Lo sgonfiarsi del Renzismo.

Matteo Renzi
Matteo Renzi

Renzi ha goduto di un breve periodo di grazia, quasi fosse un progressista dell’era post-berlusconiana. Non voglio dire, con questo, che Renzi abbia rigettato l’eredità berlusconiana, ma che ha operato principalmente sullo stesso terreno assicurato da Berlusconi, come fanno tutti i partiti adesso, mentre al tempo stesso abiurano alcune parti e temi politici dell’ideologia specifica del berlusconismo, e precisamente quelle parti che ne facevano un progetto politico “ribellistico”. Renzi è giunto a noi come un imprenditore anti-dogmatico e competente, perfettamente adattato alla cultura italica, pronto a gestire il paese come se fosse andato a male, avariato. Con un àplomb da Gian Burrasca, come se la sua eleganza casual non fosse necessariamente un avanzamento socio-culturale. Anche se ha gettato discredito ed esecrazione sulla parte più povera della società e sui lavoratori, grazie a lui, la cultura mainstream ha re-imparato ad ammirare e venerare i valori della classe dominante. E precisamente come uno Zio Paperon de’ Paperoni dal portamento casual, è stato capace di intercettare una voglia di stabilizzazione che, tuttavia, ha rilasciato un retrogusto spiacevole dopo diversi anni di credit crunch. Vi è sempre stata, in Italia, un’ampia porzione della società che ha sempre creduto che, sebbene il paese sia lontano dalla meritocrazia, non lo sia poi così tanto e che lo sia a causa di impedimenti non strutturali. A nulla serve la consapevolezza che la meritocrazia sia un concetto incoerente. Si tratta invece di una sorta di “lealtà” che significa qualsiasi cosa le norme sociali dominanti prescrivano. Durante la fase renziana iniziale “lealtà” significava che i banchieri e i ricchi pagassero la loro parte per azzerare o diminuire sensibilmente il debito del paese, mentre i poveri sarebbero stati privati del welfare ed “incoraggiati” al lavoro: jobs act docet! Tutti devono condividere i costi del disastro, anche se fra questi tutti ci sono i temibili banchieri e i poveracci che, notoriamente, appartengono a due categorie incapaci di gestire disciplinatamente il proprio budget. Se tutti stringiamo la cinghia…..tempi buoni ritorneranno… Ed ecco, allora, che ben pochi sono rimasti a credere alle favole del Paperone scamiciato e un pò ragazzo dispettoso. Ma il sistema non ha ancora finito di stupirci. Ecco allora il risentimento esasperato delle masse impoverite, contro l’Unione Europea e l’immigrazione. Tipica minestra, ancorché puzzolente, del populismo di destra. Questa ideologia, portata avanti con dovizia e professionalità dalla stampa asservita italiana, è volta a dimostrare quello che la gente, con facili parolette, vuole sentirsi dire. Puro esercizio retorico. Questa previsione che si autoavvera ha un nome e si chiama favola moralista. Ovviamente, quando un certo populismo destrorso avanza ipotesi alla Salvini, di proteggere il lavoro locale contro gli immigrati o di emanare delle leggi contro la concorrenza sleale dell’Asia e così via, non fa altro che dirci di proteggere il commercio e la produzione locali contro la competizione globale, tralasciando la sicurezza sul lavoro, infischiandosene dell’ambiente e così via. Facendo, come ha sempre fatto il capitalismo della disoccupazione uno strumento per controllare il prezzo della manodopera che, stranamente solo per gli allocchi, necessità di così tanti disoccupati proprio durante la crisi di accumulazione del capitale. Il populismo di destra alla Salvini vuole, in definitiva, un più forte e concorrenziale capitalismo Atlantista. In questa ridda di dichiarazioni ignoranti, goffe e vecchie, Salvini parla di Europa come del Terzo Reich, come se l’Italia e i suoi accoliti leghisti non sapessero nulla del fascismo e della politica razziale che lo contraddistinse. E di cui fanno pure vanto, di tanto in tanto. In tutta questa pantomima che difficilmente mi astengo dal chiamare stronzata, abbiamo un Renzi che sembra essere consapevole di ciò che fa, mentre in realtà non capisce un benemerito cavolo. Però sembra capirne qualcosa, si atteggia (al pari del suo padrino elettivo Berlusconi) a piazzista d’eccezione, ma non è detto che, visto lo sgonfiarsi del bluff, Salvini non riesca a minacciarne veramente il futuro politico.

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