Partigiani a Trieste. Recensione della storica Marta Ivašič.

Partigiani a Trieste
Partigiani a Trieste

»Partigiani a Trieste« – PREDSTAVITEV

Dober večer. Buona sera. Come ogni buon libro, questo libro va letto e va letto con attenzione. Perchè è sicuramente molto leggibile, scorrevole, ma poi ti chiede di soffermarti, di rileggere. Leggiamo per prima cosa alcuni passi. Per esempio da pagina 104 a pagina 106.

In questo libro troverete la storia di Sergio Cermeli. Giovane triestino, di San Luigi, il vecchio rione popolare di Trieste. Un figlio del popolo, come si dovrebbe dire anche oggi. Degli operai, degli oppressi. Era nato nel 1923. Ad avvicinarlo al movimento comunista fu il fratello maggiore Giordano, di tredici anni più vecchio di lui. Con impegno e sacrificio Sergio riuscì a proseguire gli studi. Si iscrive, nell’autunno del 1942, all’università di Padova, a matematica. Ma sta per entrare in clandestinità. Dopo l’8 settembre è tra i primi comandanti dei GAP di Trieste. Sei mesi dopo, il 2 o 3 marzo del 1944 muore, colpito dagli spari in centro città, sulla via del Bosco vicino al Mercato Coperto, da alcuni agenti del Commissariato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste o da un gruppo di militari tedeschi.

Sul 900 a Trieste, e in particolare sulla seconda guerra mondiale e sulla lotta di liberazione ci sono molti lavori, anche specialistici, promossi da singoli storici professionisti e istituti storici, lavori importanti che però spesso parlano più agli altri storici. Oppure si rivolgono ad un pubblico più vasto, come si dice, ma che affrontano temi e avvenimenti che hanno un’immediata eco pubblica, temi che fanno ascolto, si direbbe. Un’eco pubblica ben manipolata e diretta ad arte, come sappiamo. Con fini che, ovviamente, riguardano più il presente che lo studio del passato. Più le scelte di oggi che il rispetto verso il dolore del passato.

Continua infatti sul 900 la campagna politica e mediatica che riesce a imporre alcuni temi e anche una visione della storia tesa a deligittimare la Resistenza e in particolare la lotta partigiana. Deligittimazione che riguarda, non il passato, ma le scelte di oggi. Ed è per questo che la Resistenza e la lotta di liberazione vengono colpite. E anche chi vuole contrastare questa revisione e questo uso della storia, finisce per dover accettare il terreno predisposto e un modo di porre i termini delle questioni imposto. Dovremmo per esempio sapere di più sull’uso pubblico della storia che nei paesi dell’Europa Orientale veniva imposto prima del 1989 e su quanto viene imposto oggi.

Questo lavoro non si inserisce in nessuno di questi filoni soriografici e mediatici. In questo ne vedo uno dei valori. Questo lavoro muove infatti da un percorso e da una ricerca prima di tutto personale e umana, una ricerca offerta ai lettori, scaturita dalla volontà di presentare la figura di Sergio Cermeli, di cui l’autore ha sentito parlare dapprima in famiglia. Una storia che l’autore custodisce e porta con se da sempre, come è accaduto per molti delle nostre generazioni, e che sente da fortemente di volere, anzi, di dover far conoscere, per condividerla in uno spazio pubblico, uno spazio comune, collettivo. Un obbligo morale e di riconoscenza verso chi ha combattuto duramente e si è sacrificato. Una figura di un comunista proletario da proporre oggi. Come le figure di tanti altri suoi compagni. Ce lo dice con le giuste parole Claudio Sibelia, nella sua postfazione al libro. Una scelta, di inserire il suo contributo, che rende merito anche al libro stesso. Domani è l’8 marzo. Vorrei ricordare le tante combattenti: nel libro sono ricordate molte di loro, che operarono con Sergio Cermeli o che lo hanno conosciuto, vorrei ricordarne due: Alma Vivoda, caduta nel giugno del 1943, prima del crollo del fascismo, della quale dovremmo ricordare soprattutto le scelte politicamente lucide e umanamente profonde, e Laura Petracco, che morì poco dopo Sergio Cermeli, uccisa assieme ad latri 50 ostaggi prelevati nelle carceri del Coroneo, in via Ghega, il 23 aprile 1944. Sarebbe importante per i giovani di Trieste e in particolare per le giovani oggi conoscerne la storia. Cosa potrebbero significare per loro, mi chiedo. Quali figure di donne e di uomini del passato offriamo oggi ai giovani?

