Josip Tomažič, una storia antifascista.

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[Settantotto anni fa, si concludeva a Trieste il secondo grande processo del Tribunale Speciale contro gli “slavo-comunisti” del confine orientale d’Italia. Il processo è noto anche come “processo Tomažič” dal nome del principale, più attivo esponente comunista sloveno che vi fu processato: Josip “Pinko” Tomažič. Sessanta sono gli imputati scelti per essere messi alla gogna mediatica del tempo (radio e carta stampata): 58 sloveni e due italiani, di cui uno comunista. Il verdetto sarà esemplare: 9 condanne a morte (4 delle quali commutate poi in lunghe pene detentive) e pene detentive dai 12 ai 30 anni per tutti gli altri imputati. ]

La storia antifascista è quella di Josip Tomažič, nato a Trieste il 20 marzo del 1915 in una famiglia della borghesia slovena. Dopo aver vissuto il duro periodo della snazionalizzazione, della distruzione di tutte le espressioni culturali, politiche ed economiche degli sloveni e dei croati di Trieste, ad opera del fascismo, egli si avvicina alla militanza comunista. Nel periodo fascista, sebbene in clandestinità, nella Venezia Giulia i comunisti e le organizzazioni irredentiste slave di destra o di sinistra (dalla “T.I.G.R.” alla “Borba” dipendente dalla prima) sono gli unici ad opporsi ed esporsi (con pochi e disperati mezzi) al fascismo. E’ naturale, quindi, che un giovane umiliato dal regime trovi in quella direzione le risposte ai propri problemi. Egli diviene comunista rimanendo al tempo stesso attento alle necessità di preservare l’identità etnica del suo popolo. Diviene una personalità importante nel Partito Comunista Sloveno e si batte per la costituzione di una Repubblica indipendente e Sovietica Slovena. Per fare ciò, deve stringere una alleanza con la parte “democratica”, diciamo “progressista” e di sinistra della borghesia slovena. Per questo motivo, alcuni esponenti comunisti della zona (sia italiani che sloveni) all’epoca considerarono politicamente molto rischioso questo suo progetto. Pensavano che, col tempo invece di attrarre la borghesia verso il comunismo, Tomažič avrebbe finito per essere attratto nell’orbita degli interessi di quest’ultima.

Il lavoro che Tomažič svolge è particolarmente incisivo fra i contadini sloveni, dai quali è ricambiato con una grande fiducia. Egli agita fra i contadini, mobilitandoli, l’opposizione alla iniqua politica fiscale fascista. Questa politica aveva impoverito i ceti contadini sloveni ed italiani del luogo indebitandoli, rendendo così possibile il sequestro delle terre a tutto vantaggio del personale politico legato al regime. Espatria clandestinamente per sottrarsi al richiamo alle armi nell’imminenza dell’aggressione all’Etiopia. Svolge lavoro politico tra Maribor e l’Università di Zagabria. Rientra a Trieste nel settembre del ’38 adoperandosi per un collegamento ufficiale fra il P.C.S. e il P.C.I.. Diviene membro della direzione regionale del P.C.I., assieme a Budin e Negri, sloveno il primo italiano il secondo. Il suo lavoro si svolge ed allarga quello della preesistente sezione slovena del P.C.I.. Si iscrive all’Università di Trieste e opera fra gli studenti e gli intellettuali oltre che tra i contadini sloveni del Carso. Contemporaneamente opera nella TIGR allo scopo di spostare a sinistra le posizioni irredentiste di quell’organizzazione. Tenta e in buona parte riesce ad applicare la formula del Fronte Popolare stabilita al 7° Congresso del Comintern. Tomažič diverrà il protagonista del processo che prenderà il suo nome e che si svolgerà a Trieste grazie al trasferimento in loco del Tribunale Speciale fascista, trasferimento attuato per dare un chiaro segnale di durezza all’opinione pubblica non solo nazionale, ma anche jugoslava e mondiale. Il processo, però, svela una forte presenza in città, di antifascisti sloveni sia in campo comunista che nazionalista. Dal processo emergono rapporti con comunisti italiani e con gli insorti nella Slovenia occupata. Dei 60 processati (scelti da un gruppo di 400 arrestati negli ultimi mesi del ’40) due sono italiani: Oscar Caramore, nato a Este (Padova) nel 1916 accusato di appartenenza ad associazione sovversiva e di attentato alla sicurezza dello Stato e Giovanni Postogna, importante attivista comunista di Muggia, Trieste. Il processo viene usato per dimostrare la potenza del fascismo: il dibattimento è commentato alla radio e i giornali ne parlano con tono roboante. Ma indubbiamente esso instilla un germe di dubbio all’opinione pubblica italiana: i difensori degli imputati si ispirano alle esperienze del Risorgimento italiano e a ciò che anche l’Italia dovette fare per liberarsi dal giogo austriaco.

Alla lettura della sentenza, uno scrosciante applauso e commenti di soddisfazione rimbomberanno attraverso tutta l’aula. A quel punto Tomažič – atto col quale rafforzerà ulteriormente la sua fama – saluta la corte e il pubblico col gesto comunista del pugno chiuso e alzato, facendo inferocire la folla e rischiando il linciaggio. La fucilazione dei 5 avverrà il 15 dicembre del ’41. Accompagneranno Tomažič davanti al plotone d’esecuzione Viktor Bobek, Ivan Ivančić, Simon Kos, Ivan Vadnal.

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