Le radici del Novecento. Quarta parte.

Il Novecento
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di Sergio Mauri

I caratteri generali dell’età giolittiana.

L’età giolittiana va dal 1901 al 1914.

Nel 1901 re Vittorio Emanuele III° nomina primo ministro Giuseppe Zanardelli che viene affiancato come ministro degli Interni da Giovanni Giolitti. Uomo pragmatico, conoscitore profondo della burocrazia, lasciò un segno profondo nella politica italiana. Soleva abbandonare nei momenti di crisi, lasciando il potere nelle mani di suoi uomini di fiducia, o di avversari politici. Quando amici o avversari annaspavano, ritornava al potere.

Il decollo industriale dell’Italia.

L’età di Giolitti coincise con la rivoluzione industriale. Fece decollare l’industria siderurgica, elettrica e meccanica, nonché quella tessile.

Le industrie si trovavano soprattutto nel triangolo industriale (Torino, Milano, Genova). L’agricoltura crebbe soprattutto nella pianura padana e furono migliorate le sue tecniche produttive.

Caratteristiche dell’economia italiana.

Fu un cocktail di commesse statali e politiche protezionistiche a rendere possibile lo sviluppo del nord che però danneggiò il sud che vide chiuse le porte dei mercati esteri per i suoi prodotti.

Le grandi banche miste, racchiudenti cioè le funzioni commerciali e di banche d’affari prestando perciò capitali anche a MLT, finanziarono le più dinamiche ed innovative industrie, con l’aiuto dei capitali esteri (Banca Commerciale e Credito Italiano) per lo più tedeschi.

Luci e ombre dello sviluppo.

L’industrializzazione migliorò il livello di vita degli italiani. Illuminazione elettrica, trasporti urbani, l’acqua corrente, il gas, l’igiene generale ebbero ripercussioni positive sulla vita italiana.

L’urbanizzazione e l’emigrazione dal sud al nord provocarono tuttavia dei disagi: sovraffollamento, degrado, alcolismo.

Socialismo riformista.

Obiettivo: gradualismo riformista, sempre in accordo col governo. Leaders: Filippo Turati, Claudio Treves, Leonida Bissolati.

Socialismo massimalista.

Obiettivo: rivoluzione. Leaders: Arturo Labriola, Costantino Lazzari, Benito Mussolini.

Il doppio volto di Giolitti.

Ebbe un atteggiamento ambiguo: aperto e democratico verso il nord, conservatore e corrotto verso il sud. Consentì gli scioperi al nord, ma li represse al sud. Credeva non ci fosse un vero rischio rivoluzionario per l’Italia se il governo avesse acconsentito a forme legali di protesta.

Riformò, diminuendolo, l’orario di lavoro; riorganizzò la cassa nazionale per la vecchiaia e l’invalidità; tutelò la maternità e il lavoro minorile (a 12 anni). La lotta sindacale portò all’aumento salariale.

Un politico spregiudicato.

Statalizzazione delle ferrovie; nazionalizzazioni delle assicurazioni. Rimasero sul tappeto la riforma tributaria e la questione meridionale (eccettuata la costruzione dell’acquedotto pugliese). Represse le espressioni politiche al sud e alimentò clientelismo e corruzione.

Lo storico e politico Gaetano Salvemini lo definì “ministro della malavita”.

Le rimesse degli emigranti.

Scarsezza di lavoro e bassi salari crearono miseria e disoccupazione al sud. Molti contadini meridionali si mossero verso l’estero alla ricerca di fortuna, mandando i soldi guadagnati a casa per migliorare le condizioni delle famiglie d’origine.

Tra successi e sconfitte.

La conquista della Libia.

Giolitti intraprende la politica coloniale per tre motivi:

  • aumentare il prestigio internazionale
  • assecondare i maggiori gruppi industriali e finanziari
  • accontentare l’opinione pubblica che voleva nuove terre per dar lavoro ai braccianti del Sud e agli emigranti

Nel 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia che dominava la Libia. Gli italiani però trovarono in Libia una forte resistenza da parte della popolazione. Impossibilitati a piegare i libici, gli italiani si rivolsero direttamente contro i turchi mandando la marina nell’Egeo e occupando alcune isole delle Sporadi che formarono così il dominio italiano del Dodecaneso. I turchi, spaventati anche da un incursione italiana nello Stretto dei Dardanelli, firmano nel 1912 il trattato di Losanna, cedendo la Libia all’Italia.

Lo “scatolone di sabbia”.

L’avventura coloniale costò molti soldi e non beneficiò gli emigranti che continuarono a seguire le solite rotte. La Libia infatti non era una terra fertile e le sue risorse naturali saranno scoperte solo più tardi. L’intellettuale Gaetano Salvemini definì la Libia uno “scatolone di sabbia”.

Gli unici soggetti a trarre vantaggio dall’impresa furono le banche, gli armatori, l’industria militare. Solo nel 1927 il regime fascita occupò anche la parte interna del paese, piegando la resistenza libica attraverso una feroce repressione.

Il suffragio universale maschile.

Il suffragio universale maschile approvato nel maggio 1912 fu la principale riforma democratica dell’età giolittiana. Vennero ammessi al voto i cittadini italiani che avessero compiuto almeno 30 anni di età. Per accedere al voto all’età di 21 anni era necessario invece aver adempiuto gli obblighi del servizio militare o saper leggere e scrivere. Attraverso questa riforma Giolitti intendeva avvicinare alle istituzioni i due grandi movimenti di massa fino ad allora esclusi dalla partecipazione politica, cioè i socialisti e i cattolici.

Giolitti e i cattolici.

Il non expedit venne in parte ammorbidito da Pio X°. I cattolici si recarono alle urne per la prima volta nel 1904 e votarono i candidati liberali nell’intento di sconfiggere i socialisti, che venivano considerati pericolosi.

Dopo l’enciclica Rerum Novarum del 1891 i cattolici si erano impegnati di più nel sociale attraverso l’Opera dei Congressi, una federazione di circoli la cui attività andava dall’assistenza caritativa all’animazione culturale. Erano nati i sindacati cattolici e le cosiddette cooperative bianche ed era stata fondata l’Azione Cattolica che inquadrava il laicato cattolico sotto la guida del papa e dei vescovi.

Nel 1913 Giolitti stipulò con l’unione elettorale cattolica del conte Filippo Gentiloni il Patto Gentiloni. Il patto consisteva nella promessa del voto cattolico ai candidati liberali che avessero sottoscritto l’impegno di difendere la Chiesa.

1914: finisce l’età giolittiana.

Nella fase di crisi che seguì l’impresa libica, Giolitti preferì dare le dimissioni. Egli indicò come successore Antonio Salandra che inviò le truppe per reprimere le manifestazioni popolari in Romagna e nelle Marche. La situazione internazionale precipita verso la guerra. Giolitti si sarebbe poi speso, inutilmente, per tenere il paese fuori dal conflitto.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e studioso di storia, filosofia e argomenti correlati. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Hammerle Editori nel 2014 e con Historica Edizioni nel 2022.
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