Sergio Mauri ci accompagna lungo due percorsi. Quello più personale e l’altro, un percorso storiografico, dove l’autore sente la necessità di ricostruire la storia dei GAP, il contesto della lotta al nazifascismo e della lotta di classe, fino a cercare le radici nella Trieste asburgica, borghese e proletaria, multietnica e dallo sviluppo tumultuoso dell’ultimo periodo asburgico, quello che va dal 1848 al 1914 o al1918. Una ricostruzione che mette in evidenza anche una questione che sembra di altri tempi: cos’è stato l’internazionalismo proletario? Come è andato costruendosi e decostruendosi a Trieste? Un discorso ormai passato o una prassi quotidiana da perseguire anche oggi? Esiste, parlando in termini che sembrano più attuali, una multiculturalità popolare e proletaria? A dover conoscere queste nostre storie, lo penso da molto tempo, sono anche i giovani senegalesi, i giovani bengalesi, i giovani dell’Europa Orientale che oggi incontriamo per le strade, sui luoghi di lavoro e alle manifestazioni. Oppure dovremmo farla arrivare ai giovani combattenti Curdi, palestinesi, ai zapatisti del Chiapas. Forse loro potrebbero trarne insegnamento e anche molti ammonimenti.

Quando la questione di classe si imbatte nella questione nazionale sembra avere molte difficoltà. Lo è stato per il movimento socialista e poi anche per il movimento comunista. Difficoltà al vero non minori di chi, partendo dai movimenti nazionali borghesi si è imbattuto nella questione di classe e nella questione operaia. Secondo me anche in questo libro, ci sono, su questo nodo, cose che restano sospese. Sappiamo poco, per esempio, su come vivessero le proprie origini slovene, in quegli anni così pesanti e al contempo decisivi, tanti dei suoi compagni di lotta, e lui stesso – quando io ora, in tempi che per la gran parte di noi oggi qui sono tempi ancora leggeri, ma forse altrettanto decisivi, faccio molta difficoltà già a pronunciare il loro cognome, che per me è sempre e solamente Čermelj. Anche la presenza del Fronte di liberazione sloveno e del PC di Slovenia rimane poco evidente nella sua articolazione. Mi chiedo, pes. se si conoscessero con Zora Perello e gli altri giovani comunisti del suo gruppo di Pino Tomažič (condannato a morte dal Tribunale Speciale al secondo processo di Trieste nel dicembre 1941 e uno tra i cinque fucilati di Opicina). Anche il ruolo di Anton Šibelja nel suo percorso dal PCd’I al Movimento di liberazione sloveno e jugoslavo è messo poco in evidenza – come il passaggio dai primi gruppi partigiani all’Esercito di Liberazione – con i battaglioni, le brigate, le divisioni, i Corpus. Cambiamenti storici che riguardano, almeno in parte, il periodo che precede l’8 settembre 1943. Oppure l’organizzazione di massa dell’Unità Operaia – la Delavska enotnost. Anche nei testi di altri autori mi sembra non si riesca ad arrivare ad un quadro sufficientemente chiaro – ogni volta alcuni aspetti, alcune forze e alcuni protagonisti rimangono al margine della trattazione, quando non vengono del tutto ignorati. Questo libro è perciò particolarmente importante, proprio perchè mette al centro i GAP, la loro particolarità e al contempo il loro pieno inserimento nella lotta di liberazione.

Il libro parla dei GAP di Trieste. Un tema poco trattato fin’ora. Ci aspetteremmo al contrario di avere già da prima una lunga fila di studi che ne avessero parlato. La storia personale e collettiva dei GAP di Trieste è rimasta al contario perlopiù al margine delle ricerche storiche. Perchè? I GAP sono parte integrante e importante della storia della Resistenza in Italia. E a Trieste mantengono, credo di capire, tutte le caratteristiche che li legano ai GAP veneti, lombardi, piemontesi, toscani e delle altre regioni d’Italia. In un stretto e diretto rapporto con il PC Italiano e i suoi massimi dirigenti. D’altra parte i membri dei GAP conoscono già da prima, da prima della guerra e da prima dell’8 settembre 1943 molti compagni che ora aderiscono al movimento di liberazione sloveno e jugoslavo, e al PC di Slovenia. Un periodo che andrebbe maggiormente studiato è allora il periodo che precede l’8 settembre 1943. Poi, lungo il 1944, i GAP triestini, muggesani, monfalconesi operano spesso in modo che li vede integrati nel movimento partigiano sloveno e jugoslavo, fino ad entrare organicamente – ma in quali casi e in quali modi ? – nelle formazioni della VDV, il servizio di sicurezza dell’Esercito di Liberazione Sloveno e Jugoslavo. Ma restano una formazione, fin dal nome, caratteristica della Resistenza in Italia.

