OCCUPY WALL STREET. Ribellione o Rivoluzione? Un pamphlet di Alan Woods.

Alan Woods, Hugo Chavez
Alan Woods, Hugo Chavez

Ho letto questo testo di Alan Woods, trotzkista inglese, personaggio di spicco di quell’area quartinternazionalista che, in Italia, è rappresentata da Falce e Martello. Devo subito dire che ho comprato questo libriccino sostanzialmente per capire quale fosse la forma mentale che corrobora la teoria e la prassi di questa corrente politica. Seconda mini-premessa: mi trovo d’accordo con gran parte delle tesi esposte, se vengono lette nell’interesse delle classi subalterne, dalla necessità di difendere il marxismo a quella di costruire un partito di classe; dalla critica alla disorganizzazione dei movimenti a quella all’anarchismo. Tuttavia, ci sono delle cose che non capisco, altre che considero sbagliate ed altre ancora che non posso accettare. Proverò a descriverle tutte, spiegando i punti che non mi trovano d’accordo non capisco o considero inaccettabili. Un’altra premessa ancora. Qualche giorno fa mi è venuto in mente che i marxisti inglesi – secondo me – stanno al marxismo continentale come il cristianesimo evangelico sta al cattolicesimo romano. Cioè; il Regno Unito con la sua storia singolare ha sviluppato per primo l’industria capitalistica e una classe operaia sindacalmente organizzata, ma non ha sviluppato una forza politica di vera rottura con capitalismo che resta profondamente radicato nel paese di sua maestà, prima di tutto nella mentalità delle persone, classe operaia inclusa. Il Regno Unito non ha mai conosciuto rivoluzioni socialiste sul suolo nazionale e nemmeno la Resistenza al nazifascismo. Il trotzkismo, al pari di altre teorie politiche, non ha mai ottemperato all’onere della prova. Sono cose che contano, ovviamente, perchè si fa rpresto a dire che gli altri da sè son tutti imperialisti alla stessa maniera, quando non hai avuto i campi di sterminio sotto casa o non sei mai stato colonizzato da alcuno o non sia stato considerato razzialmente inferiore. Sono cose che contano e, sebbene io non sia un sostenitore di Stalin, non posso fingere non sia stato fondamentale nella lotta al nazifascismo o non abbia socializzato e collettivizzato industria e agricoltura con metodi poco gentili., ma che tuttavia uscivano dal capitalismo, anche se non in totale aderenza ai testi sacri del socialismo nella sua versione marxista-leninista.

Ma andiamo oltre. Nel testo di Woods sembra che il problema politico, per i comunisti, sia tutto da ricondurre ad una questione di leadership, sia essa di classe o d’opinione. Ovviamente, secondo i canoni classici del trotzkismo, le burocrazie (cioè i non trozkisti) non devono rimanere alla guida dei movimenti o dei sindacati, ma essere sostituiti da un personale politico comunista, che sia possibile rimuovere in qualsisi momento. Ma vedremo pià da vicino questo concetto. Un cosa che balza agli occhi è lo spazio eccessivo, che Woods lascia alla polemica con gli anarchci, peraltro definiti come “politicamente insignificanti, sia per numero che per proposte politiche“.

In parallelo, nessuno spazio all’analisi della composizione di classe del movimento #Occupy. Leggiamo a pag. 2:

[….] chiunque si ritrovi in queste discussioni si rende conto di come eistono dei capi che nessuno ha scelto, spesso proprio le stesse persone che si scagliano violentemente contro l’elezione di delegati o di comitati ristretti (revocabili in qualunque momento) che abbiano il compito di formulare delle proposte e coordinare le lotte oltre il livello locale.

Le organizzazioni trotzkiste, invece, mandano immediatamente a casa chi non obbedisce alla maggioranza della classe lavoratrice che, peraltro, non rappresentano se non in minima parte? Ancora: i motivi sono sempre quelli giusti? Non è possibile che la maggioranza elegga per inerzia? Io, al contrario, non credo che la burocrazia – di per sé – abbia solo delle caratteristiche negative. Se per la burocrazia – mi spiego meglio – si intende una classe di culi di pietra che incassano uno stipendio mediando degli interessi incolciliabili, allora sono d’accordo a considerarla del tutto negativamente. Ma se per burocrazia intediamo un partito di quadri rivoluzionari allora il mio giudizio cambia drasticamente.

Credo, invece, che un certo livello di burocratizzazione sia inevitabile, ma si possano contenere i problemi, rimuovendo l’intero gruppo dirigente ogni 5 o 10 anni, rinnovandolo quindi completamente.

A pag. 6, parlando di rivoluzione, Woods commette un errore troppo grande: enumera tutte le rivoluzioni finora avvenute, dimenticandosi di enunciare quella più vasta ed importante, quella cinese! Ciò non depone molto bene per le argomentazioni che si vorrebbero conoscere e divulgare. Più avanti ancora a pag. 13, parlando della storia – mitica – degli IWW, Woods afferma:

Tuttavia, nonostante gli sforzi eroici dei wobblies per organizzare una manciata di caffè e ristoranti fast-food, costruendo un simile sindacato e reclutando un iscritto alla volta non si potranno mai raggiungere i prorpi obiettivi. Per questo occorrono le grandi risorse dei sindacati principali. Per cambiare la politica dei vertici attuali della classe operaia si richiede una lotta politica all’interno della AFL-CIO e di Change to win, non ai loro margini. Inoltre, l’unico modo per ottenere davvero questo cambiamento è con la presa del potere politico della classe operaia.

