicati nel soggetto.

Per comodità di analisi, ho individuato 3 cicli pittorici nella sua opera. Cominciamo da quello che ho battezzato il ciclo “cosmico”. Sono io a definirlo tale, per una sorta di convensione, anche se – in realtà – la definizione non è sovrapponibile in toto con le intenzioni dell’artista. E’ assolutamente una ricerca che coinvolge materia e colore, in una sospensione della forma che è ridotta al minimo essenziale, solo un accenno. Essa è il veicolo realizzativo della ricerca coloristico/materica. Forme risultanti dal semplice fondersi/annullarsi di un colore nell’altro, in una sorta di trasfigurazione/trasmutazione di emozioni. Le stesse che si provano quando si scopre una nuova via per capirsi o eprimersi e non semplicemente per comunicare. O nel caso si trovi una nuova verità senza che questa, per forza, abbia delle connotazioni filosofiche o sovrannaturali/teologiche.

Fondi neri o totalmente rossi sottintendono norme omogenee come i bordoni dei bassi continui della musica barocca. Bassi continui sui quali vanno ad innestarsi variazioni innovative talvolta inquietanti: colori primari netti e senza alcuna “sordina”, senza “edulcorante”. Tonalità ed armonizzazioni delle stesse a volte aspre, mai scontate, del tutto prive di convenzionalità. Un naturale distacco e distanziamento da ogni proposito conformista, abolizione di una qualsiasi pedissequità alle mode imperanti. La ricerca in questo ciclo è ad ampio spettro. La forma è sfocata, ridotta ad un accenno atavico e quindi implicito nell’esperienza, a richiamare l’immaginario collettivo che poi smuove singole corde in ognuno di noi. In questo ciclo intravedo, in disparte e senza protagonismi, la lezione impressionista.

Un punto è un punto; un cerchio un cerchio; una linea che curva lungo una superficie è tale per tutti noi. Ciò che cambia facendole prendere le distanze da presunte tautologie è – evidentemente – la loro dimensione, il posizionamento, il colore di essi che veicolano determinate preferenze e stati d’animo. Il ciclo “cosmico” che è tale per me e forse per qualche altro spettatore/fruitore è un richiamo al mistero che si cela in tutte le rappresentazioni della mente umana che non siano aderenti e pedisseque al più banale ed esplicito iper-realismo del “tutto alla luce del sole”, senza zone d’ombra dove ritrovarsi a fantasticare. Il richiamo esiste, batte alla nostra mente perchè chiede di essere svelato, pur rimanendo in fondo segreto. Un segreto differente per ognuno di noi e tanto più segreto quanto più personalizzato.

Anche qui, in questo specifico ciclo, come in tutta la pittura di Sardo, non deve essere scomodata alcuna sovrastruttura culturale o, peggio, ideologica, essendo queste presenti tutt’al più alla ragguardevole distanza della cernita mercantile dell’opera d’arte, operata non da artisti ma da commercianti dell’opera stessa. Alcuni hanno, in questo ciclo, voluto intravvedere, una tecnica da “action painting”. Credo che essa sia un accenno e non sia possibile ridurre tecnicamente la creazione di quei quadri ad un unico tipo di intervento. L’”action painting”, quando c’è è presente in senso lato, in certo qual modo a corollario del tutto.

Nella misura in cui c’è dell’”action painting” e della pittura informale in Sardo, essa è il materiale pittorico in sè – come istanza pre-razionale – come materia non ancora segno linguistico che intende farsi metafora attiva di un contenuto interiore che non potrà essere disposto secondo criteri logici e discorsivi che lo distruggerebbero.

I giudizi univoci sulle sue opere, a questo punto, partono da altri luoghi, da altre distanze. Gli stessi vanno contestualizzati. A conferma di quanto affermato non solo una estetica dell’arte pittorica è possibile ma pure una sua sociologia che la veda al centro di figure in relazione tra loro, come sono l’artista, il fruitore dell’opera d’arte e il critico. Ma tale momento viene dopo quello squisitamente creativo che potrebbe addirittura bastare a se stesso, senza ulteriori spinte all’allontanamento da esso in direzione di quella prepotente reificazione che è giocoforza processo di banalizzazione e corruzione.

Il secondo ciclo, che personalmente preferisco, è quello dell’espressionismo geometrico astratto. Lo preferisco poichè ritengo esso rappresenti la miglior sintesi possibile di tutta la ricerca di Sardo: materia, colore, forma e segno vi sono fusi in un unico, potente equilibrio. La ricerca si muove agile in tutti questi ambiti. Questo ciclo, nei suoi risultati, lascia libero l’osservatore di rappresentarsi il mondo, con limitati accenni strutturali da parte dell’artista. Insomma, un toccasana per quanto riguarda la fantasia e la parte irrazionale della nostra personalità che così viene stimolata a centrarsi attraverso la creatività che si integra al piano emozionale. Anche qui dobbiamo ricordare che le linee che compongono le figure geometriche o le stilizzazioni che dovrebbero ricordarci animali o altre forme di vita, in realtà continuano ad essere non-intenzionali nel pittore frutto di una casualità derivata dalla necessità della ricerca del “miglior risultato”.

In queste tele è altrettanto interessante l’irrompere di piccole, appena accennate tecniche di pittura informale che sono veicolate da cromaticità intense e densi colpi di pennello armonizzate al contesto.

Il terzo ciclo, invece, si pone lungo la tendenza di una riscoperta del realismo, attraverso una ri-appropriazione delle tematiche figurative. La rappresentazione dei muri della città, coi loro carichi di sporcizia, scritte polemiche, ridicole, a volte oltraggiose. Ecco che lo spunto creativo, a differenza dei 2 cicli precedenti, va ad avvalersi di un intervento esterno rimandando ad un mondo oggettuale e ad un apparato concettuale esterni allo spazio delimitato dalla cornice.

Si tratta di un percorso a mio avviso interessante. Un percorso che sta portando alla riscoperta della reale materialità del mondo che ci circonda. Riscoperta ampiamente velata d’ironia, senza però escludere – ad esempio – il ciclo precedente sul quale egli ritorna, in separata sede, considerandolo ancora non-esaurito.

Ottobre-dicembre 2008

 

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