Forse per questo, per questo loro partricolare profilo, sono rimasti al margine delle ricerche storiche, sia slovene che italiano, di ogni orientamento storiografico e politico. Perchè sono un segmento della Resistenza italiana comunista – sono stati diversi dal movimento sloveno e jugoslavo e diversi dal CLN italiano di Trieste, in particolar modo del CLN triestino dopo l’estate del 1944. E poi sono operai, gente del popolo, che non ricoprono posizioni dirigenti, e pur assumendo compiti di grande responsabilità e di grandi capacità si spendendono quotidianamente nelle azioni di lotta. Forse anche per questo per molti autori non sono interessanti.

Nel libro troviamo una ricostruzione di fatti, avvenimenti e movimenti storici precisa, basata su una paziente annotazione dei dati offerti principalmente da numerose fonti d’archivio. Scrivendo di storia a Trieste si rende comunque necessario un confronto con le fonti in lingua slovena e con le opere storiografiche slovene e jugoslave, almeno quelle tradotte. Negli archivi si troveranno probabilmente nuovi dati da integrare e soppesare. Se scorriamo le fonti bibliografiche e d’archivio citate nel libro vediamo che queste, in lingua slovena e di autori sloveni tradotte anche in lingua italiana, per la gran parte mancano. Ma forse non dovremmo farne una grande colpa all’autore, dal momento che il problema sembra non essere di peso neanche a tanti storici di professione.

Ritorniamo all’altro percorso che ci offre il libro, quello personale, che però l’autore sa di condividere con molte persone, in particolare con molti della sua generazione, o di quella generazione di mezzo, nata dopo la guerra e che oggi forse sente di dover fare i conti con le proprie scelte. Allora l’autore si pone esplicitamente anche una domanda molto precisa: cosa ne è della cultura comunista, delle conoscenze, dei valori, e del modo di essere e di vivere che fu proprio dei comunisti. E di quei giovani proletari che abbracciarono la fede comunista fino alle scelte personali più decisive. Quale fu il loro percorso di vita, la necessità interiore che li portò a percorrere qualla strada di lotta. L’autore ci pone di fronte a queste domande e ci offre una ricostruzione anche umanamente attenta.

Le ultime pagine sono perciò dedicate ad una riflessione, personale e al contempo ricca di riferimenti teorici, che ci interpella personalmente, mettendoci di fronte alla nostra realtà e alla nostra responsabilità, e alle scelte di oggi.

Il fatto di non avere evitato queste domande, che in realtà sottendono ad ogni lavoro sul ‘900, il fatto di non aver lasciato queste domande sulle scelte e i modelli di vita di noi oggi e qui solo sospese o solamente intuibili, lo rende ancora più una occasione, voglio dire anche un regalo. Un’occasione, fuori dal solito terreno di confronto sul ‘900 triestino. Su una pagina di storia che fu, per chi l’ha vissuta e ha contribuito a scriverla, dura, ma fu il sentiero percorso da chi voleva prendersi in mano la vita e scrivere collettivamente la storia. Appunto, è di questo che stiamo parlando. Di riprendersi la vita in mano e scrivere collettivamente la storia. Questo è stato il movimento partigiano, ed è – credo – soprattutto per questo che oggi si cerca di non farlo conoscere o di demolirne l’immagine. Questo libro ci parla di una storia partigiana, ma non per manipolarla e piegarla ad un facile uso odierno. L’autore ci accompagna lungo un percorso che ha proprio perciò un significato, per noi oggi e qui, umanamente, socialmente e politicamente (nel senso pieno della parola) rilevante. Nel rispetto della storia: un rispetto storiografico e umano che ne è la condizione e che possiamo cogliere nelle pagine di questo libro.

 


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