Ok, ma gli stessi appunti potrebbero essere fatti proprio ai trotzkisti. Quindi, l’opzione entrista giustificata dalla strategia del cambio di leadership a cui ci condannano imperterriti i seguaci di Trotzky, rinnovando continuamente la proposta del grande bolscevico valida 80 o 70 anni fa, sarebbe il coniglio che esce dal cappello dell’illusionista politico che viene già smentita per un 75%, in Italia, dalla storia dei COBAS che, diversamente dagli IWW, sono diventati un fenomeno di massa. Il 25% di mancata smentita dell’affermazione di Woods, concerne il riflusso sofferto anche dai COBAS, tuttavia non imputabile solo ad un problema di leadership, ma soprattutto di passività operaia.

Più avanti ancora, si parla della necessità dell’organizzazione, collegata a quella di tramandare un tipo di cultura politica Si parla perciò di formare le nuove generazioni. A pag 14 si afferma:

La trasmissione deve essere effettuata attraverso il meccanismo di apprendimento. E questo richiede tempo.

Il problema, però è che la classe operaia, ad un certo punto della sua storia, in Occidente, ha abiurato. Non si è più riconosciuta nelle proprie origini, nei propri obiettivi immediati e storici. Poiché ha aderito ai modelli consumistici che si andavano affermando con forza. Modelli che, peraltro, nonostante la crisi odierna dei consumi, stentano ad essere criticati e a venire meno e, anzi, proprio attraverso la loro facilissima veicolazione, continuano a rappresentare l’mmaginario della stragrande maggioranza della popolazione.

Sempre sulla questione della conoscenza del marxismo, a pag 15, si afferma:

Una tale conoscenza presuppone, oltre all’esperienza, uno studio attento e dettagliato delle battaglie del passato. Delle vittorie e delle sconfitte. In altre parole, presuppone una conoscenza della teoria.

Giusto, ci vuole un equilibrio tra teoria e pratica. Tuttavia una formulazione teorica non può essere il punto di partenza di una qualsiasi teoria politica se non ammettiamo essa è il riflesso della vita reale. Diremo, allora, con Lenin, che ogni teoria va verificata necessariamente nella pratica, poiché di questa si nutre. Sempre sulla necessità della teoria, a pag 15 si dice:

Al contrario, la classe dominante è implacabile e determinata. Può contare su decenni di esperienza nella gestione delle proteste e dei movimenti di opposizione.

È vero, tuttavia, dobbiamo ricordare che ogni classe dominante, per quanto implacabile e derminata sia, degenera e scompare.La storia insegna.

Come già detto, lo spazio dato alla critica dell’anarchismo, neanche contasse così tanto, è eccessivo. Tuttavia mi trovo d’accordo con ciò che dice Woods:

E’ vero che nelle file degli anarchici ci sono stati molti combattenti coraggiosi, particolarmente nel caso della Spagna degli anni 20 e 30. Ma nel suo insieme, la storia dell’anarchismo degli ultimi cento anni mostra chiaramente che si tratta di un vicolo cieco. Le idee di Bakunin sono un plagio raffazzonato dei socialisti utopistici del XIX secolo, Proudhon in particolare. Inoltre, sono state immediatamente contradette dalla pratica dello stesso Bakunin. Mentre predicava “libertà”, all’interno della sua organizzazione introdusse un centralismo spietato. Bakunin (o “il cittadino B, come era noto) esercitò una personale, tirannica dittatura sulla sua organizzazione. Nella sua polemica contro Marx, non esitò ad usare i metodi più vili, compreso l’antisemitismo.

Ritornando poi al movimento #Occupy, Woods critica le leadership che, nonostante la disorganizzazione politica, si formano e le definisce ” cricche autonominate“. Il testo poi riporta alcuni commenti, illuminanti, dal sito Reddit, dove gli stessi partecipanti al movimento, criticano i processi decisionali e di scelta della leadership. Tutte cose interessanti, ma è esagerato definire “cricche autonominate”, magari dei semplici “casi umani”. Ricordiamoci sempre che, anche nei processi politici più democratici e condivisi, non si possono escludere fenomeni di stabilizzazione dei ruoli politico-istituzionali, che poi viene assimilata alla burocratizzazione tout-court. Altrimenti vivremmo di utopie veramente irrealizzabili. Ricordiamoci, inoltre e sempre, che i comportamenti delle persone sono degli atti culturali, compiuti da persone in carne ed ossa che sono parte di un determinato contesto antropologico. Quelle stesse persone che sono il prodotto dei malanni del sistema.

Per rimettere in moto un processo di cambiamento, saranno necessarie delle lotte ben reali e concrete che ancora non si vedono all’orizzonte, molti sacrifici, lacrime e sangue. Il vero problema è quello di capire se ci sarà una qualche forza politica in grado di raccogliere questa voglia di cambiamento e di convogliarla in senso socialista. Il primo passo da fare è quello di svincolarsi dal “verbo fattosi carne“. Cioè dai testi sacri, ridando loro il senso che hanno, che è solo e sempre metodologico.

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